Modifiche alla Legge 104: mistificazioni bipartisan

di Carlo Giacobini*
Sono state sin troppe, nei giorni scorsi, le dichiarazioni inesatte, imprecise o fuorvianti prodotte sui giornali o nel web rispetto al recente provvedimento che modifica la Legge 104/92 in ambito di permessi ai lavoratori per l'assistenza di familiari con grave disabilità. Una lettura attenta del testo di legge fa capire invece che sia le voci critiche provenienti soprattutto dal sindacato, sia quelle quasi "trionfali" arrivate dal Ministero, sono del tutto fuori strada, di fronte a questo vero "pastrocchio" normativo che - salvo ulteriori modifiche - non potrà né ridurre la platea dei beneficiari né contrastare gli abusi

Matita con la punta rottaUno degli impegni – nel frastagliato fronte di ambiziose iniziative del ministro Renato Brunetta – è il contrasto agli abusi nella fruizione dei permessi concessi ai lavoratori che assistono familiari con grave disabilità. I famosi permessi ex Legge 104/92. Per due anni il Ministro si è – coraggiosamente, va detto! – impuntato sulle sue proposte di modifica, incontrando la virulenta opposizione di alcuni parlamentari e del sindacato, in particolare del suo “nemico storico”, la CGIL Funzione Pubblica.
Ed è proprio la voce del segretario di quest’ultima che si leva nuovamente contro il Ministro, all’indomani dell’approvazione definitiva del cosiddetto “Collegato Lavoro” (Atti del Senato 1167-B), che modifica (all’articolo 24) le “vecchie” disposizioni della Legge 104: «Il Collegato Lavoro opera una stretta incomprensibile ai diritti dei lavoratori e dei loro familiari – ha tuonato Carlo Podda di CGIL Funzione Pubblica – indebolendo strumenti come la Legge 104 del 1992 che garantisce il diritto di assistenza ai diversamente abili». Crediamo che Podda non abbia letto con attenzione il nuovo provvedimento approvato a larga maggioranza dal Parlamento o che i suoi analisti fossero in ferie.
Gli fanno eco dal Ministero: «Si tratta di regole di assoluto buon senso che mirano a garantire l’effettiva fruizione di questo diritto esclusivamente al disabile che ne abbia effettivamente bisogno. Impedendo finalmente a tanti furbi di portare avanti un ignobile “mercato” dei vecchietti acciaccati da accudire (sulla carta) a centinaia di chilometri di distanza, senza alcun controllo». Mah… forse nemmeno al Ministero hanno letto con attenzione il “pastrocchio” che è stato appena approvato e celebrato come un trionfo.

Facciamo un po’ di ordine perché di dichiarazioni inesatte, imprecise, fuorvianti in questi giorni ne sono circolate tantissime. Ad iniziare dai titoli di molti giornali, siti, portali e blog: Stretta sui permessi, Giro di vite sulla Legge 104, Permessi più difficili e così via.
La Legge 104 è stata approvata nel 1992. Quasi vent’anni fa. L’articolo che ha sempre richiamato l’interesse maggiore è il 33, quello che prevede(va) la concessione di tre giorni di permesso ai lavoratori che assistono un familiare convivente (non ricoverato in istituto) parente e affine fino al terzo grado, il prolungamento dell’astensione facoltativa di maternità fino al terzo anno di vita del bambino e la possibilità per i lavoratori con grave handicap di avere due ore di permesso giornaliero (o tre giorni mensili). Altre indicazioni riguardano l’aleatoria opportunità di richiedere l’assegnazione di una sede di lavoro più comoda al proprio domicilio.
Quell’articolo, però, aveva talmente tante ricadute organizzative, amministrative, retributive, previdenziali e pratiche da rendere necessaria, negli anni, la produzione di una massa di circolari, note e ritocchi normativi che attualmente consta di circa un centinaio di provvedimenti. Senza contare le Sentenze di vario grado. Un marasma in cui è difficile orientarsi e grazie al quale è facile subire o praticare abusi. Ne sanno qualcosa gli istituti previdenziali – in particolare l’INPS – costretti a inseguire le evoluzioni repentine e talvolta scombiccherate del Legislatore e ad emanare Circolari su Circolari.

E viene il 2000: Livia Turco, ministro per la Solidarietà Sociale, si impegna visceralmente per l’approvazione di una norma, un po’ naïve, ma che sicuramente coglie un disagio diffuso in chi tenta di conciliare i tempi del lavoro e i tempi dell’impegno familiare. La Legge 53/00, infatti, introduce nuove forme di congedo parentale e preconizza una diversa flessibilità lavorativa (a cui forse arriveremo). Predispone la redazione di un Testo Unico sulle norme per la maternità e paternità che verrà licenziato l’anno dopo (il Decreto Legislativo 151/01).
È una Legge importante, la 53, anche per il nostro discorso. L’articolo 19, infatti, rimuove finalmente un vincolo un tantino odioso che riguarda, in particolare, le mamme casalinghe: dopo la 53, i permessi vengono concessi al lavoratore genitore della persona con handicap grave, anche nel caso l’altro genitore non ne abbia diritto, come appunto nel caso di casalinga/o, disoccupata/o, lavoratore/trice autonomo/a. Ma non è tutto: viene abrogato (articolo 20) anche il vincolo di convivenza fra il lavoratore e la persona da assistere.
L’obbligo di convivenza, quindi, è stato abrogato dieci anni fa e non ora, come ha asserito qualche fonte governativa. In cambio di quel vincolo, il Legislatore ne fissa un altro, pur senza definirlo o declinarlo: l’assistenza dev’essere «continua ed esclusiva». Un briciolo di garanzia in più, questo, e un monito circa la reale finalità della norma: i permessi sono una misura a favore delle persone disabili, e non una forma di compensazione per il lavoratore. Tema che poi sarà caro anche e Brunetta e che sottoscriviamo appieno.

Renato Brunetta, ministro per la Pubblica Amministrazione e l'InnovazioneSu quei due concetti filosofano in molti, ma le indicazioni operative, che procedono per approssimazione e assestamenti, provengono dai due maggiori istituti previdenziali, l’INPS e l’INPDAP. Fanno quello che possono anche loro, però: se da un lato l’indicazione di principio è chiara – dev’esserci un’effettiva assistenza – sotto il profilo operativo è particolarmente difficile fissare tutte le fattispecie. L’INPS addirittura si inventa – diciamo “si inventa” poiché l’indicazione che propone, pur di buon senso, è assolutamente priva di fondamento giuridico – che i concetti di «assistenza continuativa ed esclusiva» debbano intendersi come «sistematicità ed adeguatezza».

Con questo quadro normativo e di continua produzione di atti amministrativi (Circolari) si giunge al 2008. Il neoministro Brunetta rileva e sottolinea quello che è sotto gli occhi di tutti: attorno ai permessi lavorativi ci sono anche elusioni e abusi. Il contrasto a questi abusi viene associato alla battaglia contro i cosiddetti “fannulloni”, che raccoglie il favore di buona parte dell’opinione pubblica, ma anche la durissima contrarietà di altre parti. Nel frattempo il Ministro avvia un monitoraggio dell’uso dei permessi parentali, sindacali e per l’assistenza a parenti di cui poi diffonde i dati. In un clima di forte tensione viene presentata la proposta che ora è stata approvata definitivamente dal Senato (Atti del Senato 1167-B, approvato il 3 marzo 2010, in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).
Già sull’originario testo di proposta – come detto – si alzano da una parte le accuse di voler restringere i diritti delle persone con disabilità, dall’altro si levano gli scudi in difesa dagli abusi e dall’eccesso di spesa. Gli obiettivi espressi sono due: ridurre la platea dei beneficiari; contrastare gli abusi, attribuendo facoltà di controllo al datore di lavoro pubblico o privato che sia. Vediamo come sono stati perseguiti i due obiettivi.

Ridurre la platea dei beneficiari…
La nuova legge prevede che, in assenza di ricovero della persona con handicap grave da assistere, potranno godere dei tre giorni di permesso mensile retribuiti e coperti da contributi: il genitore; il coniuge; il parente o l’affine entro il secondo grado (ad esempio nonni, nipoti in quanto figli del figlio, fratello).
Fin qui è vero: la platea è ridotta rispetto alla norma precedente. Da far notare, per altro, che i “nonni”, i “vecchietti acciaccati” – di cui, secondo il Ministero, si farebbe “mercato” per poter godere dei permessi – rimangono saldamente inclusi fra i familiari cui si può prestare assistenza godendo di quei benefìci. Il nonno, infatti è parente di secondo grado. Come la suocera è un’affine di primo grado e il fratello della moglie affine di secondo grado. La nuova norma esclude dalla concessione dei permessi i parenti e gli affini di terzo grado. Vogliamo ricordare chi sono? Ad esempio i bisnonni o i figli dei figli dei figli (bisnipoti). Ma il nuovo testo è clemente anche in questo caso: i permessi potranno essere concessi ai parenti e affini di terzo grado in casi particolari.
Primo caso: quando i genitori o il coniuge della persona con handicap siano deceduti o “mancanti”. Quindi, ad esempio, nell’”insolito” caso che il bisnonno sia vedovo, o nell’ancora più “insolito” caso che i genitori del bisnonno (trisnonni) siano prematuramente mancati all’affetto dei loro cari. Poi qualche Circolare ci spiegherà cosa si intende per “mancante”…
Se queste ipotesi non si verificano, c’è una seconda eccezione: i permessi possono essere concessi al parente o affine di terzo grado quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano più di 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti. Quindi nel caso in cui la moglie o il genitore del bisnonno siano ancora in perfetta forma mentale o fisica e abbiano un’età inferiore ai 65 anni, i permessi ce li possiamo scordare. In caso contrario, i permessi ci possono essere concessi anche se non viviamo con il bisnonno e con lui vivono i figli, i fratelli e i nipoti (oltre alla moglie con invalidità del 33%). Questa sarebbe dunque la restrizione della platea dei beneficiari. Facile intuire la percentuale di lavoratori che perderà il diritto ai permessi.
Livia Turco, ministro per la Solidarietà Sociale all'inizio del 2000Questo immane sforzo normativo, durato quasi due anni, è però vanificato da un’abrogazione, che non può che essere un incidente di percorso. Nel goffo tentativo di rimettere ordine nelle diverse disposizioni, infatti, il nuovo testo àbroga dalla normativa i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa richiesti, in precedenza, nel caso in cui il lavoratore non fosse convivente con la persona con disabilità. Come detto, l’obbligo di convivenza era stato superato dall’articolo 20, comma 1, della Legge 53/00, a condizione che sussistesse la «continuità ed esclusività» dell’assistenza. Ma ora quel comma viene parzialmente abrogato. Pertanto, oltre a non esserci obbligo di convivenza, nessuna fonte prevede più le altre due condizioni.
Questo significa che – dal momento della pubblicazione della nuova legge – tutti i lavoratori a cui è stata negata la concessione dei permessi perché non garantivano la continuità dell’assistenza (magari abitavano a 300 chilometri dal familiare), avranno titolo per richiedere nuovamente l’agevolazione, essendo stato rimosso quel vincolo.
A parere di chi scrive, quindi, se non interverranno ulteriori modifiche, la platea dei potenziali beneficiari non potrà che aumentare.

Ma veniamo al secondo obiettivo: il controllo anti-furbi.
Grazie alla nuova norma il lavoratore decade dai diritti ai permessi lavorativi, qualora il datore di lavoro o l’INPS accertino «l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti». È precisata la “pena” ed è ribadita la facoltà (obbligo) di controllo da parte del datore di lavoro. Ma in base alla nuova norma quali sono le condizioni che il datore di lavoro può – ora?!? – verificare?:
1. che la persona da assistere non sia ricoverata in istituto (come fa?);
2. che la persona sia in possesso del certificato di handicap grave (ne chiede copia);
3. che la persona sia legata da vicolo di parentela, affinità o coniugio;
4. che non ci siano altri lavoratori che stiano fruendo degli stessi permessi per la stessa persona.
Questi sono controlli formali che non colpiscono certo le elusioni o gli abusi tanto demonizzati. Quanto questo sia evidente lo si capisce chiedendosi quali sono i controlli che invece il datore di lavoro non può (più) fare:
1. verificare la continuità dell’assistenza: non è più rilevante se il lavoratore abita a 500 chilometri dalla persone da assistere;
2. verificare l’esclusività dell’assistenza e cioè se la persona disabile da assistere vive in un nucleo diverso da quello del lavoratore, assieme ad altre persone in grado di garantire l’assistenza;
3. verificare se il lavoratore gode già di altri due o tre o quattro permessi per altrettante persone con disabilità.
Come è agevole intuire, questi controlli sono tutt’altro che stringenti. E di certo non tutelano i reali destinatari della norma, cioè le persone con disabilità.

Ad ognuno di noi, una volta saputo come esattamente stanno le cose – al di là degli articoli che riprendono, senza verifiche, ora le veline ministeriali ora le esternazioni degli oppositori – questa storia avrà insegnato qualche cosa e permesso di costruirsi un punto di vista. Ed è già un risultato, visto che di certezze, questo pastrocchio normativo, non ne può dare.

*Direttore editoriale di Superando; responsabile del Servizio HandyLex.org; direttore responsabile di «HandyLexPress».

Share the Post: