Per i caregiver dei “gravissimi” c’è solo la vita dipendente e a casa nostra

di Giorgio Genta*
«A proposito del bell’articolo di Simona Lancioni pubblicato da «Superando.it» sull’interdipendenza tra caregiver e persone con disabilità, vorrei aggiungere il mio contributo personale - scrive Giorgio Genta - su una categoria specifica dell’utenza del lavoro di cura, quella dei “gravissimi”, sottolineando che per i loro caregiver esiste solo la vita dipendente e a casa nostra, con pochi aiuti, pochi soldi, molta fatica, moltissima burocrazia. E a volte persino quelli felicissimi di farlo (a me ha letteralmente dato senso alla vita) possono diventare un po’ acidi, specie quando scrivono...»
Giorgio e Silvia Genta
Giorgio Genta con la figlia Silvia, donna adulta con disabilità gravissima

Davvero un bell’articolo quello di Simona Lancioni pubblicato da «Superando.it» sull’interdipendenza tra caregiver e persone con disabilità. Attuale, preciso, ben argomentato, completo. Vorrei, se possibile aggiungere il mio contributo personale su una categoria specifica dell’utenza del lavoro di cura, quella dei “gravissimi”.

Simona Lancioni conosce benissimo le tematiche della disabilità gravissima, quella veramente gravissima, quella delle persone così dipendenti dal lavoro di cura dei loro caregiver da non poter letteralmente sopravvivere senza il loro “lavoro”, neppure per poco tempo.
Questa dipendenza assoluta e continua rende praticamente impossibile che il loro caregiver – o meglio, la loro caregiver – non sia un familiare stretto.

In una narrazione di qualche tempo fa, un sibling [termine che identifica sorelle o fratelli di persone con disabilità, N.d.R.] che accudiva un fratello gravissimo raccontava il suo lucido sconforto perché un genitore caregiver poteva almeno usufruire della “naturalità” del suo faticosissimo lavoro di cura, naturalità a lui negata in un certo senso dall’essere “semplicemente” un fratello.

Retribuire il caregiver-genitore va contro la nostra idea di caregiver, trovare persone in grado di sostituirlo professionalmente è impossibile, a meno di non essere multimilionari in euro o in dollari o sterline, perché di solito il livello di prestazioni fornite dal personale “sul mercato” non è compatibile e provo a spiegarlo meglio: non svaluto nessuna professionalità, faccio solo un esempio: chi non è infermiere/a professionale non può compiere atti medici e la semplice aspirazione tracheale è un atto medico, per non parlare dell’interpretazione delle indicazioni fornite da un ventilatore polmonare ecc. ecc. Sarebbe necessario un rianimatore a tempo pieno, anzi tre per una corretta turnazione.

E pensare che in una delle ultime notti ho sentito in TV (con beneficio di inventario perché erano circa le 3 di notte) che il direttore di una rianimazione pediatrica indicava in 3-4.000 euro al giorno il costo di un letto di rianimazione “vuoto” e sino a 10.000 quello di uno “pieno”. Io, eternamente indietro, ero rimasto a 2-3.000…

Una soluzione possibile? Essere quel politico di primo piano che ha il proprio “rianimatore personale-bodyguard”… (scusate, questa mi è scappata) oppure quell’armatore-petroliere che viaggiava sempre con il proprio rianimatore sul sedile a fianco, anche in aereo…
Di solito ai comuni mortali in casi del genere viene proposta una soluzione tipo RSA (Residenza Sanitaria Assistita) o peggio, soluzione impossibile perché nessuna struttura pubblica di tal genere è in grado di mantenere in vita un ospite di tale gravità.

Per noi esiste solo la vita dipendente e a casa nostra, con pochi aiuti, pochi soldi, molta fatica, moltissima burocrazia. E a volte persino quelli felicissimi di farlo (a me ha letteralmente dato senso alla vita) possono diventare un po’ acidi, specie quando scrivono…

Vecchio caregiver.

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