Donne che “devono” portare avanti una gravidanza e donne che “non devono”

di Silvia Lisena*
«C’è un incredibile paradosso tutto americano - scrive Silvia Lisena, riflettendo sulla recente Sentenza della Corte Suprema USA, secondo la quale l’aborto non è più un diritto costituzionale -: le donne sono uguali davanti alla legge, ma alcune sono più uguali delle altre. Le donne “normodotate” devono portare avanti una gravidanza, mentre le donne con disabilità non devono, per lo meno in quei 31 Stati dove ne è autorizzata la sterilizzazione forzata. Il minimo comune denominatore, però, è la totale mancanza di libertà. E quel “sogno americano” che forse non appartiene proprio a tutte»

Donna di spalle con un barccio alzato (figura murale)Ci sono donne che vorrebbero diventare madri ma non possono. Ci sono donne che non sono pronte a diventare madri. Ci sono donne che subiscono violenza e vorrebbero non essere costrette a portare in grembo una vita che non volevano in quel momento e con quell’uomo. E poi ci sono donne che vorrebbero portare in grembo una vita ma il loro Stato glielo impedisce…

Siamo negli USA progressisti, quelli del “sogno americano”, quelli che sembrano trainare il mondo intero. Il 22 gennaio 1973 nella Corte Suprema degli Stati Uniti avveniva qualcosa che avrebbe cambiato la politica del Paese, in una prospettiva illusoria per l’eternità: la Sentenza Roe v. Wade che legalizzava l’aborto. Quasi cinquant’anni dopo, il 24 giugno 2022, la stessa Corte Suprema ha fatto un passo indietro. L’aborto non è più un diritto costituzionale e quindi i singoli Stati avranno la libertà di decidere cosa fare. Il risultato? Già 26 Stati stanno prendendo provvedimenti anti-aborto e, in particolare, la Jackson Women’s Health Organization, unica clinica abortiva del Mississippi, ha già chiuso i battenti.

Bel valore, la libertà. Peccato che, sempre negli Stati Uniti, sia un concetto assai relativo. Molte donne con disabilità, infatti, non hanno libertà e sono costrette alla sterilizzazione forzata perché giudicate incapaci di diventare madri secondo l’opinione di terze persone. Terze persone che non vivono nella loro testa, nella loro mente o nel loro cuore, ma che nonostante ciò si arrogano il diritto di poter decidere per conto loro. Di praticare violenza sulla loro pelle. E nessuno lo impedisce.

Secondo il rapporto di ricerca Sterilizzazione forzata delle persone con disabilità negli Stati Uniti, realizzato lo scorso anno dall’NWLC (National Women’s Law Center) [se ne legga già ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.], ben 31 Stati USA autorizzano la sterilizzazione forzata, negando alle donne con disabilità il diritto di disporre di sé e del proprio corpo, nonché di scegliere se avere figli. Sono colpite, in particolare, le donne con disabilità dello sviluppo, intellettive e psichiatriche. Inoltre, quello stesso rapporto mostra che tale fenomeno non si è mai fermato: infatti le Leggi più recenti sono state approvate in Iowa e Nevada nel 2019; e anche che 17 Stati consentono la sterilizzazione forzata pure su minori con disabilità, 3 Stati la vietano esplicitamente, mentre i restanti 11 Stati e Washington, D.C. non hanno una disciplina specifica per i minori.

Cosa si ricava da entrambe le situazioni? Un incredibile paradosso tutto americano: le donne sono uguali davanti alla legge, ma alcune sono più uguali delle altre. Le donne “normodotate” devono portare avanti una gravidanza, mentre le donne con disabilità non devono. Il minimo comune denominatore, però, è la totale mancanza di libertà. E quel “sogno americano” che forse non appartiene proprio a tutte.

Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Il presente contributo è già apparso nel sito della stessa UILDM Nazionale e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Per approfondire ulteriormente il tema della sterilizzazione forzata delle donne con disabilità, suggeriamo la lettura, sempre sulle nostre pagine, del testo Stop alla sterilizzazione forzata in tutta l’Unione Europea (a questo link), nonché al lungo elenco di contributi a noi pubblicati, citati nella colonnina a destra del medesimo articolo.

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