Celebrando, come è giusto, quanto di buono ha portato l’applicazione trentennale dell’integrazione scolastica e le trasformazioni che essa ha provocato nella società, viene tuttavia spontaneo pensare anche a quanto è rimasto incompiuto.
A giudizio delle nostre famiglie sono essenzialmente due i punti dolenti: la quasi generalizzata mancanza dell’effettiva presa in carico dello studente con disabilità da parte di tutti i docenti e la traumatica fine del processo di integrazione e di inclusione sociale che avviene fatalmente con la fine della scuola.
Un’omissione e un rimpianto, dunque. Per quanto riguarda la troppo spesso inesistente presa in carico da parte di tutti gli insegnanti e non del solo insegnante di sostegno, essa ha origini burocratiche e culturali. Burocratiche perché mancando l’obbligatorietà e il conseguente riconoscimento pratico dell’utilità dei corsi di aggiornamento per tutti i docenti sulle tematiche relative allo studente con disabilità, viene a mancare la base di informazioni necessaria alla conoscenza del “problema” e delle modalità atte a risolverlo; anzi è proprio tale “ignoranza” a creare il “problema” che un’adeguata “sapienza” annullerebbe e trasformerebbe in occasione di crescita culturale e umana.
Il rimpianto, poi, è provocato dal fatto che l’integrazione scolastica spesso è fine a se stessa, termina quando si conclude la scuola e, specialmente per gli studenti con disabilità più grave, quasi mai riesce a trasformarsi e a proseguire come inclusione sociale.
Per proporre una possibile soluzione a quest’ultimo problema, alcune nostre famiglie, in stretta collaborazione con le scuole e il distretto sociosanitario, hanno elaborato il progetto denominato Dopo la scuola – Dall’integrazione scolastica all’inclusione sociale che contiamo di presentare quanto prima.
*Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
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