Un’occasione da Oscar

di Enrico Lombardi*
I regolamenti possono dire quello che vogliono. Chi scrive, però, resta convinto che a far volare Oscar Pistorius, l'atleta con disabilità al quale non è stato consentito di partecipare alle prossime Olimpiadi di Pechino, insieme agli atleti normodotati, non siano tanto le sue protesi di carbonio, quanto il suo spirito di sacrificio, la sua abnegazione e il suo grande cuore. Proprio in questi giorni, tra l'altro, viene esaminato a Losanna il ricorso di Pistorius

Ha fatto molto discutere la vicenda umana e sportiva di Oscar Pistorius. Com’è noto, l’atleta sudafricano, che utilizza delle particolari protesi in fibra di carbonio, in quanto amputato dall’età di undici mesi, dopo aver gareggiato insieme ad atleti con disabilità, vincendo e stabilendo molti record mondiali (nei 100, 200 e 400 metri), ha chiesto di poter competere con gli atleti normodotati e addirittura di partecipare ai prossimi Giochi Olimpici di Pechino, nell’agosto prossimo.

Oscar PistoriusCome avviene di solito in questi casi, che vanno a solleticare l’emotività, sono stati in molti, anche fra i nomi illustri, a caldeggiare la richiesta di Pistorius. Gli appelli e le iniziative si sono sprecati. Tutto inutile.
Dopo alcuni test, la IAAF, ovvero l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera, ha deciso di respingere la richiesta del ventunenne sudafricano. Infatti si è stabilito che le protesi consentono di ricevere una spinta superiore del 30% rispetto a quella fornita da un piede umano.

Davanti ai numeri è sempre difficile obiettare. La regola poi parla chiaro: non è consentito utilizzare elementi tecnologici che vadano ad influenzare il gesto atletico. A voler essere pignoli, allora, bisognerebbe anche forse stabilire che gli atleti dovrebbero gareggiare scalzi. Non è un mistero, infatti, che esista tutta una scienza il cui scopo è quello di progettare e quindi di fornire agli atleti più facoltosi (soprattutto quelli dell’atletica leggera) scarpe sempre più performanti.
E che dire poi delle “palestre da fantascienza”, delle attrezzature sofisticate e degli specialisti (ingegneri, medici, biologi eccetera) che hanno a disposizione alcuni dei campioni più famosi? Ovviamente non è difficile immaginare che anche tutto questo vada ad influenzare il gesto atletico. Ed è altrettanto ovvio che chi non può permettersi tutto ciò – principalmente per motivi economici – sia in qualche modo svantaggiato.
Qualcuno, forse un po’ troppo suggestionabile, ha visto nel “caso Pistorius” l’inizio di una degenerazione dello spirito sportivo e soprattutto, nell’atleta sudafricano, il primo rappresentante di una nuova generazione di “atleti bionici”.
Si è parlato di tennisti pronti a farsi impiantare protesi per fare aumentare l’estensione del braccio; sono state avvistate “chilometriche file” davanti ai reparti di ortopedia, composte da “centometristi frustrati”, decisi a farsi amputare le gambe e poter così utilizzare anche loro le miracolose protesi in fibra di carbonio; si sussurra di ciclisti che vogliono trovare il modo di farsi “limare la testa”, in modo da ottenere un effetto aerodinamico più profondo. Qualche commentatore ha parlato anche di «nuova frontiera del doping»… C’è da dire che in questo modo chi trucca le gare sarebbe, per ovvi motivi, subito scoperto!

Ironia a parte, l’esito della vicenda ci ha lasciato però l’amaro in bocca. Sarà che quando sentiamo l’attacco della musica di Rocky un brivido ci percorre ancora la schiena, che ci commuoviamo ancora a distanza di tanti anni davanti all’urlo di Tardelli nella finale dei Mondiali di calcio dell’82, che abbiamo stampata nella memoria la progressione dei fratelli Abbagnale alle Olimpiadi di Seul. Per non parlare dei finali brucianti di Alberto Cova.
Abbiamo sempre pensato un po’ utopisticamente che lo sport, a tutti i livelli, si fondi soprattutto sulla forza di volontà, sul coraggio, sulla dedizione, prima ancora che sul talento. Non ci siamo mai fidati dei “campioni” troppo belli, circondati da veline e da sponsor… quelli alla Beckham per intenderci.
L’impressione è che in un periodo in cui c’è un forte bisogno di modelli positivi, di esempi per i più giovani, si sia persa un’occasione unica. Perché la matematica potrà dire quello che vuole, ma noi resteremo convinti che a far volare Oscar Pistorius non siano tanto le sue protesi futuristiche quanto il suo spirito di sacrificio, la sua abnegazione, la sua voglia. Il suo cuore.

*Direttore editoriale di «DM», periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Il presente testo è tratto dal n. 165 (marzo 2008) di tale testata e qui riprodotto per gentile concessione della stessa.

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