Parlare di “supermercato dei diritti negati” è un modo grottesco per affrontare problemi seri. E la disabilità è un’argomento quanto mai delicato perché presuppone una consapevolezza prima e una capacità di programmazione poi, che allo stato attuale in Italia non esiste.
Non è casuale, ad esempio, che ad oltre quattordici anni dall’entrata in vigore della Legge 104/92 siamo ancora di fronte all’incapacità da parte di Regioni, Province e Comuni a progettare un intervento integrato tra la sfera sanitaria e quella sociale.
La potestà legislativa delegata alle Regioni ha reso anzi ulteriormente farraginosi gli interventi che le singole realtà locali hanno realizzato e il risultato è sotto agli occhi di tutti quelli che vogliono “vedere” la disabilità.
E come considerare poi la totale inadeguatezza della legislazione scolastica suffragata dalle migliaia di ricorsi alle procure di tutta Italia per il riconoscimento delle ore di sostegno o la silenziosa disperazione dei genitori che vedono ridurre progressivamente le terapie erogate dai centri di riabilitazione disseminati sul territorio nazionale?
In questo panorama nessuno si scandalizza nel vedere “dimissionati” centinaia di disabili ultradiciottenni dai convitti o nel vedere ridotta a tre o a due giorni alla settimana la permanenza nei semiconvitti.
Per fugare poi il sospetto che questa sia “solo una vicenda meridionale”, basterebbe che i ministri della Repubblica competenti fornissero i dati riguardanti l’anagrafe della disabilità.
Quale regione d’Italia può dire di conoscere il numero dei disabili, le loro patologie e dunque, banalmente, i loro bisogni? Quale intervento integrato tra le politiche sanitarie e quelle sociali è ipotizzabile se a nessuno sono noti i bisogni di milioni di disabili italiani e delle loro famiglie?
In questo contesto non resta che riconoscere il fallimento delle politiche di integrazione. I genitori dei disabili vivono in questo irragionevole Paese che sembra più impegnato a discutere di quanti spinelli si possano consumare o quanti delinquenti mandare allegramente a casa, piuttosto che volgere lo sguardo ai loro figli più deboli.
Siamo irrimediabilmente di parte, siamo dalla parte di chi non ha diritti, siamo dalla parte dei nostri figli. La classe politica e i governi che si sono alternati alla guida del nostro Paese non hanno mai considerato la disabilità come una magnifica opportunità di sviluppo sociale, di coesione, di solidarietà concreta.
Abbiamo manifestato a Roma per ricordarvi di mettere nell’agenda degli impegni di tutti i giorni un asterisco con scritto a fianco DISABILI: forse, così facendo, darete un piccolo significato ai formidabili privilegi che così ostinatamente e in modo assolutamente trasversale conservate.
Volutamente non entriamo qui nel merito di questioni sottese alla nostra iniziativa di Roma, quali le legittime esigenze di bilancio invocate dall’Europa, il Fondo Nazionale delle Politiche Sociali o i Livelli Minimi di Assistenza, perché riteniamo che ci siano luoghi specifici deputati a questo.
Resta il rammarico per quanto si sarebbe potuto fare e non si è mai fatto per tanti uomini e donne del nostro Paese che non avranno mai una foto scattata di nascosto da un paparazzo a caccia di scandali!
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