Per presentare la seconda edizione aggiornata della guida Trento senza barriere, curata dalla Cooperativa HandiCREA, con la collaborazione dell’Istituto per Geometri Pozzo del capoluogo trentino, abbiamo intervistato i protagonisti di questa speciale sinergia.
Da una parte Graziella Anesi, presidente di HandiCREA e dall’altra Paolo Rasera, vicepreside della scuola, che si è fatto portavoce anche delle riflessioni dei ragazzi coinvolti nel progetto.
Incominciamo dalla chiacchierata con la presidente della Cooperativa HandiCREA Graziella Anesi.
Com’è cominciato il rapporto della cooperativa con il Comune di Trento per le rilevazioni dell’accessibilità?
«HandiCREA è nata nel 1995 con lo specifico obiettivo di essere un centro di informazioni: forniamo informazioni a persone con disabilità, familiari, operatori e progettisti in merito a leggi e ausili; abbiamo uno sportello informativo. Fin dall’inizio abbiamo sentito la necessità di raccogliere dati sulla funzionalità delle strutture».
Avete contattato voi il Comune?
«Sì, nel ’96, ritenendo che Trento fosse il primo luogo da analizzare. La proposta è stata accolta e siamo stati messi in contatto con l’Istituto Geometri Pozzo».
Perché appoggiarsi ad una scuola per produrre la guida Trento senza barriere?
«La nostra cooperativa è composta da undici soci, di cui due sono disabili. Non tutti lavorano in cooperativa, per cui avevamo bisogno di manodopera che però utilizzasse le informazioni senza disperderle, per questo è sembrato molto bello che fossero dei futuri professionisti ad essere coinvolti».
E come vi siete trovati?
«Molto bene. L’Istituto è sensibile alla progettazione inclusiva e dopo la prima edizione della guida e prima di iniziare la seconda, abbiamo mantenuto i rapporti anche per altri lavori. Alcuni ragazzi che nel frattempo si sono diplomati oggi collaborano con la nostra cooperativa».
La prima edizione della guida Trento per tutti è del ’99 e quest’anno è già uscita la seconda edizione…
«Proprio nel ’99 Trento ha subito una trasformazione positiva legata innanzitutto alla ristrutturazione della pavimentazione, che ha permesso la costruzione di nuovi marciapiedi molto più funzionali. Nel tempo, i lavori partiti dal cuore della città si sono allargati verso la periferia. Occorreva quindi registrare questi cambiamenti».
Quali sono le caratteristiche della prima guida?
«È uno strumento molto tecnico che contiene i dati relativi al centro storico di Trento e alle strutture di interesse collettivo della periferia, presentati senza giudizi, ma solo attraverso una descrizione, perché nulla come la disabilità è un concetto variabile. I rilevamenti riguardano 1.121 strutture, accessibili e non. Per i negozi abbiamo verificato l’accessibilità dell’ingresso, la vicinanza dei parcheggi, gli spazi dell’entrata e dell’interno. Per i bar e i ristoranti ci siamo preoccupati anche dei servizi igienici».
Siete stati soddisfatti?
«Molto. La guida è andata esaurita in due anni. Sono venuti addirittura sei esponenti dell’Università giapponese di Osaka (professori, assistenti sociali e rappresentanti di una casa editrice), perché avevano avuto notizia della nostra pubblicazione. Anche per questo buon risultato, due anni fa è partito l’aggiornamento per la seconda edizione».
Cosa c’è in più in questa nuova guida?
«Le rilevazioni sono 1.318. Il gran lavoro è stato capire tutti gli spostamenti, perché molti negozi avevano chiuso, altri avevano aperto, altri ancora avevano rinnovato i locali. Praticamente l’indagine era da rifare. Per ogni esercizio, questa volta abbiamo aggiunto anche gli orari di apertura, l’indirizzo Internet, gli autobus accessibili per raggiungerli, la cartina con i parcheggi riservati.
Ne sono risultati accessibili (nel senso che hanno l’accesso in piano) il 53%. Se a questi si sommano quelli che hanno la rampa o l’ascensore, si arriva al 67% di luoghi pubblici accessibili. Rispetto al primo rilevamento è aumentato il numero di luoghi accessibili, anche per via delle molte ristrutturazioni».
Sembra quindi che HandiCREA si stia specializzando in rilevamenti. Ne farete degli altri?
«Nel 1999 ci siamo occupati anche dei rilevamenti per l’accessibilità dell’Università di Trento, visitando ogni singolo locale. Ora cominciano le richieste di altri Comuni e anche in ambito di alberghi, camping e altre strutture di zona montana turistica».
Come detto, a fare da portavoce dell’Istituto per Geometri Pozzo è il vicepreside Paolo Rasera.
Come sono iniziati i rapporti tra la vostra scuola e la Cooperativa HandiCREA?
«Personalmente conosco Graziella Anesi dalla prima metà degli anni Ottanta, quando ancora la cooperativa non esisteva, ma già la scuola, su invito del Comune di Trento, aveva incominciato ad occuparsi del problema della vivibilità della città dietro la pressante richiesta di persone diversamente abili che chiedevano all’Amministrazione Comunale maggiore attenzione soprattutto alla percorribilità della città e all’eliminazione delle barriere almeno per gli edifici pubblici più importanti (municipio, poste, edifici per lo sport, ambulatori pubblici ecc.).
Si fece allora un piccolo studio campione su alcuni edifici e si predispose una scheda di rilevazione piuttosto approfondita, anche se le normative vigenti e le disposizioni dei regolamenti comunali erano abbastanza blande e quindi facilmente eludibili. Già da allora si capiva che un ruolo importante si giocava sul piano della formazione dei futuri tecnici.
La collaborazione divenne più sistematica con la nascita della Cooperativa HandiCREA, con la quale si avviò un lavoro, anche per noi insegnanti, di revisione critica dei sistemi di insegnamento della progettazione edilizia e territoriale. Ed è da questa collaborazione che nacque la proposta del primo Trento senza barriere».
La vostra scuola è sensibile alla progettazione accessibile? È un argomento previsto nel programma didattico?
«Sì, siamo sempre stati molto sensibili a queste tematiche; da una parte la nostra scuola ha avuto sempre la possibilità di dare il proprio contributo all’interno dei processi di trasformazione e di miglioramento della città, ricevendo dall’Amministrazione Comunale, dal Museo di Scienze Naturali e dalla Provincia Autonoma vere e proprie commesse di lavoro per studiare i fenomeni urbani. Dall’altra, la scuola ha sempre fatto scelte di campo precise in ambito sociale e sui temi generali della solidarietà.
Quindi, la progettazione accessibile e la vivibilità urbana sono sempre stati per noi elementi fondamentali nei programmi di diverse discipline (Disegno e Progettazione, Topografia, Diritto, Storia), anche a livello interdisciplinare. Oltre al percorso curricolare, cerchiamo soprattutto di sviluppare l’attenzione alla qualità della progettazione (elaborazione di percorsi, studi funzionali, dettagli di arredamento, compatibilità della progettazione).
Alcuni studenti, singolarmente o in gruppo, hanno elaborato piccoli, ma significativi progetti, anche in vista dell’esame di Stato, su edifici completamente accessibili, su percorsi urbani senza barriere e piste ciclabili. Nell’ultimo anno scolastico abbiamo verificato parti di città non solo misurandole, ma percorrendole in carrozzina».
Crede che quella dell’Istituto Pozzo sia un’esperienza anomala in Italia oppure che questi percorsi siano comuni a molte altre scuole?
«La percezione che abbiamo è di essere una scuola molto avanzata rispetto a queste problematiche. Ce ne accorgiamo dalle telefonate che ci sono arrivate dopo la pubblicazione della prima edizione di Trento senza barriere e dalle domande che ci vengono fatte dai colleghi delle altre scuole.
A mio parere molte scuole non hanno ancora fatto scelte precise all’interno del proprio Progetto d’Istituto, insomma non hanno ancora deciso “da che parte stare”. Ci si nasconde dietro il bisogno dello svolgimento dei programmi, si manca di progettualità interna, ci si nasconde dietro la difficoltà di proporre questi temi ai propri studenti».
Come hanno vissuto i ragazzi questa esperienza?
«Le classi (due quarte e una quinta, in tutto circa sessanta studenti e quattro insegnanti) hanno partecipato con entusiasmo. I ragazzi si rendevano conto della difficoltà del lavoro, ma comprendevano anche di partecipare da protagonisti alla crescita della nostra città, che vive un periodo di grandi cambiamenti. La rilevazione di questi dati, se da una parte fissa l’attuale situazione, dall’altra indica, secondo noi, la strada da percorrere. Abbiamo distribuito il lavoro in piccoli gruppi sia durante le ore di lezione sia nel tempo libero e anche a giugno, una volta finita la scuola.
Essendo il progetto parte integrante del programma, gli alunni sono stati valutati e in questo modo anche responsabilizzati alla serietà del lavoro. Spesso ci dicevamo: “questo non è solo un compito da sbrigare; i dati saranno pubblicati, perciò vanno raccolti con precisione, vanno riverificati, si dovranno aggiungere nuove note, si dovrà rivedere criticamente la qualità del lavoro fatto”.
Noi insegnanti siamo rimasti molto colpiti dallo scrupolo e dall’attenzione dei ragazzi: sentivano il lavoro come qualcosa di utile, si rendevano conto delle difficoltà che una persona con disabilità può incontrare, si meravigliavano dell’insensibilità di alcuni (pochi per fortuna), si stupivano di quanto poco sarebbe bastato per l’eliminazione del problema, della “pigrizia mentale” di altri (ad esempio dell’eliminazione delle soglie d’ingresso ai negozi che spesso sono di dimensioni contenute)».
E gli esercenti come hanno reagito di fronte alle rilevazioni?
«In genere hanno accolto con attenzione la proposta, anche se la prima reazione, per molti esercenti privati, è stata di tipo “difensivo”, nel timore di tassazioni o controlli amministrativi.
Prima della rilevazione li abbiamo messi a conoscenza del progetto attraverso lettere inviate da HandiCREA e la pubblicazione dell’iniziativa sui giornali delle associazioni locali dei commercianti. I ragazzi si presentavano muniti di un cartellino di riconoscimento. Qualche volta, nei casi “difficili”, è intervenuto un insegnante. Credo però che siano stati proprio gli studenti a promuovere un’“operazione culturale”, spiegando il perché del lavoro, indicando i problemi, chiarendo le possibili soluzioni. Bisogna dare loro merito di avere acquisito competenze e conoscenze delle normative e sulla progettazione al punto da poter individuare subito le difficoltà e indicare le risposte (ovviamente minimali)».
Quanto sono durati i lavori?
«Fra lezioni teoriche, esercitazione con gli insegnanti, rilevazione dei dati, correzione e inserimento degli stessi, circa un anno scolastico».
Quali sono le differenze principali tra la prima e la seconda edizione della guida?
«Non ci sono differenze sostanziali, anche se la scheda di rilevazione è stata ulteriormente approfondita: ad esempio abbiamo rilevato con il dinamometro la difficoltà di apertura delle porte di accesso, abbiamo implementato la quantità di dati e di misurazioni».
Come avete trovato la città?
«Trento si dimostra piuttosto “sbarrierata” e l’accessibilità è abbastanza alta (oltre il 60%). Un po’ peggio, invece, rispetto alla situazione della percorribilità interna di locali ed edifici, ma comunque anche qui siamo su livelli accettabili. I percorsi urbani sono accessibili, i trasporti pubblici si stanno adeguando, c’è una discreta dotazione di parcheggi: che il dato rilevante è che – pur essendoci ancora da lavorare – la vivibilità è in crescita costante.
Il contributo decisivo lo potranno dare i futuri progettisti, che cresceranno con una maggiore sensibilità rispetto alle generazioni passate. Dal mio osservatorio percepisco maggiore attenzione anche nella progettazione degli edifici privati che, assieme alla gestione del territorio, sono il nodo importante e cruciale. Su questo punto la scuola sta lavorando efficacemente, ma il “mercato” rimane ancora l’ostacolo più complesso. Il nostro Comune e i Comuni della Provincia nel loro insieme si sono dotati di regolamenti edilizi adeguati, ma la tentazione alla “speculazione” rimane: non bisogna abbassare la guardia e in questo credo che persone come Graziella Anesi o cooperative che lavorano con passione e senso critico e civile siano fondamentali per indicare la strada da percorrere».
E nella percezione dei ragazzi come saranno i progettisti della loro generazione?
«Sono convinti che potranno essere più attenti alla vivibilità delle città, ma il nodo è soprattutto culturale e, se mi permette, anche politico. Certo, il processo di formazione dei tecnici è molto lungo e dovrebbe essere costante, anche una volta terminata la scuola. Però anche gli amministratori devono porsi il problema dell’accessibilità in modo non saltuario ed episodico, sviluppandolo come politica generale del territorio. In questo credo che il Trentino e soprattutto la città di Trento abbiano fatto scelte significative».
Per ulteriori informazioni:
Cooperativa HandiCREA, tel. 0461 239396, handicrea@trentino.net
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