Premessa – La complessità del problema
In Italia, molti genitori che, soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta, hanno fatto la scelta di non mandare più i figli con disabilità negli istituti e nelle scuole speciali, ma di tenerli presso di sé per integrarli nella scuola comune e nei normali posti di lavoro e, comunque, nell’ambito del proprio territorio, si trovano adesso a confrontarsi con il problema di cosa avverrà dei loro figli dopo la propria morte.
Tali genitori vogliono infatti evitare che i figlioli, abituati a vivere fra tutti, possano rientrare nel circuito emarginante degli istituti speciali. Si pongono quindi il problema di come organizzare il loro futuro, cominciando a rendersi conto che il “dopo di noi” va sperimentato “durante noi”.
A questo punto sono almeno tre gli ordini di problemi che essi debbono affrontare:
1) Quale tutela giuridica dare ai loro figlioli?
2) In quali ambienti si potrà svolgere la loro vita dopo la loro scomparsa e con quale organizzazione?
3) Con quali fondi sarà possibile garantire loro una permanenza sul territorio di abituale dimora degli stessi?
Il problema, soprattutto in questi ultimi anni, è divenuto oggetto di numerosi incontri e dibattiti, di atti legislativi e amministrativi e di interventi negoziali di diritto privato che hanno contribuito a chiarire i termini della complessa questione e a richiedere continui, ulteriori approfondimenti.
La tematica, dapprima oggetto solo della preoccupazione di singole famiglie, è stata sempre più assunta da associazioni di persone con disabilità e loro familiari e sempre più è divenuta oggetto dell’attenzione della politica, con proposte e soluzioni anche legislative e amministrative, nonché di carattere finanziario, che offrono oggi alle famiglie un ampio ventaglio di opportunità.
Capo I – Gli aspetti di tutela giuridica
I genitori, sino a quando i figli con disabilità sono minori, sono per legge tutori degli stessi. Fino al 2004, poi, quando i figli diventavano maggiorenni, essi dovevano essere obbligatoriamente interdetti, cioè perdere completamente la capacità di compiere qualunque atto giuridico, essendo sostituiti in tutto e per tutto dal tutore, nominato dal tribunale in seguito ad una vera e propria causa che il genitore o il pubblico ministero dovevano intentare contro l’interdicendo, con enorme dispendio di spese e grande sofferenza psicologica.
Con la Legge 6/2004 (che ha modificato gli articoli dal 404 e seguenti del Codice Civile), alla figura del tutore e, nei casi più lievi, del curatore, è stata aggiunta quella dell’amministratore di sostegno, per la cui nomina è sufficiente rivolgere istanza al giudice tutelare, senza la necessità di assistenza di un avvocato e con enorme risparmio di spese, anche giudiziarie.
L’amministratore di sostegno, figura giuridica molto studiata dal professor Paolo Cendon dell’Università di Trieste, può essere designato anche dagli stessi genitori e non si occupa solo dell’amministrazione e conservazione del patrimonio della persona con disabilità, ma deve anche provvedere a garantire e rispettare “i suoi bisogni e le sue aspettative” di vita quotidiana.
Inoltre, l’amministratore di sostegno viene nominato sulla base di un progetto giuridico personalizzato che prevede, di volta in volta, quali siano gli atti che egli deve compiere – come il tutore – in nome e per conto del beneficiario, quelli che – come il curatore – può compiere insieme col beneficiario, e quelli che il beneficiario può compiere da solo.
Va tenuto presente che l’amministratore di sostegno può essere, oltre che un familiare, anche – nei casi indicati dal richiedente o eccezionalmente stabiliti dal giudice tutelare – il legale rappresentante di un’organizzazione prevista dal Libro Primo del Codice Civile, cioè associazioni – dotate o meno di personalità giuridica – fondazioni, organizzazioni di volontario, associazioni di promozione sociale ecc.
Con questo recentissimo istituto, molti genitori possono trovare una soluzione per la tutela giuridica dei loro figlioli, anche nei casi in cui fossero riusciti, malgrado la loro maggiore età raggiunta da tempo, a non procedere all’interdizione per ripulsa psicologica ad un istituto giuridico rigido che mal si attaglia a persone con disabilità che, ormai da oltre un trentennio, sono integrate a pieno titolo nella vita quotidiana della società.
Capo II – Gli aspetti organizzativi
Chiariti gli aspetti giuridici, assai più complessi sono quelli di carattere organizzativo e cioè di dove far vivere l’adulto con disabilità dopo la morte dei genitori e con quale assistenza.
A questo proposito, rifiutata, com’è ovvio, l’ipotesi dell’ingresso in istituti speciali, talora con svariate decine o addirittura centinaia di ospiti, i genitori hanno cercato di stimolare gli enti pubblici e la società civile a fornire soluzioni di residenzialità di tipo familiare, ubicate nel normale tessuto urbano, possibilmente in un appartamento nell’ambito di un condominio.
Gli stessi genitori non guardano con simpatia le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 22 dicembre 1989, Atto di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni e Province autonome concernente la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti, non assistibili a domicilio o nei servizi semiresidenziali e al Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) del 14 gennaio 1997, Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private.
Infatti, pur prevedendosi la presenza, in ciascuna di esse, di non più di 20 persone, è consentita la costituzione di moduli di RSA che, per riduzione dei costi generali, possono aggregarsi sino ad un massimo di tre, portando così a 180 posti letto.
Una tale realtà, dunque, non si differenzia sostanzialmente dai grossi istituti speciali e anche ove si decidesse di costituire singole RSA distanti tra loro, il numero di 20 posti letto non è certamente corrispondente ad un modello di tipo familiare che dovrebbe avere 3, 4, massimo 6 posti letto.
II. 1 – Normativa di diritto pubblico
Lo Stato ha provveduto a emanare, nella seconda metà degli anni Novanta, tre importanti norme:
1) l’articolo 10 della Legge 104/1992, che prevede la possibilità di creazione di comunità alloggio e centri socio-riabilitativi, anche residenziali; il comma 6 espressamente stabilisce che l’approvazione del progetto edilizio, ove le strutture siano ubicate in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, costituisce variante al piano regolatore, purché le stesse strutture siano vincolate per almeno vent’anni all’accoglienza di persone con disabilità grave;
2) la Legge 284/1997 su interventi a favore dei ciechi pluriminorati, che prevede anche la possibilità di piccole comunità residenziali;
3) la Legge 162/1998, integrativa della Legge 104/1992 che, tra l’altro, contempla la realizzazione di progetti di vita, per quanto possibile indipendente, di persone con disabilità anche grave.
Ma soprattutto sono le Regioni che, già dagli anni Ottanta, hanno emanato numerose leggi sui servizi sociali che prevedono, tra l’altro, la realizzazione di case famiglia, comunità alloggio, gruppi appartamento, nei quali le persone con disabilità possono vivere non solo dopo la morte dei genitori, ma dove possono cominciare a sperimentare anche il distacco dalla dipendenza dal nucleo familiare in vista del definitivo abbandono da parte di esso.
Si dà, di seguito, una sintetica e schematica rassegna della legislazione regionale, in ordine alfabetico per regione:
ABRUZZO
– Legge Regionale 95/1995, articolo 4: accenna solo all’assistenza domiciliare per persone con handicap e alle loro famiglie.
BASILICATA
– Legge Regionale 50/1980, articolo 9: comunità alloggio.
– Legge Regionale 38/1984, articolo 3 (modificata con Legge Regionale 23/1985, ma non all’articolo 3): il superamento degli istituti.
CALABRIA
– Legge Regionale 28/1984, articolo 15: accenna genericamente a strutture socio-assistenziali.
– Legge Regionale 5/1987, articolo 20 (abrogata con Legge Regionale 23/2003, con la quale è stato realizzato il sistema integrato di interventi e servizi sociali, in attuazione della Legge 328/2000. Le tipologie di strutture sono indicate all’articolo 8, comma 3; l’intero Titolo V disciplina invece l’autorizzazione e l’accreditamento).
– Legge Regionale 23/2003, articolo 24, comma 4: per le comunità di tipo familiare e per i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono fino ad un massimo di 6 utenti; i requisiti minimi richiesti sono quelli previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione.
– Legge Regionale 23/2003, articolo 24, commi 5 e 6: indica i requisiti minimi di gestione e i diritti degli ospiti.
– Legge Regionale 23/2003, articolo 24, comma 8: rinvia a un successivo provvedimento di Giunta per l’individuazione di ulteriori requisiti.
– Si veda inoltre la recente Legge Regionale 1/2004, con interventi assistenziali a sostegno delle politiche familiari (in particolare l’articolo 5): l’articolo 5, comma 2, lettera d) prevede gli “istituti” come unica struttura residenziale per gli anziani (quindi anche con disabilità).
CAMPANIA
– Legge Regionale 11/1984, articolo 7, lettera c) (modificata con Legge Regionale 21/1996, ma non all’articolo indicato): gruppi appartamento o comunità autogestite per disabili.
EMILIA ROMAGNA
– Legge Regionale 15/1983, articolo 2 (abrogata con Legge Regionale 3/1999).
– Legge Regionale 5/1991, articolo 1 (abrogata con Legge Regionale 24/2001).
– Attualmente in Emilia Romagna vige la Legge Regionale 2/2003, Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, attuativa della Legge 328/2000.
– Legge Regionale 2/2003, articolo 5, comma 4: elenca un’ampia gamma di tipologie di servizi.
– Legge Regionale 2/2003, articolo 35: demanda alla regione l’individuazione dei requisiti per ottenere l’autorizzazione al funzionamento delle singole strutture, ivi comprese quelle residenziali per disabili adulti e anziani.
– Delibera della Giunta Regionale 564/2000, articolo 5: precisa ulteriori requisiti per l’autorizzazione al funzionamento dei centri socio-riabilitativi.
FRIULI VENEZIA GIULIA
– Legge Regionale 20/1995 (si vedano anche le Delibere del Presidente della Giunta Regionale 129/Pres. del 2001 e 244/Pres. del 2003, regolamenti per la concessione di contributi per ristrutturazione e adeguamento funzionale di strutture per disabili, nonché la 173/Pres. del 2002, regolamento per la concessione di finanziamenti a favore di persone con handicap grave prive dell’assistenza dei familiari): prevede contributi aggiuntivi, il riordino delle competenze e l’istituzione di un registro degli enti gestori delle strutture residenziali.
LAZIO
– Legge Regionale 41/1993, articolo 2: RSA per disabili. Fissa in 6 minori il numero massimo in casa famiglia e in 8 quello dei gruppi appartamento.
– Legge Regionale 38/1996 (modificata con Legge Regionale 41/2003, che all’articolo 10, comma 1, lettera g) della legge sopracitata ha previsto che siano le Regioni e non più i Comuni a svolgere i compiti previsti dalla Legge Regionale in materia di autorizzazione all’apertura e al funzionamento di strutture che prestano servizi socio-assistenziali): la legge attribuiva ai Comuni il riconoscimento di idoneità al funzionamento delle strutture per minori. Il Comune di Roma aveva decentrato alle Circoscrizioni tale potere.
– Legge Regionale 41/2003, recante nuove Norme in materia di autorizzazione all’apertura e al funzionamento di strutture che prestano servizi socio-assistenziali, articolo 5: fissa tre diverse tipologie di residenze: di tipo familiare, sino a un massimo di 6 posti; di tipo comunitario, fino a un massimo di 20 posti; di tipo alberghiero, fino a un massimo di 80 posti. È prevista la disponibilità di un posto in più per emergenze temporanee.
– Legge Regionale 41/2003, articolo 7: concerne le strutture per persone con disabilità, distinte, a seconda della maggiore o minore gravità delle stesse, in strutture di tipo familiare e comunità alloggio, composte, queste ultime, da 2 moduli di 10 persone ciascuno.
– Si veda anche il Regolamento Regionale 1/1994, disciplinante l’organizzazione e il funzionamento delle residenze sanitarie-assistenziali.
LIGURIA
– Legge Regionale 28/1984 (abrogata con Legge Regionale 34/1999).
– Legge Regionale 21/1988, articolo 47, lettera g) (abrogata con Legge Regionale 30/1998, di riordino e programmazione dei servizi sociali).
– Legge Regionale 29/1992, articolo 1 (abrogata con Legge Regionale 20/1999).
– La Legge Regionale 19/1994, recante Norme per la prevenzione, la riabilitazione e l’integrazione sociale dei portatori di handicap, stabilisce, all’articolo 10, che è il Consiglio Regionale a definire con regolamento i requisiti delle strutture riabilitative e di integrazione socio-sanitaria.
– Legge Regionale 30/1998, articolo 26, comma 2: i servizi residenziali sono articolati in: a) comunità alloggio e appartamenti protetti; b) comunità educativo-assistenziali; c) casa albergo; d) residenza servita; e) residenza protetta.
– Legge Regionale 20/1999, articolo 2, lettera c): elenca i presidi, tra i quali le strutture che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo e/o diurno, tra le quali rientrano anche le RSA.
LOMBARDIA
– Legge Regionale 1/1986, articolo 74 (modificata con Legge Regionale 25/1990 e 22/1993; gli articoli qui di seguito riportati non sembrano comunque coinvolti nelle modifiche intervenute): prevede forme di assistenza abitativa anche per disabili.
– Legge Regionale 1/1986, articolo 84, comma 5, lettera c): prevede centri residenziali per handicappati gravi.
– Legge Regionale 1/1986, articolo 88: prevede centri residenziali per handicappati gravi senza distinzione d’età, con protezione notturna e con attività riabilitativa.
– Legge Regionale 1/1986, articolo 89: prevede strutture protette, previa certificazione sanitaria, le cui caratteristiche sono rinviate ai Piani Sanitari Regionali.
– La Legge Regionale 31/1997, di riordino del Servizio Sanitario Regionale, all’articolo 4, comma 4, stabilisce che è la Giunta Regionale a fissare i requisiti strutturali e gestionali per l’accreditamento delle strutture che erogano servizi socio-sanitari. Le RSA, ove autorizzate, possono esercitare attività sanitarie.
– Delibera Giunta Regionale 12620 del 7 aprile 2003, Definizioni della nuova unità di offerta Residenza Sanitaria Assistenziale per persone con disabilità (RSD). Attuazione articolo 12, comma 2 della Legge Regionale 11 luglio 1997, n. 31: prevede RSD, Residenze Sanitarie per l’Assistenza a persone con disabilità (gli ex CRH, Centri Residenziali per Handicappati – IDR, Istituti di Riabilitazione Extraospedaliera – IEAH, Istituti Educativi Assistenziali per Handicappati). Le nuove RSD dovranno rispondere agli stessi standard sia strutturali che gestionali:
Comunità alloggio, piccoli nuclei di 8-10 persone.
Microcomunità: strutture simili alle comunità alloggio, ma con un numero inferiore di utenti.
Gruppi appartamento o appartamenti protetti: caratterizzati dal modesto numero di persone (4-5) e rivolti a persone disabili con discreta autonomia.
– Delibera Giunta Regionale 18333 del 23 luglio 2004: definisce la nuova unità di offerta Comunità alloggio Socio Sanitaria per persone con disabilità (CSS), indicando i requisiti per l’accreditamento.
MARCHE
– Legge Regionale 43/1988, articolo 9 (modificata con Leggi Regionali 48/1995, 37/1997, 11/2001 e 20/2002); l’articolo 9, qui riportato, è stato abrogato.
– Legge Regionale 43/1988, articolo 24: prevede la priorità degli interventi sociali anche integrati con quelli sanitari, a favore degli handicappati in situazione di gravità.
– Legge Regionale 43/1988, articolo 25, comma 1: prevede l’ospitalità in strutture residenziali a carico dei servizi sociali.
– Legge Regionale 43/1988, articolo 40: prevede l’affido familiare.
– Legge Regionale 43/1988, articolo 41, comma 2, lettera f) (il comma 2, qui menzionato, è stato abrogato).
– Legge Regionale 36/1995, articolo 1 (modificata con Legge Regionale 26/1996, che non sembra però avere innovato gli articoli 1 e 3 qui citati): prevede RSA per distrofici o persone colpite da sclerosi multipla.
– Legge Regionale 36/1995, articolo 3: prevede un nucleo modulare con un massimo di 3 moduli da 15 posti ciascuno.
MOLISE
– Legge Regionale 10/1980 (abrogata dalla Legge Regionale 30/2002).
– Delibera Giunta Regionale 222 del 17 febbraio 1992, intitolata Residenze assistenziali per minori – Atto di indirizzo e coordinamento: prevede l’affidamento di persone handicappate non autosufficienti a famiglie e a comunità di tipo familiare. Prevede servizi residenziali per handicappati quali: a) casa famiglia con un massimo di 6 soggetti di età possibilmente non superiore ai 10 anni; b) gruppo appartamento con non più di 8 persone di età non superiore ai 10 anni; c) l’istituto educativo assistenziale nel quale possono essere ospitati anche più fratelli.
– La Legge Regionale 1/2000, recante Riordino delle attività socio-assistenziali e istituzione di un sistema di protezione sociale e dei diritti sociali di cittadinanza, all’articolo 10, comma 2 elenca i servizi residenziali, mentre al comma 4 rinvia a successiva direttiva del Consiglio Regionale la fissazione dei requisiti strutturali e funzionali delle medesime: gli standard strutturali, organizzativi e gestionali delle residenze sono determinati nel Piano Socio-Assistenziale Regionale.
PIEMONTE
– Legge Regionale 22/1990, articolo 2 (abrogata con Legge Regionale 1/2004, che ha realizzato il sistema integrato di interventi e servizi sociali, in attuazione della Legge 328/2000).
– Legge Regionale 62/1995, articolo 28 (abrogata con Legge Regionale 1/2004, che ha realizzato il sistema integrato di interventi e servizi sociali, in attuazione della Legge 328/2000).
– Legge Regionale 1/2004, articolo 47, comma 1, concernente le persone con disabilità: tra i servizi, realizzabili tramite i Piani di Zona, prevede: alla lettera b) assistenza domiciliare, alla lettera f) accoglienza residenziale, alla lettera g) famiglie comunità, sostitutive della famiglia di origine.
– Delibera Giunta Regionale 38-16335 del 29 giugno 1992: definisce gli standard strutturali.
– Delibera Giunta regionale 11-24370 del 15 aprile 1998: disciplina le comunità alloggio (chiamate anche RAF – Residenze Assistenziali Flessibili), stabilendo un massimo di 10 posti, che uniti in nuclei possono arrivare fino a 30-40 posti.
– Delibera Giunta Regionale 34-23400 del 9 dicembre 1997: disciplina i gruppi appartamento (nuclei abitativi), con un massimo di 3 posti.
– Delibera Giunta Regionale 230-23699 del 22 dicembre 1997: disciplina il personale delle strutture.
– Legge Regionale 43/1997: prevede finanziamenti alle strutture.
PUGLIA
– Legge Regionale 58/1980, articolo 5 (abrogata con Legge Regionale 6/1988). Vige attualmente la Legge Regionale 17/2003, intitolata Sistema integrato d’interventi e servizi sociali in Puglia e attuativa della Legge 328/2000.
– Regolamento di Attuazione Legge regionale 25 agosto 2003, n. 17 – n. 23 del 4 maggio 2005, Capo II – Strutture per disabili (dall’articolo 30 all’articolo 35): all’articolo 31 definisce i requisiti delle comunità alloggio, stabilendo da un minimo di 7 ad un massimo di 12 utenti; all’articolo 32 descrive i gruppi appartamento, prevedendo da un minimo di 2 ad un massimo di 6 utenti; all’articolo 33 definisce la comunità socio-riabilitativa, indicandola come la struttura più idonea a garantire il “dopo di noi” e stabilendo che può essere costituita da più nuclei aventi ciascuno la capacità ricettiva di 5 utenti per un massimo di 20 utenti, più eventuali 2 posti per le emergenze; all’articolo 34 descrive la residenza protetta, stabilendo fino ad un massimo di 120 posti letto divisi in moduli da 20 utenti.
SARDEGNA
– Legge Regionale 4/1988, articolo 40 (modificata con Leggi Regionali 1/1990, 32/1990, 44/1990, 13/1991, 17/1993, 39/1993, 2/1994, 5/1995, 16/1997, 31/1998, 8/1999 e 21/1999, ma non all’articolo 40 qui richiamato): prevede comunità alloggio per persone autosufficienti e comunità protette per quelle non autosufficienti.
– Decreto del Presidente della Giunta Regionale 12/1989, articolo 19: prevede comunità alloggio per minori, con non più di 8 ospiti, e per anziani, con non più di 16 ospiti, e con un rapporto di un operatore ogni 2, massimo 4 utenti, e di 1 a 6 per comunità con persone handicappate.
– Decreto del Presidente della Giunta Regionale 12/1989, articolo 20: prevede case protette per persone handicappate con non più di 20 ospiti.
SICILIA
– Legge Regionale 22/1986, articolo 8: prevede affidamenti familiari o a comunità di tipo familiare.
– Legge Regionale 22/1986, articolo 17: prevede interventi coordinati e integrati per persone handicappate.
TOSCANA
– Legge Regionale 42/1992, articolo 23 (modificata con Leggi Regionali 25/1996, 72/1997 – la quale ultima l’ha parzialmente abrogata, lasciando in vigore solo gli articoli 13 e 14, e quindi abrogando gli articoli qui richiamati – e Legge Regionale 73/1999): prevede comunità alloggio autogestite e case famiglia.
– Attualmente, a disciplinare la materia dei servizi sociali, è la Legge Regionale 41/2005. Le strutture qui esaminate sono disciplinate al Capo III (dall’articolo 20 all’articolo 25): articolo 21, comma 1, lettera a): strutture residenziali, caratterizzate da media ed alta intensità assistenziale, media ed alta complessità organizzativa, con una capacità ricettiva massima di 80 posti letto, organizzati in nuclei fino a 40 ospiti; lettera b): strutture a prevalente accoglienza alberghiera, con una capacità ricettiva massima di 80 posti letto organizzati in nuclei fino a 40 ospiti; lettera c): strutture a carattere comunitario, con bassa intensità assistenziale, con una capacità ricettiva massima di 20 posti letto, compresi posti di pronta accoglienza per le emergenze; articolo 22: disciplina le comunità di tipo familiare, compresi i gruppi appartamento e le aggregazioni di comunità, fino ad un massimo di 8 soggetti, solo con obbligo di comunicazione di avvio attività al Comune.
– Delibera Giunta Regionale 466 del 7 maggio 2001: distingue le RSD, Residenze Sanitarie per Disabili, sino a un massimo di 20 posti letto, e le comunità alloggio per disabili, sino a un massimo di 12 posti letto.
TRENTINO ALTO ADIGE – PROVINCIA DI BOLZANO
– Legge Provinciale 13/1991 (modificata con Leggi Provinciali 43/1992, 5/1995, 8/1996, 1/1997, 8/1997, 16/1997, 1/1998, 5/1998, 9/1998, 1/1999, 9/1999, 13/2000, 16/2001, 11/2002 e 12/2003. Confronta inoltre Decreto del Presidente della Giunta Provinciale 72/1999, regolamento esecutivo della presente legge, con il quale vengono definiti i compiti dell’operatore socio-assistenziale e Decreto del Presidente della Giunta Provinciale 46/2001, regolamento disciplinante le comunità alloggio per persone con handicap fisico grave): prevede il riordino dei servizi sociali. In particolare l’articolo 14, ove si precisa che i servizi sociali sono organizzati:
a) in forme aperte con carattere domiciliare anche a sostegno della famiglia, di centri diurni, di laboratori preferibilmente integrati, adeguatamente distribuiti sul territorio;
b) in forme sostitutive della famiglia;
c) in forma residenziale di contenuta capienza e preferibilmente di tipo parafamiliare, con più tipologie assistenziali, con il coinvolgimento degli assistiti;
d) in strutture di lunga degenza o protratta assistenza per casi gravi, fatte salve le competenze del Servizio Sanitario Provinciale.
I servizi sociali sono comunque aperti a nuove tipologie assistenziali, anche sperimentali, finalizzate a rispondere a nuovi bisogni emergenti o ad affrontare in maniera nuova bisogni già noti.
Laboratorio protetto e laboratorio riabilitativo, istituto per disabili e comunità alloggio per disabili e per disabili fisici gravi (“vita autonoma”), centro addestramento abitativo, affido presso famiglie.
– Decreto del Presidente della Provincia n. 46 del 10 agosto 2001, regolamento di esecuzione concernente: Disciplina delle comunità alloggio destinate a persone portatrici di grave handicap fisico: si prevedono da 3 a 5 posti letto.
TRENTINO ALTO ADIGE – PROVINCIA DI TRENTO
– Legge Provinciale 14/1991, articolo 31 (modificata con Leggi Provinciali 8/1995, 3/1999, 1/2002 e 8/2003, che non hanno però modificato l’articolo 31 qui richiamato): riguarda servizi residenziali in genere, per i quali l’autorizzazione è rimessa alla Giunta Provinciale la quale, ai sensi della presente legge, ha provveduto ad emanare i regolamenti sui requisiti strutturali e funzionali dei servizi residenziali socio-assistenziali.
– Decreto del Presidente della Provincia del 27 agosto 2001, n. 28-79/Leg (abrogato dal successivo Decreto del Presidente della Provincia del 22 ottobre 2003, n. 31-152/Leg, attualmente in vigore): regolamento sull’autorizzazione al funzionamento e sulla vigilanza delle strutture socio-assistenziali residenziali e semiresidenziali, ai sensi dell’articolo 35 della Legge Provinciale 12 luglio 1991, n. 14, e successive modificazioni. Il catalogo delle tipologie di servizio attualmente in vigore prevede:
a) comunità alloggio, per ultraquindicenni con disabilità, con un massimo di 8-9 posti letto;
b) centri residenziali per disabili, composti da nuclei abitativi, ciascuno dei quali ha un massimo di 8 posti letto, con stanze che possono averne sino a un massimo di 3. I centri residenziali hanno 10 nuclei, sino a un massimo di 80 posti letto.
UMBRIA
– Legge Regionale 29/1982, articolo 21 (abrogata con Legge Regionale 3/1997, di riordino della rete dei servizi e delle funzioni socio-assistenziali, che tratta dei servizi residenziali e semiresidenziali agli articoli 17 e 43).
– Delibera Giunta Regionale n. 21 del 12 gennaio 2005, Approvazione atto di indirizzo Regionale in materia di prestazioni socio-sanitarie in attuazione del DPCM 14 febbraio 2001 (pagina 49 e seguenti): prevede famiglie-comunità per il “dopo di noi”, con un massimo di 6 posti letto, compresi quelli per le emergenze; comunità alloggio per soggetti disabili gravi, con un massimo di 20 posti, compresi eventuali posti riservati all’emergenza, organizzati in moduli autonomi di massimo 4 persone.
VALLE D’AOSTA
– Legge Regionale 5/2000, di organizzazione del servizio socio-sanitario regionale, articolo 38 (modificata con Legge Regionale 21/2003): prevede la realizzazione di strutture e l’accreditamento.
– Legge Regionale 3/1999: prevede interventi a favore delle persone con disabilità.
– Legge Regionale 18/2001: Piano Socio-Sanitario Regionale per il triennio 2002/2004.
– Delibera Giunta regionale n. 4594 del 2 dicembre 2002 (da pagina 16): prevede comunità protette per disabili sino a 65 anni, da un minimo di 6 ad un massimo di 10 posti letto; la casa famiglia, per disabili sino a 65 anni, con un minimo di 5 e un massimo di 8 posti letto, gestito da una famiglia interna alla struttura; casa alberghiera, per disabili autosufficienti, ciascuno per uno o due persone, senza limiti di età.
VENETO
– Legge Regionale 28/1991, articolo 4: prevede l’istituzione di RSA.
– Legge Regionale 56/1994 (da raffrontare con la Legge Regionale 22/2001, che modifica alcuni àmbiti territoriali delle USL individuati nell’allegato A della presente legge): abroga la Legge Regionale 78/1979, tenendo in vita solo l’articolo 40, che prevede a carico delle USSL le residenze per persone handicappate.
– Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 8/1984: prevede il gruppo famiglia gestito possibilmente da una coppia di coniugi destinato massimo a 4 minori.
– Legge Regionale 7/1999, articolo 58 (modificata con Legge Regionale 46/1999, che non sembra tuttavia aver cambiato l’articolo 58 qui citato): prevede le case famiglia con non più di 12 utenti su progetto educativo personalizzato.
– Delibera Giunta Regionale 3279 del 22 ottobre 2004: approvazione delle Linee Guida per la predisposizione del progetto personale di “Vita Indipendente”.
II. 2 – Normativa di diritto privato
Gli strumenti a cui si fa ricorso sono:
a) la donazione o il lascito testamentario della propria abitazione a favore di un soggetto pubblico o privato, che si assume la responsabilità della gestione dell’immobile e della vita del figlio con disabilità che continuerà ad abitarlo;
oppure:
b) la costituzione di fondazioni “di partecipazione” o “della comunità” che provvedano allo stesso scopo.
a): la donazione consente al genitore di verificare in vita come si comporta il donatario nei confronti della gestione della vita quotidiana della persona con disabilità. A tal fine il donante può inserire alcune clausole specifiche: ad esempio una condizione risolutiva, secondo la quale gli effetti della donazione vengono meno, e quindi il donatario perde la proprietà dell’immobile, se non si comporta secondo quanto concordato nel contratto di donazione; più specificamente può trattarsi di donazione modale ai sensi dell’articolo 793 del Codice Civile.
Il testamento, invece, consente al genitore di lasciare ad un erede o a un legatario il proprio appartamento, ponendo la condizione che il beneficiario garantisca la qualità della vita della persona con disabilità nello stesso appartamento o altrove, secondo le indicazioni date dal testatore.
Per garantirsi del rispetto della sua volontà dopo la morte, il testatore nomina un curatore testamentario che provvede a vigilare sulle modalità assistenziali tenute dal beneficiario e, in caso di inadempienza di questi, chiede la risoluzione della disposizione testamentaria (articolo 703 del Codice Civile).
b): le fondazioni “di partecipazione” o “della comunità”.
Negli ultimi anni, ad iniziativa di singoli Comuni o di associazioni, si stanno costituendo delle fondazioni con lo scopo di costruire o ristrutturare immobili conferiti in patrimonio o ricevuti per donazione o testamento, al fine di garantire la vita in essi di persone con disabilità prive dei genitori.
Nel caso in cui la fondazione sia costituita da un Comune, normalmente lo Statuto prevede che possano diventare associati della fondazione quanti effettuano un’erogazione liberale. In tal caso la fondazione, pur rimanendo frutto dell’atto di volontà del costituente, si trova ad avere, a livello di amministrazione, un organismo nuovo costituito dall’assemblea dei benefattori, che possono anche nominare alcuni membri del Consiglio di Amministrazione.
Nel caso invece delle fondazioni “della comunità”, la costituzione avviene ad opera di una pluralità di soggetti (associazioni e familiari), che formano un soggetto fondatore plurimo. Tali fondatori prevedono, normalmente, la possibilità di partecipazione di altri soggetti, come nel caso precedente.
Nell’uno e nell’altro caso, comunque, caratteristica costante è che le fondazioni sono espressione della solidarietà di una certa comunità che aggrega attorno al progetto un crescente numero di soggetti quasi esclusivamente appartenenti alla stessa.
Sulla base di quanto qui detto e di quanto si dirà sugli aspetti finanziari, molti Comuni realizzano dei progetti personalizzati di cui all’articolo 14 della Legge 328/2000, talora inseriti nei Piani di Zona, di cui all’articolo 19 della medesima norma. Tali progetti prevedono la soluzione della residenzialità con pernottamento della persona con disabilità, assistita anche nel proprio domicilio, da volontari e l’accoglienza diurna presso centri socio-riabilitativi pubblici o gestiti in convenzione da cooperative sociali, nel rispetto delle indicazioni fornite dai genitori.
Capo III – Gli aspetti economici
La gestione delle strutture per il dopo di noi comporta fondamentalmente due ordini di costi:
a) la manutenzione e gestione degli immobili di proprietà dell’ente gestore di servizi;
b) il funzionamento quotidiano degli stessi, comprendente costi del personale e della vita quotidiana degli ospiti.
Per l’aspetto sub a) normalmente provvedono gli enti proprietari dei beni immobili, con un apposito fondo in cui confluiscono risorse finanziarie necessarie a coprire gli oneri di ristrutturazione, adattamento, arredo, manutenzione ordinaria e straordinaria, oltre agli oneri fiscali legati all’immobile medesimo.
Quanto ai costi sub b), che sono quelli di maggiore consistenza e di durata quasi illimitata, si provvede in diversi modi:
1) normalmente l’ente gestore fissa una retta giornaliera che, a seconda della situazione economica dell’ospite, può essere totalmente o parzialmente a carico dei servizi sanitari e anche di quelli sociali.
Può essere prevista anche la compartecipazione alla spesa da parte degli stessi utenti, ad esempio con la cessione di una quota della pensione di invalidità e/o dell’indennità di accompagnamento. Taluni enti gestori chiedono anche un’obbligazione sottoscritta da parte dei parenti prossimi, ai sensi dell’articolo 433 del Codice Civile. Altri, addirittura, in caso di mancato pagamento dell’utente, agiscono giudizialmente sui soggetti tenuti agli alimenti dell’ospite, sempre ai sensi dell’articolo 433 del Codice Civile.
Quest’ultima prassi è però del tutto illegittima, dal momento che l’azione surrogatoria ex articolo 900 del Codice Civile per gli alimenti non è esercitabile da soggetti diversi dall’interessato, trattandosi di azione strettamente personale, come hanno chiarito numerose sentenze. La prassi invece della pretesa di sottoscrizione di obbligazione sussidiaria da parte di parenti, pur se giuridicamente corretta, è eticamente molto discutibile.
Taluni Comuni sono anche ricorsi all’azione generale di arricchimento senza giusta causa, ex articolo 2041 del Codice Civile, contro i parenti tenuti agli alimenti che si arricchirebbero non pagando gli stessi all’interessato in stato di bisogno che non li chiede, pur essendo ospite non pagante nelle strutture residenziali. Anche il ricorso a questa azione giudiziale è di dubbia correttezza e legittimità, pur nel contrasto della giurisprudenza.
2) Molti parenti di ospiti di residenze per disabili, al fine di premunirsi contro questi rischi, provvedono, già dalla tenera età della persona con disabilità, a precostituire delle rendite tramite assicurazioni private, i cui premi però, a causa della situazione di minorazione dell’assicurato e della probabile minore durata della vita dello stesso, risultano estremamente esosi, mentre le rendite non riescono a coprire comunque l’ammontare totale della retta quotidiana che, talora, può raggiungere anche i 250 euro al giorno.
Per le prestazioni di carattere socio-sanitario, quali possono configurarsi quelle di assistenza in residenze per disabili gravi, il Decreto Legislativo 229/1999 ha previsto la possibilità di fondi integrativi speciali, costituiti anche sulla base di accordi collettivi di lavoro, finalizzati alla produzione di rendite vitalizie. Manca però ancora un regolamento chiaro su questa materia. Manca, altresì, un regolamento per il concreto avvio di analogo istituto a proposito della copertura dei costi di prestazioni sociali, previsto dall’articolo 26 della Legge 328/2000.
3) Altri genitori ricorrono a un contratto a favore del terzo, stipulato con l’ente gestore del servizio residenziale. Tale contratto era stato previsto, con la denominazione di Contratto di affido familiare, in una proposta di legge della Legislatura chiusasi nel 2001 (Atto Camera n. 960, primo firmatario onorevole Giacco – XIII Legislatura), ma non è mai pervenuto in discussione.
Secondo l’articolo 1322 del Codice Civile la libertà di autonomia negoziale consente, comunque, di stipulare contratti di questo tipo.
Ecco come lo descrive l’avvocato Francesca Vitulo nel sito www.dopodinoi.org:
«IL CONTRATTO DI MANTENIMENTO – Laddove si vogliano raggiungere le stesse finalità di cura ed assistenza del soggetto incapace, proprie della sostituzione fedecommissaria, ma risultino mancare i presupposti necessari per la sua applicabilità, può trovare attuazione l’ipotesi del contratto di mantenimento (o contratto di assistenza vitalizio). Ci troviamo di fronte ad una figura contrattuale atipica stigmatizzata dalla sentenza della Cassazione n. 8825 del 1996 in base alla quale si può definire contratto di assistenza vitalizio l’accordo con il quale una parte, in corrispettivo del trasferimento di un immobile o della cessione di un capitale, si obbliga a fornire all’altra prestazioni alimentari od assistenziali, per tutta la durata della vita.
Non si tratta di un sottotipo di rendita vitalizia, bensì di un contratto atipico di “vitalizio improprio” al quale si applica la disciplina di cui agli artt. 1453 e ss. del codice civile e non quella del contratto di rendita con particolare riguardo all’art. 1878 c.c.
I soggetti coinvolti in detta tipologia contrattuale possono essere tre: lo stipulante, il promittente ed il terzo. Il promittente si obbliga, nei confronti dello stipulante, al mantenimento vitalizio del terzo, secondo il tenore di vita da questo condotto al tempo della stipulazione ed indipendentemente dall’esistenza di uno stato di bisogno, nonché all’assistenza morale e materiale dello stesso, ottenendo in cambio dallo stipulante beni mobili, immobili o denaro. Diversamente da quanto accade nell’ipotesi della sostituzione fedecommissaria, stipulante può essere anche un soggetto che non sia genitore, ascendente o coniuge del terzo portatore di handicap beneficiario dell’assistenza, il quale può essere anche un soggetto non interdetto. Anche per il promittente l’assistenza non ci sono limiti soggettivi: può essere persona fisica o giuridica (pubblica o privata).
Il promittente, dunque, diventa proprietario dei beni a lui trasferiti dallo stipulante, contemporaneamente è tenuto ad adempiere alle obbligazioni previste dal contratto di mantenimento. Si pone a questo punto il problema di stabilire garanzie precise al fine di assicurare l’adempimento del promittente, evitando così, nel caso di sua negligenza, un qualsiasi effetto pregiudizievole per il soggetto incapace.
Il primo elemento da sottolineare è dato sicuramente dal contenuto del contratto di mantenimento medesimo: lo stesso dovrà contenere indicazioni dettagliate ed esaustive in ordine alla obbligazione posta a carico del promittente.
Ogni aspetto dovrà essere previsto in modo accurato (es.: assistenza morale, materiale, sanitaria, ospedaliera, vitto alloggio, vestiario…), al fine di evitare qualsiasi lacuna (che potrebbe rivalersi pregiudizievole per il soggetto incapace).
A fronte di una previsione minuziosa delle obbligazioni del promittente, dovranno corrispondere specifiche previsioni in ordine alle conseguenze giuridiche derivanti da un suo eventuale inadempimento. Vorrei soprattutto sottolineare il fatto che con detta tipologia contrattuale il promittente diventa proprietario dei beni trasferiti dallo stipulante e ciò significa che non sussiste distinzione alcuna fra i beni ceduti dallo stipulante al promittente e i beni che costituiscono il patrimonio stesso del promittente: i beni trasferiti diventano parte integrante del patrimonio di quest’ultimo, con tutte le conseguenze che da tale situazione possono scaturire (es.: fallimento del promittente, debiti del promittente). A tale proposito si potrebbero adottare alcune precauzioni al fine di evitare il disperdersi del patrimonio posto a “garanzia” dell’adempimento del promittente.
Ad esempio: nel caso di trasferimento di beni immobili, lo stipulante potrebbe riservarsene l’usufrutto, con la conseguenza che il promittente diventerà pieno proprietario dei beni solo dopo la morte dello stipulante oppure, a garanzia dell’adempimento degli obblighi del promittente, potrebbe essere iscritta ipoteca legale sugli immobili trasferiti. Lo stesso contratto potrebbe prevedere una condizione a cui subordinare l’efficacia traslativa del medesimo, subordinandone l’avveramento all’effettivo adempimento dell’obbligazione assunta dal promittente nei confronti del terzo incapace, chiaramente entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge (art. 1353 e ss c.c.)».
4) Più recentemente comincia a far capolino nella prassi italiana un istituto di legislazione anglosassone, studiato particolarmente in Italia dal professor Maurizio Lupoi dell’Università di Genova.
Ecco anche qui come lo descrive l’avvocato Francesca Vitulo nel sito www.dopodinoi.org, testé citato:
«TRUST – Al fine di ottenere un’adeguata tutela dell’erede, si potrebbe ricorrere, previa disamina di eventuali incompatibilità con la legislazione italiana, all’istituto del trust, già in uso negli ordinamenti stranieri.
Si tratta di un istituto giuridico di provenienza anglosassone, utilizzato nei Paesi che lo contemplano, per gli scopi più svariati, non ultimo quello della tutela di minori ed incapaci ai quali si desideri dare assistenza anche per il tempo in cui vengano a mancare genitori o parenti che possano occuparsi di loro.
L’ordinamento italiano non contempla l’istituto del trust (allo stato attuale sono stati, infatti, solo presentati alcuni progetti di legge per la regolamentazione del trust). Con l’entrata in vigore, il 1° gennaio 1992, della Convenzione dell’Aja del 5 luglio 1985 il panorama è sicuramente cambiato. Tale Convenzione ha dettato le regole in base alle quali un trust possa trovare validità ed esecuzione anche in un ordinamento “estraneo” e il nostro Paese ha ratificato interamente la Convenzione, senza alcuna riserva.
Attraverso il trust, la cui struttura può in qualche modo avvicinarsi a quella di un negozio fiduciario, un dato soggetto, denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario (legal owner), gestisce un patrimonio che gli è trasmesso da un altro soggetto, denominato settlor (o disponente) per uno scopo prestabilito, purché lecito e non contrario all’ordine pubblico, nell’interesse di uno o più beneficiari o per un fine specifico (lo stesso disponente può essere fiduciario e anche beneficiario del trust).
Nella prassi sono ormai numerosi i casi in cui i genitori di un soggetto disabile ricorrono a questo istituto al fine di garantire al figlio la soddisfazione di ogni necessità (morale, economica, medica), attraverso la costituzione di un patrimonio le cui utilità saranno impiegate unicamente nel suo interesse. Il trust permette, infatti, di apprestare l’organizzazione economica e assistenziale di cui il proprio figlio più debole avrà bisogno, soprattutto dopo la morte dei genitori. I beni in trust sono vincolati a uno scopo che il trustee ha il compito di realizzare. Il trustee, persona o ente di fiducia del disponente, pur acquistando la titolarità di detti beni, nell’esercizio dei suoi poteri decisionali in ordine alle scelte economiche da adottare, non può comunque operare al di fuori dei limiti dettati dallo scopo, nel caso in esame di assistenza e cura del soggetto disabile, rispondendo personalmente e illimitatamente per ogni obbligazione assunta.
Accanto al trustee opera un’ulteriore figura: il guardiano (protector). Il guardiano, anch’egli nominato dal disponente, è il soggetto preposto alla cura e alla tutela del soggetto incapace, con la funzione di vigilare sulla realizzazione dello scopo del trust. Egli (persona o ente di fiducia), controlla l’operato del trustee e può essere titolare di poteri più o meno incidenti sulle scelte di quest’ultimo che vanno dal diritto di essere sentito, di dare il consenso, di rimuovere il trustee, di sostituirlo, di operare delle verifiche, di agire nei confronti dello stesso, ma non può sostituirsi al trustee nell’amministrazione diretta dei beni in trust.
In sostanza, nella prassi dei trust interni, cioè localizzati in Italia, si assiste ad una scissione dei ruoli: il trustee provvede agli aspetti di natura economica, il guardiano (protector) a quelli di natura personale del soggetto debole. Il reddito prodotto e qualsiasi altra utilità vengono destinati all’interesse esclusivo del soggetto che si vuole tutelare, sotto ogni forma, al fine di garantirgli l’assistenza morale ed economica di cui necessita e l’eventuale eccedenza può essere accumulata o reinvestita nel rispetto dello scopo del trust.
La durata del trust è normalmente legata alla vita del soggetto debole, alla morte del quale il trustee provvederà a trasferire i beni in trust ai beneficiari finali indicati nell’atto di trust, quali fratelli o sorelle o un ente. Trust nell’interesse di soggetti disabili potranno essere istituiti anche nel caso in cui questi siano interdetti inabilitati, così rimanendo sottratti alla gestione diretta da parte del tutore o del curatore: essi assumeranno invece un potere di controllo in ordine all’operato del trustee, nei cui confronti potranno agire qualora questi si rendesse inadempiente rispetto allo scopo del trust.
È chiaro che laddove si voglia utilizzare il trust a tutela di un incapace, occorrerà così delinearne in maniera puntuale lo scopo, le modalità di assistenza, nonché i poteri del fiduciario e le modalità di una sua eventuale sostituzione. L’atto istitutivo del trust riveste, infatti, un’importanza fondamentale, in quanto la responsabilità del trustee risulta essere strettamente connessa proprio alle previsioni di tale atto (trust instrument).
Devo a questo punto sottolineare un ulteriore importante aspetto dell’istituto del trust: la segregazione patrimoniale, per effetto della quale i beni in trust vanno a costituire un patrimonio separato rispetto ai beni che compongono il patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari. La conseguenza più importante di un simile “stato di fatto” è che qualunque vicenda personale e patrimoniale che colpisca queste figure non travolge mai i beni in trust. La segregazione fa infatti sì che i beni in trust non possano essere aggrediti dai creditori personali del trustee, del disponente e dei beneficiari e il loro eventuale fallimento non vedrà mai ricompresa nella massa attiva fallimentare i beni in trust.
I beni in trust risultano quindi sottoposti ad un vincolo di destinazione (sono destinati al raggiungimento dello scopo prefissato dal disponente nell’atto istitutivo) e ad un ulteriore vincolo di separazione (cioè giuridicamente separati sia dal patrimonio residuo del disponente sia da quello del trustee)».
5) Durante la precedente Legislatura, era stato presentato e approvato in uno dei due rami del Parlamento un progetto di legge sulla costituzione di un “fondo per i non autosufficienti” (Atto Camera n. 2166 e altri), a somiglianza di quanto già stabilito dalla Provincia Autonoma di Bolzano, sulla base di una normativa vigente nelle legislazioni dei Paesi di lingua tedesca.
Tale progetto di legge, però, prevedendo una copertura con una “tassa di scopo”, non è stato accettato dal Ministero del Bilancio ed è quindi decaduto. Esso verrà ripresentato, con una proposta di legge di iniziativa popolare, promosso dai sindacati confederali.
6) Quanto ai criteri per la configurazione dell’ammontare della retta quotidiana, la Regione Lombardia, con Delibera della Giunta Regionale 12620 del 7 aprile 2003, ha innovato rispetto al vecchio sistema delle rette standardizzate secondo la durata massima di degenza per tipologia di minorazione, introducendo un nuovo sistema, a proposito delle Residenze Sanitarie per Disabili (RSD).
Le nuove RSD dovranno rispondere agli stessi standard sia strutturali che gestionali, ma le loro prestazioni saranno remunerate non più a tariffa fissa, diversa per ciascun tipo di struttura, ma in relazione ai servizi sociosanitari resi alla persona disabile.
Sono state previste esattamente cinque categorie di assistenza, ciascuna con una propria remunerazione, corrispondente al grado di fragilità e ai bisogni assistenziali, educativi, riabilitativi e sanitari della persona disabile.
Per gli ospiti accolti dal 1° maggio 2003 nelle RSA accreditate in Lombardia, cambia il sistema di remunerazione regionale, che non sarà più basato su una classificazione predeterminata per posto letto per non autosufficienti totali, parziali e Alzheimer, ma varierà con le esigenze effettive dell’ospite rilevate tramite i SOSIA (Schede di Osservazione Intermedia di Assistenza).
I SOSIA – che verranno aggiornati ogni sei mesi – permetteranno l’individuazione di otto categorie di riferimento, comprendenti i dati sociali e sanitari di ogni ospite e le relative esigenze.
La remunerazione verrà corrisposta in funzione di tali classificazioni.
Capo IV – Le esperienze
Le esperienze relative al “dopo di noi” che sono fiorite in quest’ultimo decennio in varie parti d’Italia sono state documentate in alcuni convegni e seminari dei quali si danno, di seguito, i riferimenti:
– «Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone», n. 4/2000, Le fondazioni di comunità, pp. 45-113, con scritti di Sergio Dugone, Davide Guzzi, Bernardino Casadei, Emilio Amigoni, Fernando Pavanello e Silvio Nasato, Mara Simoni Corsolini.
– FIVOL (Fondazione Italiana per il Volontariato) Roma, Fondazione Camminiamo Insieme di Salerno (Migliaro), Fondazione Percorso Verde di Salerno, Case famiglia – Aspetti sociali e amministrativi, Atti del Seminario organizzato a Salerno, il 19 e 20 novembre 1999. Finito di stampare nel marzo 2001, con scritti di Franco Occhiogrosso, Rosa Egidio Masullo, Eustachio Paolicelli, Franco Bentivogli, Salvatore Nocera, Mario Narni Mancinelli, Carla Dente, Gianfranco Solinas, Domenico Vaccaro.
– Fondazione Zancan di Padova, Seminario di ricerca su Le fondazioni di comunità: verifica delle esperienze e possibili sviluppi, svoltosi a Malosco (Trento) dal 20 al 23 giugno 2004. Testo non stampato, ma pubblicato in proprio, con scritti di Sergio Dugone, Emilio Amigoni, Bernardino Casadei, Mario Narni Mancinelli, Silvio Nasato, Salvatore Nocera, Angelo Paganin.
– «Sindrome Down Notizie», n. 3/2004, Il loro futuro ha una casa, Atti del convegno sulla residenzialità di disabili intellettivi, svoltosi a Roma il 10-11 dicembre 2004, con scritti di Lorenzi, Spanu, Cimagalli, Cottini, Giancaterina (Comune di Roma), Dan (Comune di Torino), D’Amato, Di Marzo (Comuni del Cadore), Mazotti e altri (Le esperienze della Fondazione Italiana verso il futuro).
– Associazione Mondo Nuovo di Volterra, Le persone ombra… e dopo di noi?, Atti del convegno tenutosi a Volterra il 24 novembre 2003, stampato nell’ottobre 2005, con scritti di Giorgio Mariani, Lorena Paganelli, Salvatore Nocera, Stefano Lelli, Giovanni Manghetti, Miranda Casiliani, Anna Batini e Fausto Giancaterina.
Alcuni esempi di esperienze
Si indicano di seguito alcune fra le tante esperienze:
A) Il Comune di Roma, con propria delibera, ha recentemente costituito una fondazione “di partecipazione”, prevedendo la possibilità dei genitori di donare alla stessa i propri immobili, con l’obbligo del Comune stesso di garantire la permanenza nel proprio appartamento dei figli con disabilità e di destinare poi, alla morte di lui, lo stesso a favore di altri disabili.
B) Molte associazioni – quali ad esempio la Comunità di Capodarco a Roma, l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e altre sempre a Roma, il Coordinamento Provinciale Associazioni Handicappati di Treviso (con la partecipazione attiva dei Comuni e dell’ASL della Provincia di Treviso), l’AIAS(Associazione Italiana Assistenza Spastici) di Milano – hanno costituito delle fondazioni con lo scopo di garantire il dopo di noi ai figli dei propri soci, talora prevedendo anche l’avvio iniziale dell’esperienza durante la vita degli stessi genitori. Tali fondazioni sono convenzionate con i Comuni ove si ha la loro sede legale affinché, in luogo della retta che dovrebbe essere corrisposta a grossi istituti speciali, venga pagata una retta inferiore per la gestione della permanenza in piccole case famiglia.
C) Più di recente ancora, si ha il caso di fondazioni “della comunità” costituite da un istituto di credito di una certa regione, come nel caso della Cariplo in Lombardia, che offre, a fondo perduto, il 50% del patrimonio iniziale di fondazioni operanti nelle diverse realtà territoriali, a condizione che le stesse comunità locali raccolgano i fondi per la costituzione integrale del patrimonio iniziale e quindi per la costituzione formale delle fondazioni. In questa fattispecie l’istituto di credito fa da tesoriere alle fondazioni, amministrandone i fondi e offrendo ai sottoscrittori di quote di partecipazione o ai donatori una serie di servizi bancari volti prevalentemente a personalizzare e a pubblicizzare i progetti di finanziamento.
*Testo pubblicato originariamente in «Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone», n. 1/2006, con il titolo Il punto sul «dopo di noi». Per gentile concessione della Fondazione Zancan, editrice di tale periodico.
**Vicepresidente nazionale FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Per un nostro dibattito scientifico «Urge la nostra fondamentale presenza in qualità di studiosi - scrive Claudio Roberti - perché dobbiamo poter dire: “Niente su di Noi senza di Noi", anche in tale ambito». E…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…