Benji e Joshua, gemelli con disabilità intellettiva, protagonisti di se stessi

di Antonio Giuseppe Malafarina*
Gemelli con disabilità intellettiva, Benjamin e Joshua Israel sono protagonisti con bravura della loro stessa vita nel bel film “La timidezza delle chiome”, diretto da Valentina Bertani e già “Premio Speciale Valentina Pedicini” ai Nastri d’Argento 2023. Ne abbiamo parlato con la stessa regista
Bertani, Beji e Joshua
La regista della “Timidezza delle chiome” Valentina Bertani, con i protagonisti del film Benjamin e Joshua Israel

Volete vedere un bel film? Guardatevi La timidezza delle chiome (a questo link il trailer). Ve lo dice uno che guarda i film con la pancia e diventa critico se incontra la disabilità.
La pellicola è molto godibile, anche perché usa un linguaggio della disabilità corretto e all’occasione divertente. Pure se qualcuno troverà scabrosa la naturalezza con cui tratta la sessualità. Quella dei protagonisti, gemelli con disabilità intellettiva, simpatici e pestiferi, veri e non di finzione, alle prese col mondo dopo la maturità.
Ho intervistato la regista Valentina Bertani il cui film documentario nasce dalla storia vera di due gemelli omozigoti, Benjamin e Joshua Israel. Sono protagonisti di loro stessi con bravura, e questo dimostra che anche le persone con disabilità intellettive possono recitare. Se capaci e nei ruoli giusti.
Si tratta di una commedia seria che alterna toni spassosi ad altri drammatici, spaziando dal rapporto tra fratelli a quello con i genitori; dalle relazioni con gli amici a quelle con se stessi; dal desiderio di prendere la patente a quello di entrare nell’esercito israeliano. C’è un continuo confronto con i limiti, che si spostano più in là o che respingono. E che coinvolge ben oltre i protagonisti, invitandoci non solo a conoscere meglio le persone con disabilità intellettiva, ma a interrogarci su noi stessi: in quei ragazzi non ci sono un po’ delle mie insicurezze?
Premio Speciale Valentina Pedicini ai Nastri d’Argento 2023, le immagini corrono via seguendo le vicissitudini dei ragazzi con i loro amici, con e senza disabilità, coinvolgendo i genitori e altre persone per caso. Come un gruppo di donne con cui uno dei gemelli si trova a discutere di amore ed emergono gli atavici stereotipi sul ruolo della donna e dell’uomo nei rapporti di coppia. Il film, infatti, non parla solo di disabilità.

Valentina, come hai conosciuto i protagonisti del film?
«Era una giornata di sole e stavo parcheggiando lo scooter lungo i Navigli a Milano, nel 2017. Sembravano usciti da un film indipendente americano di Harmony Korine o Larry Clark. Ho provato a fermarli, ma hanno continuato a camminare. Ho capito che avevano una disabilità intellettiva perché ho studiato in àmbito psicopedagogico e sul momento li ho lasciati andare, salvo poi rendermi conto del potenziale narrativo di una storia in cui due gemelli bellissimi, omozigoti e con una disabilità intellettiva interagiscono col mondo e la realtà. Li ho rintracciati chiedendo ai negozianti».

Come nasce la sceneggiatura?
«Tutto ciò che è stato messo in scena è un ibrido tra realtà e trasposizione cinematografica di esperienze vissute insieme ai gemelli Israel. In questo modo, nella Timidezza delle chiome Benji e Josh sono sì persone reali, ma allo stesso tempo anche attori che mettono in scena la propria esistenza. Diventando coautori, perché sono sempre stati liberi di modificare dialoghi e movimenti per risultare credibili. La regia si è adattata alle loro movenze. I sottotitoli sono stati messi a punto per il loro modo di parlare».

Come si racconta la disabilità in maniera competente e semplice?
«Il focus del film non è la disabilità intellettiva dei gemelli, ma il racconto per immagini del loro coming of age [passaggio all’età adulta, N.d.R.]. Benjamin e Joshua sono prima di tutto persone e come tutti hanno molte sfaccettature da raccontare. Nel film si mostrano al pubblico senza filtri, come due adolescenti frustrati e in evoluzione che si lasciano osservare da vicino. Credo che in generale gli spettatori siano poco abituati a frequentare persone con disabilità intellettiva e che quindi La timidezza delle chiome possa risultare spiazzante, perché durante la visione si acquisisce la consapevolezza che Benjamin e Joshua vivono gli stessi conflitti interiori dei loro coetanei. Viene pertanto messo in discussione il concetto di “diverso”, perché in realtà ciascuno di noi è diverso da tutti gli altri».

I fratelli sapevano recitare oppure hanno imparato per il film?
«Mai avuto esperienze di recitazione: sono stata io a insegnar loro come si fa, ma è stato possibile perché hanno immenso talento. La prima regola che ho dato è stata: mai guardare la macchina da presa. Per evitare che lo facessero, gli ho detto che la camera era come Medusa e, dall’azione allo stop, guardarla poteva “pietrificare gli attori”.
Josh e Benji hanno un approccio molto differente a livello di acting: Josh è istintivo, spontaneo e con una naturale tendenza a improvvisare, utilissima per il film. Benji è molto rispettoso delle indicazioni di regia, quasi titubante in una fase iniziale, ma ha poi imparato con l’esperienza e con le prove a gestire i tempi e gli spazi del set».

La cultura della disabilità si crea anche al cinema, che acquisisce dalla realtà e ributta dentro. In un inarrestabile circolo anticipatore che in questo caso aiuta a conoscere meglio due persone con una disabilità differente dall’immaginario e più vicina a noi di quel che sembra.

Direttore responsabile di «Superando.it». Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “La timidezza delle chiome, intervista alla regista in occasione della proiezione al centro Asteria”, e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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