«La sterilizzazione forzata delle persone con disabilità è una forma di abuso invasivo e rappresenta una grave violazione dei loro diritti fondamentali. Ciononostante, è un fenomeno continuo e diffuso in tutta Europa e nel mondo»: con queste parole si apre il rapporto Sterilizzazione forzata delle persone con disabilità nell’Unione Europea, pubblicato nel settembre dello scorso anno dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Dal Rapporto emerge come la sterilizzazione forzata delle persone con disabilità intellettive e/o psicosociali non solo è attualmente consentita per legge in quattordici Paesi, ma in altri (tra cui l’Italia), può essere autorizzata anche contro il consenso della persona in casi particolari o quando la si ritenga una misura urgente e/o “terapeutica”.
In un precedente rapporto del 2017, sempre l’EDF aveva ricordato anche come la sterilizzazione forzata avesse una lunga storia di cui «l’esempio più noto sono stati i programmi eugenetici all’inizio del XX secolo che miravano a garantire che solo gli “adatti” e i “produttivi” facessero parte delle società».
Se la memoria corre immediatamente alle aberranti pratiche attuate nella Germania a partire dagli Anni Trenta, dove le leggi eugenetiche ebbero un ruolo centrale nell’ideologia e nel programma politico nazionalsocialista, bisogna però ricordare come all’inizio del XX secolo si assistette, in diversi Paesi (Stati Uniti, Canada, Svizzera, Danimarca, Svezia…), all’attuazione di veri e propri programmi di azione politica e sociale, che videro l’utilizzo di teorie “eugenetiche” come strumento di pianificazione demografica, a difesa della presunta integrità non solo razziale, ma anche morale, economica e sociale della nazione (1), contribuendo a costituire «il ricco pabulum di coltura e fioritura della politica di sterminio su base razziale» (2).
L’esperienza criminale nazista, però, rimane unica, soprattutto per la sua radicalizzazione del potenziale discriminatorio insito nell’eugenetica, che condusse, a lunga scadenza, agli orrori dell’olocausto hitleriano (3) e in particolare allo sterminio delle persone con disabilità, con l’attuazione del programma di eutanasia, in cui, tra il 1939 e il 1945, trovarono la morte tra le 200.000 e le 300.000 persone con disabilità o con disturbi psichici, di cui oltre 70.000 nell’ambito del solo programma Aktion T4. La sterilizzazione delle persone non ritenute “adatte” dal regime, infatti, è stata non solo uno dei primi passi verso lo sterminio, ma anche, come ricorda uno dei più noti studiosi del programma di eutanasia, «il fulcro medico della biocrazia nazista» (4).
In occasione dell’ormai imminente Giorno della Memoria del 27 gennaio, dunque, è opportuno ricordare, pur tenendo conto delle evidenti differenze di contesto e di “motivazioni addotte” (comunque accomunate dal prescindere dalla volontà delle vittime), le potenziali tragiche derive di pratiche violente e discriminatorie come la sterilizzazione forzata delle persone con disabilità, anche per contribuire a porre fine alla loro attuale e diffusa pratica.
Già un decennio prima di salire al potere, Hitler scriveva nel Mein Kampf: «Lo Stato volkisch deve vigilare affinché solo le persone sane abbiano figli. […] Qui lo Stato deve agire come il custode di un futuro millenario. […] Esso deve porre i mezzi medici più moderni al servizio di questa conoscenza» (5).
Il 14 luglio 1933, circa sei mesi dopo la nomina di Hitler come Cancelliere, in Germania fu promulgata la legge sulla sterilizzazione, con il nome di Legge per la prevenzione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie. Il nazismo si preoccupò immediatamente di tradurre in realtà i suoi progetti di “selezione artificiale” e “purificazione della razza”. La legge aprì l’offensiva contro le persone con disabilità e «servì da pietra angolare per la legislazione eugenetica e razziale del regime». Essa divenne la dottrina di base per la sterilizzazione e fissò l’orientamento di fondo per l’approccio medico del regime alle persone che erano ritenute «vite senza valore».
Alcuni passaggi del testo della Legge ne dichiaravano il contenuto: «Qualsiasi persona affetta da una malattia ereditaria può essere sterilizzata se le conoscenze mediche indicano che la sua prole patirà gravi danni fisici o mentali a carattere ereditario […], è fonte di grave preoccupazione la sempre più evidente composizione genetica della nostra stirpe […], innumerevoli individui inferiori o portatori di malattie ereditarie si riproducono senza freno, mettendo la loro progenie malsana e asociale a carico della comunità» (6).
La Legge definiva come possibile candidato alla sterilizzazione «chiunque soffra di: oligofrenia congenita [disabilità intellettiva, N.d.R.], schizofrenia, psicosi maniaco depressiva, epilessia ereditaria, corea di Huntington, cecità ereditaria, sordità ereditaria, gravi malformazioni fisiche». Essa creò inoltre una struttura legale per la sua imposizione: le persone con disabilità potevano fare domanda di sterilizzazione, ma quest’ultima poteva essere fatta anche dai medici del servizio sanitario pubblico o, nel caso di pazienti e detenuti, dai direttori di ospedali, ricoveri e prigioni. I Tribunali per la Salute Ereditaria, creati appositamente, e costituiti da un giudice e due medici, furono annessi agli uffici giudiziari di prima istanza al fine di decidere tutti i casi in Camera di Consiglio. Dopo che i Tribunali si erano pronunciati a favore della sterilizzazione, l’intervento chirurgico poteva essere eseguito anche contro la volontà dell’individuo. In caso di resistenze, la polizia era autorizzata a usare la forza per garantire che la legge fosse rispettata (7).
Nei primi anni di applicazione vi furono 388.400 denunce che però, visto l’elevatissimo numero, in molti casi non riuscirono ad arrivare nei Tribunali per la Salute Ereditaria e non sempre portarono a decisioni immediate. Tuttavia la stragrande maggioranza dei casi risolti – 92,8% nel 1934, 88,9% nel 1935, 84,8% nel 1936 (8) -, diede luogo alla sterilizzazione.
Inizialmente i metodi di sterilizzazione furono la vasectomia per gli uomini e la legatura tubarica per le donne, mentre con un regolamento del 1936 venne introdotto l’uso dei raggi X per la sterilizzazione delle donne.
I pazienti internati in istituti furono le prime e principali vittime della sterilizzazione obbligatoria, e se le percentuali di uomini e donne sterilizzate furono quasi uguali, si deve registrare un numero di decessi notevolmente più alto per le donne (circa il 90% del totale) (9).
Poiché i due terzi dei membri dei Tribunali per la salute ereditaria erano medici, la selezione della vittima da sterilizzare era, a tutti gli effetti, una procedura medica mascherata da procedimento giudiziario.
Le categorie di candidati alla sterilizzazione furono estremamente flessibili e indefinitamente estese, se si tiene conto del fatto che, da una parte, le definizioni di frenastesia/oligofrenia (disabilità intellettiva), che rappresentarono circa il 53% del totale delle sterilizzazioni, mancavano di precisione scientifica ed erano in larga misura determinate da criteri sociali, dall’altra, difetti come il labbro leporino (labiopalatoschisi) o il talismo potevano essere considerati cause sufficienti per la sterilizzazione. La frenastesia/oligofrenia (disabilità intellettiva) era il bersaglio favorito dagli eugenetisti e rappresentava una categoria particolarmente elastica. Era previsto che la diagnosi di essa si fondasse su un test d’intelligenza appositamente costruito. Il test misurava gli apprendimenti più che le conoscenze, era somministrato oralmente e, di solito, era il giudizio soggettivo dell’esaminatore (che teneva conto anche di tutta una serie di osservazioni personali su postura, atteggiamento, ecc.), a determinare i risultati (10).
La Legge sulla sterilizzazione fu ben presto seguita da numerosi altri emendamenti e regolamenti di attuazione. Particolarmente significativo è un regolamento varato congiuntamente dal Ministro degli Interni e da quello della Giustizia il 5 dicembre 1933, che consentiva a una persona di rinviare la sterilizzazione affidandosi a un istituto; tuttavia non ne poteva, poi, essere dimesso fino all’esecuzione della sterilizzazione stessa.
Il passo logico successivo fu l’approvazione di una Legge che regolava i matrimoni. Nel settembre 1935 furono promulgate le Leggi di Norimberga, finalizzate a creare il contesto giuridico per la persecuzione sistematica degli Ebrei in Germania, tra cui, in particolare, la Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco che regolava la possibilità di matrimonio tra ebrei e tedeschi. Un mese dopo la loro promulgazione, il 18 ottobre 1935, fu emanata una norma simile diretta contro le persone con disabilità, ossia la Legge per la protezione della salute ereditaria della nazione tedesca. Prima di sposarsi, dunque, una coppia era tenuta a dimostrare che non esisteva alcun impedimento previsto da questa legge (in particolare quelli previsti dalla Legge sulla sterilizzazione), ottenendo un certificato d’idoneità matrimoniale dall’ufficio d’igiene. In associazione alle Leggi sulla sterilizzazione e come nuova espressione di politica razziale, furono intrapresi passi per creare un archivio nazionale di persone con “tare ereditarie”.
La sterilizzazione fu parte integrante del razzismo nazionalsocialista, poiché esso comprendeva tanto la discriminazione di razze o popoli ritenuti inferiori, quanto la rigenerazione del proprio gruppo etnico, perseguita attraverso la discriminazione delle persone ritenute inferiori tra gli stessi membri del proprio popolo. La Legge sulla sterilizzazione rappresentò ufficialmente la supremazia dello Stato sulla sfera della vita, del matrimonio e della famiglia, nonché uno di quei campi in cui il privato è politico. La propaganda nazista in favore della sterilizzazione si rivolgeva, a volte, specificamente alle donne: l’istinto materno tipicamente femminile era l’oggetto della polemica razzista ed era considerato umanitarismo sentimentale, alla stregua della carità cristiana e del marxismo, che, come ogni egoismo, agisce contro la razza (11).
In Germania, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, furono sterilizzate forzatamente circa 300.000 persone. Dopo il 1939 il numero di sterilizzazioni calerà perché il regime nazista in quell’anno iniziò ad uccidere le vite ritenute “non adatte” e/o “non degne”, dando avvio al programma di eutanasia con l’assassinio dei bambini e delle bambine con disabilità, per estenderlo, subito dopo, a tutte le persone con disabilità (Aktion T4, Aktion 14f13 ed Eutanasia selvaggia). Furono uccise, come detto in precedenza, tra le 200.000 e le 300.000 persone con disabilità o con disturbi psichici, di cui oltre 70.000 nell’ambito della sola Aktion T4.
«Man mano che la guerra si profilava all’orizzonte, Hitler autorizzò i pianificatori del partito e dello Stato a passare al metodo di ostracismo più radicale: lo sterminio. Il primo gruppo ad essere preso a bersaglio fu quello dei disabili. Esclusi, incarcerati, sterilizzati e ignorati, i disabili furono giudicati sacrificabili, e dunque una progressione logica portò allo sterminio dei disabili nell’ambito del cosiddetto programma di eutanasia. […] Le uccisioni per eutanasia si rivelarono l’atto di inaugurazione del genocidio nazista» (12).
Pedagogista, educatore e formatore (domenicomassano@yahoo.it).
Note:
(1) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di una nuova era. Milano, Baldini Castoldi, 2003, p. 96.
(2) Raffaella De Franco, In nome di Ippocrate. Dall’olocausto medico nazista all’etica della sperimentazione contemporanea, Milano, FrancoAngeli, 2001, p. 114.
(3) Enrst Mayr, Storia del pensiero biologico, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 571.
(4) Robert Jay Lifton, I medici nazisti, Milano, Rizzoli, 203, p. 47.
(5) Adolf Hitler, La mia battaglia, Milano, Bompiani, 1940, p. 20 (edizione originale Mein Kampf, 1934).
(6) Michael Burleigh e Wolfgang Wippermann, Lo stato razziale. Germania (1933-1945), Milano, Rizzoli, 1992, pp. 127-128.
(7) Henry Friedlander, Le origini del genocidio nazista. Dall’eutanasia alla soluzione finale, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 40.
(8) Ivi, p. 41.
(9) Gisela Bock, Storia delle donne in Occidente, Bari, Laterza, 1992, p. 181.
(10) Friedlander, Le origini del genocidio nazista cit., p. 46.
(11) Bock, Storia delle donne in Occidente cit., p. 182.
(12) Friedlander, Le origini del genocidio nazista cit., pp. 32-33.
Segnaliamo che a fianco del testo di Stefania Delendati, Quel primo Olocausto (a questo link), è presente l’intero elenco dei numerosi contributi da noi pubblicati sul tema dello sterminio delle persone con disabilità durante il regime nazista e la seconda guerra mondiale.
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