Tutelare i diritti di chi è disabile

Intervista a Daniela Melchiorre*
Sono molti i temi della giustizia che ricadono anche pesantemente sulla vita quotidiana delle persone con disabilità. Ne abbiamo affrontati alcuni in questa intervista con il sottosegretario al Ministero della Giustizia Daniela Melchiorre

Non complesse questioni giuridiche e legali, ma problemi che si ripercuotono concretamente sulla vita quotidiana dei cittadini. E quindi discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità, barriere architettoniche negli uffici giudiziari, ma anche amministratori di sostegno e “viaggi della speranza”: di questo e altro abbiamo parlato in questa intervista con il sottosegretario al Ministero della Giustizia Daniela Melchiorre.

Daniela Melchiorre è sottosegretario alla Giustizia dal 18 maggio 2006Sottosegretario Melchiorre, la recente Legge 67/2006 ha fissato nuove misure contro gli atti discriminatori che riguardano le persone con disabilità, prevedendo, in particolare, procedimenti di maggior tutela. Recentemente si è sostenuta l’opportunità di estendere il patrocinio gratuito riguardo a queste fattispecie, ipotesi accolta con favore da alcuni, mentre altri hanno espresso riserve circa l’effettiva qualità di tale patrocinio. Che ne pensa?
«Oggi è improprio parlare in termini di qualità del servizio legale per le persone con disabilità. Infatti, con il DPR 115/2002 è stato istituito il patrocinio a spese dello Stato. Pertanto, oggi non esiste più – per i procedimenti penali, civili, amministrativi, contabili e tributari – un “gratuito patrocinio”, com’era inteso appunto per tali processi, che possa far sorgere delle riserve in ordine alla qualità di questa forma di assistenza difensiva.
Va chiarito anche che la persona con disabilità che non possa permettersi di pagare le spese legali viene adeguatamente tutelata dal nostro ordinamento, dato che può scegliersi come meglio crede il proprio difensore, il quale verrà retribuito dallo Stato».

Rileviamo un’apparente contraddizione tra la citata Legge 67/2006, ove essa prevede che solo alcune associazioni (regolarmente iscritte a un registro costituito tramite Decreto) siano legittimate ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni e la Legge 383/2000, che ammetteva genericamente «le associazioni di promozione sociale» alla tutela degli interessi sociali e collettivi anche in giudizio penale, civile e amministrativo (articolo 27). Non crede che di fronte all’esigenza di tutelare i soggetti più deboli, la platea delle associazioni dovrebbe essere la più ampia possibile?
«Va fatta chiarezza. La disciplina delle associazioni di promozione sociale, stabilita con la Legge 383/2000, consente ad una pluralità di associazioni la tutela di «interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall’associazione». In questo caso correttamente la legge non richiede alcuna iscrizione in registri, proprio perché intende promuovere e riconoscere, in generale, il valore delle azioni di utilità sociale svolte dalle associazioni liberamente costituite.
L’articolo 4 della Legge 67/2006 consente invece alle associazioni iscritte nel Registro istituito con il Decreto del Presidente del Consiglio del 21 giugno 2007, la legittimazione ad agire «in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione». Quest’ultima norma ha pertanto inteso attribuire una particolare forza giuridica all’associazione che agisce in nome e per conto dell’interesse individuale del soggetto con disabilità.
Visto che si tratta comunque di una “intromissione” nella sfera individuale di un soggetto, ritengo particolarmente utile e importante che lo Stato costituisca un filtro, stabilendo un particolare regime e dei requisiti per cui tali associazioni ed enti possano agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità.
Il fatto quindi che la Legge del 2006 deleghi soltanto le associazioni dotate di determinate caratteristiche ad agire in giudizio per conto delle persone con disabilità rappresenta, se mai, un’ulteriore tutela, a riprova della serietà e idoneità delle associazioni in esame a rivestire un ruolo così delicato».

Troppi uffici giudiziari non hanno ancora risolto il problema delle barriere architettonicheDalla lettura delle ultime relazioni previste dalla Legge 104/92, ci sembra che l’interesse del Ministero della Giustizia per l’eliminazione delle barriere architettoniche sia concentrato per lo più sui penitenziari, mentre dal nostro osservatorio rileviamo una forte – se pur disomogenea – carenza anche negli uffici giudiziari, in cui il cittadino o lo stesso professionista con disabilità incontra difficoltà di mobilità. Il Ministero ha pianificato interventi per rendere accessibili questi uffici?
«Concordo sul fatto che le risorse siano insufficienti. Purtroppo, sin dal 2001, le varie Leggi Finanziarie intercorse non hanno provveduto né a finanziare adeguatamente la Cassa Depositi e Prestiti che provvede alle spese per l’edilizia giudiziaria di proprietà dei Comuni e che riguarda la stragrande maggioranza degli uffici giudiziari, né a sovvenzionare l’edilizia demaniale che concerne un numero limitato di immobili adibiti ad uffici giudiziari.
I ridotti finanziamenti, in effetti, non consentono di affrontare il problema in maniera compiuta, al di là di interventi occasionali e sporadici. Si tratta, pertanto, di un problema reale che interessa il luogo di lavoro di tutti gli operatori del diritto e dei cittadini interessati e quindi bisognerebbe, a mio avviso, provvedere a dare risposte adeguate a tutti gli utenti del servizio giustizia, comprese perciò le persone con disabilità».

Rispetto all’istituto dell’amministratore di sostegno, introdotto dalla Legge 6/2004, registriamo una disomogenea applicazione sul territorio nazionale, con interpretazioni varie, riguardanti ad esempio la necessità o meno del patrocinio legale obbligatorio o altre fattispecie. Al di là di questi aspetti – pur rilevanti – l’amministratore di sostegno è oramai entrato a regime, tanto da fare avanzare la proposta di soppressione, come già accaduto in Austria e in Germania, dell’inabilitazione e dell’interdizione, da più parti considerati superati o superabili grazie alla nuova norma. Qual è la sua opinione?
«Con la Legge 6/2004, prevedendo la nomina dell’amministratore di sostegno, il Legislatore ha inciso sull’originario sistema delle tutele per i soggetti in maggiore età, impossibilitati a provvedere ai propri interessi, delineando una forma di protezione, per così dire, attenuata, rispetto all’interdizione e all’inabilitazione.
Spesso i problemi della giustizia ricadono anche pesantemente sulla vita quotidiana delle persone con disabilitàE tuttavia rilevo che la prospettiva della disciplina relativa all’amministrazione di sostegno è notevolmente diversa da quella posta alla base delle figure giuridiche dell’interdizione e dell’inabilitazione. In questi casi, infatti, il presupposto è l’incapacità generale o parziale del soggetto, mentre oggi si deve procedere alla nomina di un amministratore di sostegno in quelle ipotesi in cui sia necessario provvedere alla cura della persona del beneficiario che, pur se affetto da patologie gravi, conserva, tuttavia, margini di capacità rispetto ad una qualche tipologia di atto.
Sotto questo profilo, dunque, l’istituto dell’amministrazione di sostegno si differenzia anche da quello dell’inabilitazione, oltre che per le considerazioni che ho già espresse, anche per la funzione della cura personae, totalmente estranea alle attribuzioni del curatore.
Per tali motivi, ritengo importante che con l’introduzione di questa misura di assistenza il nostro Paese si sia allineato alla normativa esistente in altri Stati europei, proprio al fine di assicurare al soggetto incapace uno strumento di protezione più duttile, rispetto a quelli tradizionali, chiaramente finalizzato alla tutela della persona piuttosto che del suo patrimonio, ma che comunque, per le ragioni dette, sia importante che continui a coesistere con le varie figure previste dal nostro ordinamento».

La nostra testata si rivolge anche a persone coinvolte in problemi di malattie senza cura, che rendono questi soggetti particolarmente “esposti” alle false promesse di sedicenti terapie, che spesso possono creare gravi problemi sia dal punto di vista economico che da quello psicologico, una volta verificata l’inattendibilità di quanto proposto. Parliamo dei cosiddetti “viaggi della speranza”, rispetto ai quali le chiediamo – come sottosegretario alla Giustizia – quale sia, per questi cittadini “deboli”, il modo migliore per difendersi.
«In primo luogo auspico naturalmente che venga migliorato il sistema sanitario, al fine di poter garantire cure adeguate ad ogni patologia, incluse quelle più gravi. Per altro, una certa tipologia di situazioni, tra cui quelle che si delineano a seguito di false promesse da parte di persone che purtroppo approfittano della vulnerabilità fisica e psicologica di chi si trova in uno stato di sofferenza, devono essere denunciate attraverso gli strumenti giuridici più appropriati, senza alcuna remora.
In materia, ritengo che in realtà le leggi siano già esistenti e che vadano invocate e fatte applicare, ricercando tra le diverse norme previste dall’ordinamento a tutela delle persone con disabilità quelle che di volta in volta possono essere interpretate e adeguate alla fattispecie in essere.
Certo, sarebbe utile anche diffondere, per il tramite delle associazioni e attraverso i media, campagne di informazione atte a meglio illustrare tutti gli strumenti adeguati per difendere gli interessi delle persone con disabilità».

*Testo già apparso in «DM» (n. 164, dicembre 2007), periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e qui riprodotto per gentile concessione di tale testata.

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