Ma chi è stato realmente responsabile di “sequestro” nella vicenda di Yaska?

di Simona Lancioni*
Appare ancora lontana dal risolversi positivamente la vicenda di Yaska, donna con disabilità psichiatrica istituzionalizzata contro la sua volontà nel 2015, che vive tuttora in uno stato di segregazione e che non ha voce in capitolo in alcun aspetto della sua vita. I servizi sostengono che questo trattamento sia terapeutico, ma la stessa istituzionalizzazione è una forma di violenza sistemica contro le persone con disabilità. L’Associazione Diritti alla Follia, che supporta Yaska e la sua famiglia, ha organizzato per il 3 novembre un nuovo presidio davanti al Tribunale di Firenze
Firenze, marzo 2022: presidio per chiedere la liberazione di Yaska dalla segregazione
Partecipanti al presidio del marzo scorso a Firenze, per chiedere la liberazione di Yaska dalla segregazione

Se volessimo dare una data di inizio alla vicenda di Yaska, una donna interessata da schizofrenia che oggi ha 32 anni e risiede a Firenze, sarebbe quella del 4 agosto 2015., vale a dire il giorno nel quale la donna venne sottratta alla sua famiglia, sottoposta ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), e portata in ospedale. Da quel giorno Yaska non è più tornata a casa sua. Infatti, dall’ospedale è stata trasferita in diverse strutture per persone con disabilità psichiatrica e dichiarata interdetta. Nelle diverse strutture Yaska ha subito una sistematica violazione dei propri diritti umani, in manifesto contrasto con innumerevoli disposizioni della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09). Lo stesso fatto che viva tuttora in uno stato di segregazione confligge col suo diritto «di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere», e di non essere obbligata a vivere in una particolare sistemazione (articolo 19 della citata Convenzione ONU).

Della vicenda di Yaska ci siamo occupati più volte su queste pagine, a partire dallo scorso mese di febbraio (si legga l’approfondimento a questo link e gli altri testi segnalati nella colonnina qui a fianco). Per sottrarre la donna alle cure della sua famiglia, e in particolare a quelle della madre Jeanette, nei confronti di quest’ultima sono stati intrapresi diversi procedimenti penali. Inizialmente “solo” tre – disturbo della quiete pubblica, maltrattamenti e sequestro di persona –, ai quali si è aggiunto quello di concorso in violenza sessuale. I servizi che tengono in custodia Yaska hanno infatti accusato Jeanette di avere istigato Fabio – il fidanzato con il quale Yaska aveva una relazione da dieci anni – a violentare la figlia. Fabio, a propria volta, è stato perseguito per il reato di violenza sessuale dai servizi in questione, tutto questo senza mai chiedere il parere di Yaska, che si è sempre dichiarata consenziente ai rapporti sessuali con il giovane, e che ha manifestato chiaramente la volontà di proseguire la gravidanza che da quell’unione era scaturita. Una volontà ignorata dai servizi, dalla tutrice di Yaska, dal Giudice che ha disposto l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna (interruzione che è stata eseguita il 9 aprile 2019), e dal personale sanitario che le ha mentito riguardo all’intervento.
Sia Fabio che Jenaette sono stati assolti dalle accuse di violenza sessuale e concorso in violenza sessuale, con la motivazione che «il fatto non sussiste». Jeanette è stata assolta in primo grado anche per altri due capi d’accusa (quelli di disturbo della quiete pubblica e di maltrattamenti), ma è stata condannata per sequestro di persona, una sentenza contro la quale ha fatto ricorso in appello. Eppure anche quest’unica condanna desta qualche perplessità, se si considera che la pena comminata – 5 mesi di reclusione con attenuanti – appare decisamente lieve per il tipo di reato ascritto. Ad ogni modo l’udienza di appello è stata fissata per il 3 novembre prossimo e se anche questo capo di imputazione dovesse venire meno, cadrebbe pure l’ultimo motivo (o pretesto?) che ha giustificato la sottrazione di Yaska alle cure della sua famiglia.

In questi anni Yaska, Jeanette e la sua famiglia sono stati supportati dall’Associazione Diritti alla Follia, che, tra le altre azioni intraprese, ha organizzato alcuni presìdi di protesta in occasione delle diverse udienze che hanno avuto Jeanette come imputata.
Proprio per evitare che su questa vicenda cali l’attenzione, l’Associazione ha organizzato un ulteriore presidio – il quinto – in occasione dell’udienza di appello che vede Jeanette imputata, come detto, per il reato di sequestro di persona. L’appuntamento è dunque davanti al Tribunale di Firenze, nello spazio all’aperto antistante l’ingresso (Viale Guidoni, 61), alle 11.30 del 3 novembre prossimo.
All’ultimo presidio – il quarto –, tenutosi il 23 marzo scorso, oltre all’Associazione Diritti alla Follia e a numerosi cittadini e cittadine, avevano presenziato il CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani) e il Centro Informare un’h di Peccioli (Pisa). In quella occasione la causa di Yaska era stata sostenuta anche dalla UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Yaska è tuttora istituzionalizzata contro la sua volontà, nonostante le sue ripetute richieste, le viene impedito di incontrare di persona parenti e amici, ed è sottoposta ad interdizione, sebbene questo istituto di tutela sia stato dichiarato in contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità dal Comitato delle Nazioni Unite preposto a vigilare sull’attuazione di essa. In sostanza, non ha voce in capitolo in nessun aspetto della sua vita.
I servizi sostengono che questo trattamento sia terapeutico, senza rendersi conto che la stessa istituzionalizzazione è una forma di violenza sistemica contro le persone con disabilità. Un concetto ribadito anche nelle Linee Guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza pubblicate dal Comitato ONU nello scorso mese di settembre, come abbiamo riferito su queste stesse pagine. Tutto questo accade perché nel nostro ordinamento esistono ancora istituti che, invece di supportare le persone con disabilità nelle loro decisioni, consentono a terzi di sostituirsi a loro. Pertanto, sino a quando non ci disporremo a mettere mano agli istituti di tutela (interdizione, inabilitazione e anche l’amministrazione di sostegno), non saremo in grado di prevenire, né di far cessare tempestivamente, le tante forme di violenza sistemica e la discriminazione a cui tutt’oggi è esposta Yaska e molte altre persone con disabilità. Per questo riteniamo che chi può debba presenziare al presidio del 3 novembre. Chi non può aderisca a questa causa e aiuti a darle visibilità.

In conclusione non possiamo non rilevare come in tutta questa vicenda ci sia un’amara ironia. Jeanette, infatti, è accusata di sequestro di persona per avere richiuso in camera Yaska per qualche ora (cosa per altro non dimostrata), mentre lo Stato ha “sequestrato” Yaska dal 4 agosto 2015 e ancora non l’ha liberata, ma pare che nessuno pensi di doverne rispondere.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente contributo è già apparso (ed è disponibile anche in lingua inglese, con traduzione curata da Luisella Bosisio Fazzi, a questo link). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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