Perché l’inclusione è un processo irreversibile

di Francesca Palmas*
«In questi ultimi anni - scrive Francesca Palmas - l’evoluzione dei concetti di “disabilità”, “normalità”, “inclusione educativa” e i progressi della tecnologia hanno trasformato il nostro modo di vivere e di pensare la diversità. Questo è il fine della Scuola, “formare e formar-SI” autonomo per una reale convivenza sociale. La gestione efficace delle differenze e dei diversi livelli di competenza è il cuore della questione didattica, poiché mira a valorizzare ogni diversità e a rendere il sapere accessibile a tutti gli alunni in classe, con bisogni educativi speciali, con disabilità e non»

Alunno in carrozzina in primo piano all'interno di una scuolaParto dalla prima considerazione: le giuste e opportune reazioni di sdegno davanti agli “articoli” e commenti di Ernesto Galli della Loggia [si vedano qui a fianco, agli “Articoli correlati” i nostri contributi dedicati a tale tema, N.d.R.] hanno dato fin troppa visibilità alle sue esternazioni collaterali di pura ignoranza (nel senso di “chi ignora”) in materia di Scuola e Inclusione scolastica di cui, francamente, nessuno di noi, impegnati quotidianamente per la tutela dei diritti e per migliorare concretamente la vita scolastica dei nostri alunni con disabilità – perché la Scuola la respiriamo ogni giorno! – aveva bisogno. Quindi mi limito ad alcune informazioni di base che, ancora, molti ignorano, ci può stare.

L’inclusione è un processo che è sempre in divenire, come pure la stessa formazione (intesa come “dare e prendere Forma”) e che nasce dall’incontro, dalla relazione, che “costringe” al cambiamento, dunque alla riorganizzazione di se stessi nel momento in cui accogliamo l’altro; e per esempio anche nel sistema scolastico tutto è chiamato a dare delle risposte a nuovi bisogni, e dunque a trovare e sperimentare nuove soluzioni. Sperimentare, perché ogni percorso e ogni processo inclusivo presuppone e sottende la personalizzazione: non ci sono “confezioni” già pronte da applicare a tutti; ogni azione, essendo una risposta attiva, va modellata su quella particolare persona che vive quella particolare situazione.
Un percorso inclusivo, dunque, inteso come un cammino continuo (appunto mai finito, mai chiuso) in cui si affrontano continue ri-organizzazioni e costruzioni, che poi faranno sì che quella persona (con disabilità o con bisogni educativi speciali) possa essere pienamente se stessa (possa raggiungere quella “forma” che le è propria), possa essere quell’individuo, unico e irripetibile.
Del resto non è forse un principio della Pedagogia e della NOSTRA Scuola? Quello di “salvaguardare” le diversità, le unicità e le particolarità degli individui?
La Scuola, l’agenzia formativa più vicina alla famiglia, è il primo vero alleato della famiglia stessa nel territorio per la costruzione di percorsi inclusivi per i propri figli, insieme a tutti gli operatori coinvolti, insegnanti, educatori e professionisti in genere, che diventano coautori corresponsabili di questi processi inclusivi personalizzati… e appunto co-progettati. È nella Scuola  che si sperimenta e si costruisce l’inclusione e il cambiamento del sistema.

Sulla scia della pedagogia di Maria Montessori, che utilizzò le metodologie educative “speciali” proponendole quali basi della pedagogia scientifica indirizzata a tutti gli allievi, oggi sentiamo la necessità di far coesistere nella realtà scolastica i bisogni educativi di tutti e la specificità di ognuno; i nostri figli ci hanno insegnato come loro stessi siano una risorsa per tutta la scuola in questo senso: grazie a loro la didattica diventa speciale, si ri-organizza, si costruisce sulla base dei bisogni e attiva nuove soluzioni, che sono utili anche ad altri alunni che non hanno alcuna disabilità. E realizzare i piani personalizzati significa anche essere costretti a lavorare insieme, tutti i soggetti coinvolti, non solo la Scuola ma gli Enti Locali, i Servizi Sanitari, gli operatori e i servizi dei territori, le Università, le organizzazioni dei diretti interessati.
Il processo in atto in Italia, dopo trent’anni di esperienza legislativa e pratica di inclusione nelle nostre scuole, propone un approccio bio-psico-sociale (ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.]) che si traduce operativamente nello strumento del PEI rinnovato (Piano Educativo Individualizzato) e finalmente unico per tutte le Scuole del Paese: dal nord al sud, dalle periferie alle grandi città, per tutti gli ordini e gradi di scuola (dall’infanzia alle secondarie superiori).
Il focus, dunque, non è solo sul soggetto/studente, ma è necessario collegare e leggere il suo contesto di vita: si parla già infatti di ambiente di apprendimento inclusivo, che in questa ottica suggerisce immediatamente il coinvolgimento di tutti.
«Quello che è necessario per qualcuno può diventare utile per tutti» (Universal Design for Learning) Cosa vuol dire? Reale possibilità di pensare, progettare, realizzare e utilizzare prodotti, strutture, ambienti, spazi, mezzi e servizi fruibili da tutti, indipendentemente dalla loro età, capacità personale e/o condizione di vita, cultura, lingua. Non è sempre facile, ma esistono delle eccellenze, delle buone prassi, che ci narrano di un’inclusione possibile utilizzando concretamente proprio questa metodologia. Fa sempre “più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, no?

Il lavoro comunitario non ha un destinatario prefissato e non ha lo scopo di risolvere un problema a qualcuno, bensì di eliminare le possibili barriere “prima” che si manifestino come tali, indipendentemente dall’individuo specifico che abita quel contesto; l’inclusione, dunque, riguarda tutti.
In questi ultimi anni l’evoluzione dei concetti di disabilità, normalità, inclusione educativa e i continui progressi della tecnologia hanno trasformato il nostro modo di vivere e di pensare la diversità. Questo è il fine della Scuola, formare e formar-SI autonomo per una reale convivenza sociale. La gestione efficace delle differenze e dei diversi livelli di competenza è il cuore della questione didattica, poiché mira a valorizzare ogni diversità e a rendere il sapere accessibile a tutti gli alunni presenti in classe, con BES (bisogni educativi speciali), con disabilità e non.

C’è una Scuola che lavora in questa direzione, tanti professionisti (bersagliati e offesi dalle considerazioni dei cosiddetti “intellettuali” che non entrano in un’aula scolastica da 40 50 anni, ma che si ritengono “esperti” di Scuola e Inclusione scolastica!), che coltivano quotidianamente la corresponsabilità, la partecipazione, l’appartenenza.
Investiamo nel nostro presente, oggi in una Scuola che sappia prendersi Cura di ciascuno; non accontentiamoci, non abituiamoci all’indifferenza che spesso ancora investe gli alunni e le alunne con maggiori difficoltà, perché ci riguarda tutti, e non rassegnamoci ad una Scuola che seleziona “il merito”, trascurando le unicità, tradizionalmente preoccupata di “riempire” in maniera nozionistica le teste dei nostri figli: «Meglio le teste ben fatte che piene» (Edgar Morin, 2015).
Abbiamo bisogno di un’urgente transizione sociale, finalmente inclusiva nel senso più essenziale del termine. Occorre proseguire con una sostanziale riforma dell’attuale sistema di welfare, oggi basato invece principalmente sul sistema di protezione, su un sistema dove “altri” decidono sulle vite delle persone con disabilità e sui loro destini, andando verso un nuovo modello che sia realmente calibrato sul riconoscimento dei diritti umani, civili e sociali. Se non ora quando?

Pedagogista, responsabile Scuola di ABC Italia, l’Associazione Bambini Cerebrolesi, aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) (francesca.palmas@abcitalia.org).

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