La semplificazione dei processi civili non intacca la tutela dei disabili

di Salvatore Di Giglia*
C'era timore - anche alla luce di una valutazione operata guardando all'atteggiamento che in questi ultimi tempi l'apparato governativo ha mostrato di rivolgere verso i diritti delle persone con disabilità - per l'approvazione del Decreto Legislativo con cui il Governo ha attuato la semplificazione dei processi civili. In particolare si poteva temere che la fondamentale Legge 67/06 - che tutela le persone con disabilità vittime di discriminazioni - potesse uscirne quanto meno ridimensionata. Invece, a un primo esame del testo, si può affermare, con un certo sollievo, che non è così

Martelletto del giudice e libri di giurisprudenzaIl Consiglio dei Ministri ha approvato il 1° settembre il Decreto Legislativo  in attuazione della delega conferita al Governo dall’articolo 54 della Legge 69/09 [“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, N.d.R.], diretta alla «riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione rientranti nell’ambito della giurisdizione ordinaria o regolati dalla legislazione speciale», riportando a tre i modelli previsti dal Codice di Procedura Civile, individuati rispettivamente nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro, nel rito sommario di cognizione (introdotto dall’articolo 51 della medesima Legge 69/09) e in quello ordinario di cognizione.

Quale modesto cultore della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) e del diritto antidiscriminatorio, nelle more della definizione del testo, ho avvertito una certa preoccupazione circa la possibilità che nella fase di elaborazione del Decreto Delegato, tale normativa venisse del tutto disattesa, ovvero, nel peggiore dei casi, che potesse subire un ridimensionamento sul piano dei contenuti e della sua efficacia.
Il Governo, invece, nella veste di Legislatore Delegato, ha provveduto ad attuare la prevista «riduzione e semplificazione», tenendo presente anche le disposizioni contenute nell’articolo 3 della Legge 67/06, prevedendo all’articolo 28, comma 1, che esse siano regolate «dal rito sommario di cognizione».
Con tale articolo, infatti (titolato Delle controversie in materia di discriminazione), in via generale è stato contemplato che «le controversie in materia di discriminazione di cui all’articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, quelle di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, quelle di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, quelle di cui all’articolo 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67 e quelle di cui all’articolo 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo».

Nei commi successivi, poi, è stato sostanzialmente riprodotto l’iter procedurale previsto dalla Legge 67/06 e le particolari tutele sancite in materia di discriminazione diretta e indiretta nei riguardi delle persone con disabilità.
In particolare al comma 2 si è stabilito che sia «competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio» e al comma 3 «che nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente».
Con prevalente riguardo, poi, alle discriminazioni che si realizzano in campo lavorativo, il comma 4 ha previsto che «quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata».
Inoltre (comma 5) è stato espressamente previsto che «con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l’ente collettivo ricorrente».
Rispetto a tale previsione normativa, va annotata la circostanza che il giudice civile può adottare ogni idoneo provvedimento per rimuovere la discriminazione «anche nei confronti della pubblica amministrazione» e tale aggiunta  sancisce con fermezza il principio secondo cui la Legge 67/06 è applicabile anche nei riguardi della pubblica amministrazione e che la giurisdizione applicabile in materia è quella civile.

E ancora, con il comma 6 si è stabilito che «Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento».
Infine, il comma 7 ha reiterato la possibilità che «quando accoglie la domanda proposta, il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell’ordinanza è data comunicazione nei casi previsti dall’articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, dall’articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216 e dall’articolo 55-quinquies, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198». Si tratta, in questi ultimi casi, delle comunicazioni che il giudice è tenuto a fare alle pubbliche amministrazioni o agli enti pubblici che a qualsiasi titolo abbiano concesso facilitazioni o agevolazioni al datore di lavoro che ha realizzato il comportamento discriminatorio, al fine di adottare i corrispondenti provvedimenti di revoca.

In conclusione, da un primo, immediato esame e comparazione delle norme, mi sento di poter affermare – anche con un certo margine di sollievo, alla luce di una valutazione operata avendo riguardo all’atteggiamento che in questi ultimi tempi l’apparato governativo ha mostrato di rivolgere verso i diritti delle persone disabili – che  il  grado di tutela giudiziaria offerto loro dalla Legge 67/06, quali soggetti vittime di discriminazioni, non sia stato intaccato.

*Avvocato. Responsabile dell’Ufficio del Garante della Persona Disabile di Palermo (aquiledipalermo@libero.it).

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