Della tragica vicenda di Barbara Capovani, la cinquantacinquenne responsabile del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa, aggredita ripetutamente con una spranga, il 21 aprile scorso, nel parcheggio dell’Ospedale, e deceduta la domenica successiva (il 23 aprile), si sono occupati tutti i media.
Lascia un compagno e tre figli. Sin da subito è stato individuato e fermato l’aggressore: Gianluca Paul Seung, 35 anni, suo paziente dal 2019, residente a Torre del Lago (Lucca). Dovrà rispondere di omicidio premeditato. I media riferiscono che aveva numerosi precedenti penali, tra i quali delle molestie ad una minorenne e un’altra aggressione ad uno psichiatra dell’Ospedale Versilia di Viareggio (Lucca). E tuttavia i media non sono stati in grado di fornire una lettura critica della vicenda che andasse oltre il rafforzamento dello stigma nei confronti delle persone con malattia mentale, la risposta farmacologica, l’approccio punitivo.
«La povera collega uccisa è vittima di un sistema sanitario che non può rispondere alle vere esigenze dell’uomo e di cui l’atto sconsiderato del paziente è solo un tragico sintomo», osserva Enrico Loria, psichiatra e psicoterapeuta, nonché componente del Gruppo di Lavoro per la Riforma dei Dipartimenti di Salute Mentale del nostro organismo [ALIBES-Alleanza per la LIbertà di Scelta e il Bene-Essere psicoSociale, N.d.R.]. «È il fallimento di un sistema di cura non conforme alle linee guida OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], che richiedono la transizione da un approccio biomedicale verso uno olistico, e perciò incapace di risolvere per davvero la sofferenza del paziente. La diagnosi è corretta, la scienza ha fatto quello che poteva, il paziente è morto. Anzi no, scusate, questa volta è il medico a morire. Normalmente è il paziente. Ma non fa differenza, un essere umano è morto senza che questo abbia un senso, se non quello di rinunciare alla vita ed assecondare un sentimento pervasivo di disperazione. Quale può essere la verità che non riusciamo a capire?», si chiede Loria.
È lo stesso sistema che si rifiuta di considerare il/la paziente – la persona – nella sua interezza e lo “scompone” rinviandolo alle diverse agenzie umane. «Questo è quello che è accaduto e che accade in tutti i servizi di cura dei Dipartimenti di Salute Mentale – prosegue Loria –. “Stiamo parlando di un delinquente che va arrestato e non curato”, è questa è l’assurda affermazione che tante volte ho sentito dire dai miei colleghi nelle riunioni del Centro di Salute Mentale, che altro non è che un meschino tentativo di scaricare il problema ad un’altra agenzia umana. Hanno delle responsabilità anche i Magistrati, che si ostinano ad inviarci le persone sofferenti che poi si comportano da delinquenti, ma la Sanità, non essendo in grado di rispondere adeguatamente, le rinvia al mittente con la dicitura “non presenta una sindrome clinica in atto”. Le carceri traboccano di esseri umani che nessuno è in grado di aiutare veramente».
Sinché non metteremo in discussione il sistema, anche le risposte continueranno ad essere inadeguate: la psichiatria deve decidere se vuole davvero rinunciare al ruolo di controllo sociale e diventare “medicina dell’anima”.
Prosegue Loria: «Possiamo tutti insieme indignarci per tutti gli atti di non amore dell’uomo verso l’uomo, ma non è con l’indignazione che risolviamo il problema delle prevaricazioni, dei femminicidi, dei TSO [Trattamenti Sanitari Obbligatori, N.d.R.], della violenza in qualsiasi modo agita. La Sanità, come richiesto dall’OMS, deve assolutamente integrarsi con tutte le risorse umane disponibili nel territorio, e non può continuare a scindere la realtà di cura con i valori essenziali dell’uomo, perché questo non può che mantenere in piedi un sistema infernale».
C’è una domanda di senso che non può più essere elusa. Conclude Loria: «La guerra tra poveri non può che finire tragicamente. Uno Stato ed un Governo che mettono i suoi cittadini e le sue cittadine in queste condizioni falliscono il loro mandato, ma non sono poi in grado di fare una sana autocritica, perché hanno perso fin dal principio il senso della vita che valga la pena di essere vissuta».
Nelle società moderne gli approcci di Salute Mentale che integrano nella cura elementi in qualche modo spirituali (è difficile trovare il senso del nostro stare al mondo utilizzando le sole conoscenze fornite dalla medicina basata sulle evidenze scientifiche) vengono guardati con sospetto e percepiti come uno sconfinamento nella religione. Eppure si deve proprio a Immanuel Kant, il più significativo esponente dell’Illuminismo tedesco, la distinzione (operata nella Critica della ragion pura) tra l’intelletto (Verstand) generatore di conoscenza, e la ragione (Vernunft) generatrice di significato. Due facoltà distinte, ma entrambe essenziali per l’equilibrio umano, giacché potremmo avere una grande conoscenza del mondo, senza scorgere in esso alcun significato.
Dunque, pur in presenza di inequivocabili manifestazioni di sofferenza psichica, il nostro sistema sanitario non è stato in grado di farsi carico di Gianluca Paul Seung. Possiamo solo auspicare che la tragica vicenda di Barbara Capovani aiuti la comunità scientifica a comprendere che un sistema sanitario che ritiene di rispondere alla sofferenza mentale solo con la chimica, è esso stesso un sistema che ha smarrito la ragione (nel senso kantiano del termine).
L’ALIBES è l’Alleanza per la LIbertà di Scelta e il Bene-Essere psicoSociale (infoalibes@gmail.com). Di tale organismo e delle organizzazioni che finora vi hanno aderito, si legga sulle nostre pagine a questo link.
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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