Prima erano solo singole voci, spesso drammatiche. Genitori stanchi, sfiniti, provati da un’esistenza complicata. In poche parole, veri “portatori di handicap”. La condizione di disabilità dei loro figli – spesso “eterni bambini”, anche quando sono adulti da un pezzo, e magari cominciano anche loro a invecchiare -, si somatizza nei loro corpi, negli sguardi, nella voce, nei comportamenti. Poi, lentamente, dalla dimensione “eroica” e “coraggiosa” (due aggettivi che fanno spesso trasalire le persone con disabilità, ma piacciono molto ai giornalisti e specialmente ai conduttori di talk show televisivi), si è passati alla partecipazione, al mutuo aiuto, alla denuncia, alla realizzazione di associazioni toste e combattive, piccole e grandi.
C’è ormai una cultura ampia e diffusa, a livello genitoriale, che riguarda non solo i diritti acquisiti, ma anche le differenze fra le diverse situazioni di vita. Una consapevolezza, ad esempio, delle gradazioni di “gravità”, che prescinde perfino dalle definizioni di legge, ovviamente lacunose e datate.
Il 12 maggio prossimo a Roma [il riferimento è alla nanifestazione denominata “Non siamo un mondo a parte ma una parte del mondo”, N.d.R.], la galassia dei movimenti nati attorno alla protesta consapevole e civile dei genitori di persone con disabilità si tradurrà in un’iniziativa che si annuncia ricca di momenti pubblici, destinati a provocare un forte coinvolgimento, anche emotivo.
Lo scopo dichiarato è quello di smuovere la classe politica, che sembra incapace di fornire risposte decenti e corrette a richieste precise e motivate di intervento strutturale, sulla non autosufficienza, sull’interruzione dell’attività lavorativa, sull’assistenza domiciliare, sui servizi residenziali, sul cosiddetto “dopo di noi”.
Le associazioni tradizionali e i coordinamenti nazionali mi sembra facciano fatica a collocarsi in questo scenario un po’ movimentista, che del resto corrisponde perfettamente all’attuale situazione politica, o antipolitica. Si cerca a volte di capire quale sia la consistenza numerica, per non parlare dell’orientamento politico, la collocazione, gli schieramenti. Come se la disabilità non fosse sempre e impietosamente trasversale, sia rispetto alle idee che rispetto ai soldi, alla capacità di spesa.
Si tratta sicuramente di una fase di passaggio, che potrebbe portare in modo positivo all’impegno sociale e pubblico di energie nuove, che nascono da esperienze anche pesanti, di tipo personale, ma si inseriscono poi nel grande fiume delle battaglie per i diritti di tutti, sulla scia dei principi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Ogni novità comporta dei rischi, e non tutto, a volte, è condivisibile o comunque coerente con il quadro generale dei massimi princìpi. Ma ho la sensazione che il più grande errore che si possa commettere – in questo periodo così oscuro delle politiche di welfare – sia quello di accentuare le contrapposizioni, che poi diventano, più che altro, “guerre tra poveri”. Tipo genitori di persone disabili “contro” disabili che vogliono affrancarsi dai genitori, oppure genitori di persone con disabilità intellettiva che ritengono la loro situazione molto più grave di quella in cui vivono persone non autosufficienti ma con disabilità solo fisica, famiglie contrapposte ai singoli, richiesta di servizi residenziali contrapposta a progetti di vita indipendente; è il Paese che si sta abituando a litigare su tutto, invece di ascoltare e di accogliere le diversità, le storie differenti, persino i livelli di elaborazione culturale non omogenei.
Nella storia sociale della disabilità il percorso, lungo e frastagliato, ha visto passare dalla solidarietà ai bisogni, e dai bisogni ai diritti. Un percorso non lineare, spesso con arretramenti e giri tortuosi. Ma un cammino importante, che ci ha condotto, faticosamente, verso una legislazione positiva che non dev’essere smantellata, neppure da governi che si definiscono tecnici, e poi magari perdono il senso della dimensione politica.
I nuovi media, la Rete, i social network, i video di testimonianza, sono strumenti potenti di condivisione e di suggestione, di coinvolgimento e persino di proselitismo, attraverso Regioni e territori che vivono situazioni diverse, ma la comune sensazione che il peggio debba ancora arrivare, in termini di tagli ai servizi socio-assistenziali.
Sono proprio la continua erosione della speranza, il furto quotidiano della serenità, il prelievo fiscale dei diritti, a sgomentare le famiglie, e a spingerle fuori dalle mura domestiche. Ed è forse il momento di prendere coscienza di queste nuove realtà, niente affatto “liquide”, come ormai va di moda dire fra i sociologi, ma molto solide e concrete.
Prima che i genitori diventino essi stessi, giorno dopo giorno, “portatori di handicap”.
*Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo – con alcuni riadattamenti al contesto – ne riprende uno apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Genitori, “portatori” di handicap?.