Sembra proprio che la ratio della Legge 6/2004, che ha istituito nel nostro Paese la figura dell’amministratore di sostegno, sia stata recepita da coloro che operano nell’ambito della giustizia. Alla luce infatti delle più recenti pronunce, possiamo ritenere confermate le caratteristiche di tale istituto, così com’erano state delineate dal Legislatore.
Non solo, quello che in gergo viene chiamato diritto vivente ha consentito anche di chiarire alcuni punti oscuri presenti nelle disposizioni di legge, risolvendo vari dubbi interpretativi.
Il Tribunale di Bologna, nella Sentenza n. 2288 del 3 ottobre 2006, ha enunciato a chiare lettere come la scelta tra l’interdizione o l’amministrazione di sostegno non debba basarsi sulla gravità o la natura dell’infermità.
Nello specifico caso in esame, il Tribunale ha respinto l’istanza di interdizione promossa dai genitori di una persona in stato vegetativo permanente, adottando un’argomentazione essenzialmente logica.
Si legge infatti nelle motivazioni che le gravissime condizioni cliniche, comportanti l’annullamento delle relazioni sociali, unitamente alla degenza presso una struttura protetta, costituiscono di per sé una prima protezione dal compimento di atti svantaggiosi.
Senza dunque basarsi esclusivamente e riduttivamente sulla gravità delle condizioni personali, ma in considerazione di tutte le circostanze e specificità della singola fattispecie, il Tribunale ha optato per la nomina dell’amministratore di sostegno, con notevole risparmio di tempo per l’attivazione degli strumenti di tutela.
Tale pronuncia, per altro, è conforme ad un recente orientamento della Corte di Cassazione (n. 13584 del 12 giugno 2006) che nel definire i criteri in base ai quali utilizzare l’interdizione o l’amministrazione di sostegno, prescinde dall’intensità dell’infermità, facendo esclusivamente riferimento al grado di adattabilità dello strumento di tutela alle condizioni della persona.
Secondo il citato orientamento, infatti, anche nell’ipotesi di grave non autosufficienza o di grave infermità, non risulta automatico il ricorso all’interdizione; infatti, con l’amministrazione di sostegno, «il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possano determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura».
La conferma che l’istituto dell’amministrazione di sostegno ha aperto il campo non solo alla tutela degli infermi di mente, ma di chiunque si trovi in situazione di difficoltà nell’esercizio dei suoi diritti è data anche dalla Pronuncia del Tribunale di Modena dell’8 febbraio 2006.
In tale caso, infatti, è stata disposta la nomina dell’amministratore di sostegno in favore di una persona tossicodipendente. Qui il Giudice Tutelare ha ritenuto opportuna l’applicazione della Legge 6/2004 al fine di dare sostegno ad «una persona che probabili debolezze caratteriali, presumibili errori nelle scelte di vita […] hanno trascinato su un piano il cui abbandono è reso arduo dalla tossicodipendenza».
Pertanto, nei casi di tossicodipendenza, l’amministrazione di sostegno potrebbe diventare un ulteriore strumento da coordinare con gli altri istituti di protezione e supporto dei nuclei familiari problematici (come ad esempio l’affido familiare).
Relativamente poi all’annosa questione della necessità o meno del patrocinio di un avvocato nella procedura di nomina, si registra una parziale discrepanza tra la giurisprudenza di merito e quella di legittimità.
Più volte, infatti, è stata richiamata nella letteratura giuridica l’Ordinanza della Corte d’Appello di Venezia del 16 gennaio 2006 con cui si è ribadita la natura non contenziosa della procedura di nomina dell’amministratore di sostegno e quindi la non indispensabilità dell’intervento di un avvocato.
La Corte ha considerato in quel caso come la nuova disciplina abbia prodotto una vera e propria rottura con il sistema precedente, insistendo sul fatto che la Legge 6/2004 sia stata pensata anche per creare un procedimento strutturalmente semplificato e improntato a princìpi di massima rapidità, non onerosità, sburocratizzazione ed elasticità.
Nel dettaglio, a giudizio della Corte di merito, «la finalità preminente del nuovo istituto di assicurare un sistema facilmente accessibile, di adeguata gestione degli interessi del soggetto debole, che si devono soddisfare con celerità, è di per sé sufficiente ad escludere la necessità di dover ricorrere alla figura del procuratore».
A questo punto si può dire che la non necessità della difesa tecnica non debba essere evinta semplicemente dal fatto che il testo normativo niente disponga in merito: i casi di assenza dell’onere della difesa tecnica, infatti, si possono desumere anche per via interpretativa dal sistema. E in relazione all’amministrazione di sostegno sarebbe proprio l’interpretazione sistematica ad escludere la necessità della difesa tecnica.
Inoltre, la possibilità di presentare il ricorso al Giudice Tutelare senza l’assistenza di un avvocato si può desumere anche dall’interpretazione letterale dell’articolo 411 del Codice Civile. Qui, invero, si utilizza l’espressione direttamente, che può solo indicare la possibilità di presentare personalmente il ricorso contemplato da tale articolo. Ma a maggior ragione non si vede per quali ragioni il giudice dovrebbe escludere la possibilità di adire direttamente (e quindi personalmente), in relazione al ricorso ordinario ex articolo 406 del Codice Civile.
Né si può dedurre che il carattere contenzioso del procedimento si debba evincere dalla necessità dell’intervento del Pubblico Ministero che, in quanto promotore di giustizia, rappresenta semmai un ulteriore elemento di garanzia.
In sintesi, conclude la Corte d’Appello di Venezia, nell’amministrazione di sostegno il giudice tutelare «non interviene mai con l’obiettivo di accertare la mancanza di capacità d’agire del beneficiario, bensì solo per gestirne e proteggerne gli interessi», come avviene nei casi di trattamento sanitario obbligatorio (articolo 35 della Legge 833/1978) e di interruzione volontaria della gravidanza (articolo 12 della Legge 194/1978, procedimenti che non richiedono necessariamente l’assistenza del difensore.
Le conclusioni della Corte d’Appello ora descritte non sono state integralmente confermate dalla Corte di Cassazione.
Infatti, sebbene l’orientamento dominante della giurisprudenza di merito abbia escluso la necessità della difesa tecnica, data la natura non contenziosa della procedura, ascrivibile all’area della volontaria giurisdizione, la Sezione Prima Civile della Suprema Corte, con Sentenza n. 25366 del 29 novembre 2006, ha pronunciato un principio giuridico parzialmente dissonante.
Qui si afferma infatti che nell’ipotesi in cui il decreto di nomina comporti la limitazione dei diritti inviolabili della persona, non si possa prescindere dal patrocinio di un avvocato; in tutte le altre ipotesi, invece, il ricorso potrà essere presentato anche personalmente.
La Corte opera dunque una distinzione basata sull’effettiva incisività che verrà ad assumere il provvedimento richiesto, desumibile dalle caratteristiche del caso concreto. Pertanto, nell’ipotesi in cui i poteri da riconoscere all’amministratore di sostegno fossero tali da incidere sui diritti personalissimi, limitandoli, risulterebbe imprescindibile la garanzia della difesa tecnica, come elemento essenziale del giusto processo.
Con la nomina dell’amministratore di sostegno, si legge testualmente nella Sentenza, «il giudice tutelare può emettere provvedimenti incidenti nella sfera giuridica dell’interessato con effetti analoghi a quelli incapacitanti dell’interdizione ed inabilitazione, pertanto una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento esige che il destinatario della misura ablativa di diritti disponga delle medesime garanzie che assistono le procedure di interdizione o inabilitazione, con particolare riferimento al rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, non potendo ragionevolmente riconoscersi garanzie differenziate in relazione a provvedimenti che spieghino pari effetti sostanziali».
Su un altro versante è importante notare come la Legge 6/2004 abbia superato anche il vaglio della Corte Costituzionale, pronunciatasi con la Sentenza n. 440 del 9 dicembre 2005, su una questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Venezia.
Ad avviso del Tribunale rimettente, la Legge 6/2004 avrebbe provocato la coincidenza giuridica tra interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno; si sarebbe verificata cioè la sovrapposizione dei tre istituti sotto il profilo dell’applicazione pratica, stante la mancanza di chiari confini tra le diverse fattispecie, con eccessiva discrezionalità dell’organo giurisdizionale nel delicatissimo ambito della sfera di libertà e autodeterminazione dei singoli.
La Consulta ha rigettato la questione proposta, negando la sovrapposizione tra gli istituti e confermando il carattere residuale dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Ci sembra opportuno citare infine il Decreto del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Roma del 22 aprile 2005 che mette in evidenza gli effetti dell’amministrazione di sostegno sul diritto successorio.
In particolare, con il citato provvedimento, è stata estesa la protezione dell’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, già prevista per le persone incapaci, anche nell’ipotesi di amministrazione di sostegno.
Come si può notare, dunque, viene confermata dalla prassi giuridica l’elasticità dell’istituto introdotto nel 2004 e quindi la sua idoneità a fronteggiare efficacemente le situazioni più disparate di non autosufficienza della persona.
Quello che possiamo evincere dalla disciplina e, con conforto, dalla sua applicazione pratica, è senz’altro la possibilità che viene riconosciuta alla famiglia, ai servizi, agli enti di tutela portatori di interessi diffusi e alla magistratura, di definire e realizzare efficaci misure di protezione non solo nei casi di soggetti infermi di mente, invalidi o portatori di handicap, ma in tutte quelle circostanze caratterizzate dalla perdita più o meno grave dell’autonomia personale.
*Informarecomunicando, Centro di Informazione per l’Handicap, UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), Sezione di Pisa.
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…
- L'ONU e le persone con disabilità Si avvicina la sesta sessione di lavoro del Comitato incaricato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite di elaborare una Convenzione sulla Promozione e la Tutela dei Diritti e della Dignità delle Persone…