L’articolo del professor Galli della Loggia del 13 gennaio scorso, seguito da quello di chiarimento del 20 gennaio, ha scatenato un dibattito culturale che mi ha rimandato indietro di oltre cinquant’anni, quando si cominciò a parlare di inserimento e di integrazione scolastica [l’elenco dei contributi pubblicati su queste pagine rispetto a tale tema è disponibile a questo link negli “Articoli correlati”, N.d.R.].
Io ho partecipato al dibattito che fu suscitato da quella novità dirompente; allora i primi casi di inclusione erano eccezionali e turbavano i benpensanti che non avevano mai visto alunni con disabilità nelle classi comuni perché erano tutti chiusi nelle scuole e negli istituti speciali e la scuola procedeva con la sua routine quotidiana.
Il movimento per l’integrazione sconvolse il normale ritmo della scuola e dopo i primi anni di “inserimento selvaggio”, il fenomeno che era divenuto impetuoso fu affrontato dai docenti della scuola affiancati e guidati dai pedagogisti, poi seguiti dal legislatore, che cominciò a regolare il fenomeno stesso, nuovissimo, sostenuto dai ripetuti interventi di legittimazione della Corte Costituzionale.
Oggi il professor Galli della Loggia rimette in dubbio tutto il lavoro culturale, pedagogico, sociale e giuridico svolto, prendendo spunto da talune carenze, già denunciate con puntualità dal mondo accademico, specie della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) e dalle Associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, specie dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ); le denunce di Galli della Loggia riguardano sostanzialmente l’insufficiente preparazione dei docenti di sostegno e la loro permanente discontinuità, dovuta all’uso strumentale del posto di sostegno per poter passare su posto di ruolo disciplinare.
Non entro nel merito delle coerenti critiche a lui svolte da pedagogisti come i professori Daniele Novara e Fabio Bocci, illustri docenti universitari di Pedagogia, che si richiamano ai massimi esponenti del movimento per l’inclusione, come don Lorenzo Milani, Andrea Canevaro e altri; né ignoro i legittimi interventi critici delle Associazioni, come quelli di Vincenzo Falabella, presidente della FISH, dell’ANFFAS presieduta da Roberto Speziale, aderente anch’essa alla FISH, e di Francesca Palmas, pedagogista dell’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), altra organizzazione aderente alla FISH, insieme ad altri su varie riviste pedagogiche.
Leggo che anche il professor Dario Ianes critica la posizione del professor Galli della Loggia, contrapponendogli però la propria ipotesi di “cattedra inclusiva”, sostanzialmente “mista”, con la quale ogni docente dovrà essere specializzato per il sostegno e dovrà insegnare per mezza cattedra la disciplina e per l’altra mezza sostegno. Ho già avuto modo di scrivere su queste stesse pagine che questa “cattedra mista”, pur essendo una bella idea, è una pura utopia a livello teorico e organizzativo.
E in ogni caso vorrei qui intervenire come pluridecennale consulente giuridico dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), affiancato dal pedagogista Nicola Tagliani, con il quale curiamo l’Osservatorio sull’Inclusione Scolastica della stessa AIPD.
Ma le lagnanze del professor Galli della Loggia non solo sono minimali, mancando, come denuncia il professor Novara, della critica all’assenza di pedagogisti nella scuola italiana (ai quali Galli della Loggia non accenna nemmeno); e ancora, a questa carenza gravissima, se ne aggiunge un’altra, e cioè la mancata formazione iniziale dei docenti curricolari sulla pedagogia e la didattica speciale.
Sino ad oggi tali docenti, specie quelli delle scuole secondarie, sono ope legis “ignoranti” di tali discipline. Questo ha determinato una delega ai soli docenti di sostegno, facendo venire meno l’altro principale pilastro portante dell’inclusione scolastica, cioè la presa in carico del progetto inclusivo da parte di tutti i docenti della classe. Finalmente la Legge 79/22 ha previsto un anno abilitante all’insegnamento con 60 crediti formativi obbligatori che cercherebbe di colmare questa enorme smagliatura nel sistema inclusivo, ma, come ha da tempo segnalato il professor Luigi d’Alonzo, già presidente della SIPeS, tra questi 60 crediti formativi, quelli concernenti la pedagogia e la didattica speciale sono talmente poco numerosi da risultare insignificanti e quindi la “delega” permarrà, se non si interviene immediatamente. Per questo la FISH, nella citata Proposta di Legge, prevede un aumento nel numero di tali Crediti Formativi, i cui contenuti saranno precisati con apposito Decreto del Ministero dell’Università.
Purtroppo il professor Galli della Loggia alle proprie critiche non fa seguire delle proposte costruttive, ma salta subito al “ritorno al passato”, riproponendo le scuole speciali almeno per gli alunni più gravi (bontà sua!). Invece le Associazioni, e specie quelle aderenti alla FISH, sono riuscite ad ottenere nella Legge 107/15, cosiddetta sulla “buona scuola” la delega per adeguare la nostra normativa ai princìpi dell’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). sulla valutazione del funzionamento dell’organismo umano, recepiti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall0’Italia con la Legge 18/09). Purtroppo, però, a distanza di quasi dieci anni da questo fondamentale potenziamento dell’originario principio inclusivo – introdotto con la Legge 104/92 -, non hanno fatto seguito quasi tutti gli atti applicativi, necessari per dare una piena risposta alle critiche del professor Galli della Loggia ed altri.
Infine il professor Galli della Loggia ignora totalmente il principio di “individualizzazione” introdotto nella normativa inclusiva fin dall’inizio; esso fa sì che nella scuola del primo ciclo l’articolo 16, commi 1 e 2 della Legge 104/92 prevedono che per gli alunni e le alunne con disabilità il PEI (Piano Educativo Individualizzato) debba essere formulato con riguardo alle sue «effettive capacità» e per le scuole del secondo ciclo la normativa ha previsto che per gli alunni che il professor Galli della Loggia vorrebbe rimandare sicuramente nelle scuole speciali, data la loro situazione di gravità, la formulazione di un Piano Educativo Individualizzato sempre formulato secondo le singole capacità effettive; esso può allontanarsi dai programmi ministeriali e non conduce al diploma di maturità, ma solo alla certificazione dei crediti formativi maturati.
In conclusione, non solo il secondo articolo del professor Galli della Loggia può considerarsi «una toppa peggiore del buco» rispetto al primo, come scrive il professor Fabio Bocci nel suo puntuale e articolato articolo di replica, ma, ossessionato dal concetto di “scuola del merito”, non tiene conto che la Corte Costituzionale, con la famosa Sentenza 215/87, ha stabilito che per gli alunni e le alunne con disabilità capacità e merito non vanno valutati secondo parametri standardizzati. ma secondo criteri relativi alle loro peculiari situazioni di disabilità.
Conseguentemente, se egli avesse tenuto conto del valore costituzionale del diritto all’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità, non avrebbe avanzato la sua richiesta anacronistica, almeno per l’Italia, dove abbiamo una scuola regolata dalla nostra Costituzione e dalle nostre leggi, ma avrebbe potuto e dovuto formulare delle proposte coerenti col dettato costituzionale e con le più avanzate conquiste della pedagogia. Quanto poi alla considerazione che l’Italia sia quasi l’unico Paese al mondo che si sforzza di attuare l’inclusione scolastica, questa considerazione, apparentemente democratica, è fuorviante, come lo era quella, basata sul “buon senso”, che costrinse Galileo ad abiurare obtorto collo la sua rivoluzionaria scoperta scientifica!
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