Vent’anni di “Legge Stanca” sull’accessibilità digitale: a che punto siamo?

di Stefania Leone*
«Il ventennale della Legge 4/04 (“Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”) – scrive Stefania Leone – ci invita a riflettere sullo stato dell’arte, su cosa si è fatto e su cosa si può fare. Quel che servirebbe sarebbe che l’accessibilità uscisse dagli ambienti del mondo della disabilità in cui è nota: dopo vent’anni, infatti, manca ancora una vera e propria cultura sull’accessibilità, considerata da molti solo come un problema, un obbligo, piuttosto che come un’opportunità conveniente per molti, anzi per tutti»

Il ventennale della Legge 4/04, meglio nota come “Legge Stanca”,  dal nome del firmatario Lucio Stanca, allora Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, ci invita a riflettere sullo stato dell’arte, a che punto siamo, cosa si è fatto e cosa si può fare.
Non possiamo affermare di essere al punto di partenza, anche perché la Legge è stata rafforzata dalla Direttiva UE Web Accessibility Directive (WAD 2016/2102) che ha imposto di legiferare sul tema agli Stati Membri. L’Italia tuttavia era già stata la prima a farlo.Accessibilità digitale (tastiera con simboli di disabilità)
Inizialmente i ventidue requisiti tecnici previsti per legge recepivano in parte le Linee Guida WCAG 1.0 (Web Content Accessibility Guidelines) e poi le WCAG 2.0, mentre ora la legge prevede che vengano recepite le linee guida standard nella versione vigente, 2.2 e successive. Inoltre, nel Decreto Attuativo e nelle successive modificazioni è stato ampliato il novero degli aventi obbligo ad ottemperare alle regole previste per legge e dunque, oltre alle Pubbliche Amministrazioni e agli Enti pubblici presenti nell’elenco IPA, sono obbligati a rispettare l’accessibilità di siti web e app mobili anche gli Enti privati che nel triennio abbiano superato un fatturato medio annuo di 500 milioni di euro. Va notato positivamente che l’accessibilità è prevista anche nel Codice degli Appalti, pertanto nei bandi pubblici di gara le aziende appaltatrici devono considerare l’accessibilità dei prodotti digitali che realizzano e consegnano.

La norma dunque riguarda una platea di soggetti abbastanza ampia e molte sono le buone prassi di coloro che, pur non essendo obbligati per legge, valutano l’accessibilità come un’opportunità di crescita di clienti e quindi di aumento di mercato per i propri prodotti e servizi.
Ultimamente si parla di accessibilità in vari settori, come quelli del turismo, della comunicazione, della mobilità, ma i problemi restano sempre a livello di base, ovvero sul come realizzare concretamente siti e app accessibili, di cui in genere se ne sa ancora poco o nulla.
Le regole tecniche restano le stesse e basterebbe porre attenzione ad etichettare correttamente link e pulsanti, a non pubblicare pdf-immagine e a mettere sottotitoli o audiodescrizioni laddove un file multimediale sia solo audio o solo video.
Diciamo che se ne parla, ma solo tra addetti ai lavori, mentre è importante che l’accessibilità esca dagli ambienti del mondo della disabilità in cui è nota. Dopo vent’anni, infatti, manca ancora una vera e propria cultura sull’accessibilità, considerata da molti solo come un problema, un obbligo, piuttosto che come un’opportunità conveniente per molti, anzi per tutti.

Negli ultimi anni una grande novità si è avuta con le tecnologie mobili: diverse app accessibili hanno di molto migliorato l’utilizzo dei servizi digitali, slegandoli dal singolo sito web, in quanto spesso la relativa app mobile risulta più snella e usabile ed offre la possibilità di evitare di affrontare i limiti di accessibilità del sito web ufficiale. Tale risorsa non appare come una giusta soluzione al problema, ma è pur sempre un aspetto positivo da considerare.
Dal 2025, poi, si avrà un’ulteriore virata verso l’accessibilità, grazie alla Direttiva European Accessibility ACT (EAA) che rafforzerà quanto previsto dalla Legge Stanca con ricadute pratiche: si parla infatti di prodotti e servizi immessi sul mercato europeo, tra cui bancomat, strumenti di pagamento digitale come i POS, macchine per l’emissione di biglietti, sistemi operativi, computer, tablet e cellulari, elettrodomestici e molto altro!
Questo comporterà un aumento di ricerca di informazioni sulle modalità di progettare prodotti e servizi accessibili e usabili da parte di tutte le aziende produttrici. Motivo per il quale è dunque necessaria una cabina di regia forte e vigile.

Come affermato anche Roberto Scano, uno dei massimi esperti in tema di accessibilità a livello nazionale e internazionale [responsabile, in «Superando.it» della rubrica “Il digitale accessibile”, N.d.R.], «tutti aspettano il 2025, ma gli obblighi di accessibilità e di non discriminazione esistono già con il Decreto Legislativo 216/03 riguardante il mondo del lavoro e con la Legge 67/06 per tutti gli altri ambiti».
Manca in sostanza un vero e proprio raccordo tra le competenze e le figure esperte nei vari settori dell’accessibilità, che non è più una caratteristica unica, ma va declinata a seconda del tipo di prodotto o servizio e del livello tecnico di progettazione, ovvero di hardware, di software o di un puro utilizzo pratico.
È semplice e condivisibile affermare che tutto debba essere prodotto secondo il principio dell’Universal Design, ma poi chi sa farlo veramente? Qualche tipologia di utenza specifica può sfuggire, e molte cose vanno progettate con esperti di ogni settore. Manca l’insegnamento della materia a livello universitario, elemento che ormai non riguarda soltanto ingegneri e informatici, ma anche esperti di comunicazione, informazione, cultura, turismo, salute ecc.
Inoltre, pur essendo previsto uno specifico strumento per segnalare i problemi, prima all’AgID (Agenzia per l’Italia digitale) e poi al Responsabile Civico Digitale, sono ancora poche le segnalazioni che pervengono, probabilmente perché i cittadini delegano al mondo associativo la rivendicazione dei propri diritti, o perché ritengono debole e poco efficace la procedura per la soluzione.
Basterebbe anche solo far valere la citata Legge antidiscriminazione 67/06 presso un giudice e la sentenza farebbe giurisprudenza, ma su questo probabilmente si è un po’ pigri e dunque, piuttosto che imbarcarsi in procedure formali di reclamo, ovvero segnalazioni di inaccessibilità e denunce legali, si preferisce risolvere in maniera pratica i problemi legati alle tecnologie.
Ciò è comprensibile, se si pensa che una persona con disabilità deve affrontare le complicazioni quotidiane e ordinarie legate alla disabilità, per cui ogni ulteriore impegno, sia pure per far valere i propri diritti, richiede tempo, energie, competenze non sempre presenti contemporaneamente.

Cosa sarebbe dunque opportuno introdurre? Una cabina di regia forte ed efficace, tra il Ministero per le Disabilità, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Dipartimento Trasformazione Digitale e l’AgID, preposta al monitoraggio e al controllo di prodotti e servizi e che avesse forza sanzionatoria.
Anche le Associazioni più rappresentative e i singoli cittadini dovrebbero fare da sentinella, ma, come detto sopra, non sempre hanno le forze necessarie per portare avanti battaglie efficaci e risolutive.
In àmbito lavorativo, un buon esempio utile all’affiancamento nella lotta sull’accessibilità degli strumenti di lavoro potrebbe essere la figura del disability manager, responsabile certificato per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, ma si tratta di una figura professionale ancora poco nota, pur se obbligatoria in Enti pubblici con più di 200 dipendenti. Tale figura, infatti, potrebbe essere un punto di riferimento centrale tra l’azienda e i lavoratori/lavoratrici con disabilità, nella soluzione di problemi di accessibilità degli strumenti di lavoro, che se restassero irrisolti porterebbero conseguenze negative sia individuali che collettive, come inattività e improduttività, peso economico per l’azienda e peso economico sociale.
Fortunatamente, diverse imprese di grandi dimensioni del settore privato hanno colto l’utilità delle competenze e dei suggerimenti di un disability manager, in grado di fornire opportune soluzioni pratiche e tecniche per mettere in condizioni di lavorare anche le persone con disabilità. A volte, mi si creda, basta veramente poco!

Un altro aspetto previsto dalla Legge Stanca è che l’AgID effettui monitoraggi triennali a campione. È evidente che questi non bastano a risolvere le problematiche a breve termine, pur essendo di importanza fondamentale a livello statistico. Ciò che risulta molto utile, ed è prevista per legge in caso di contratti di fornitura sopra una certa soglia, è la “verifica soggettiva”, ossia un test da parte di un pool di persone con diverse disabilità, visiva, uditiva, intellettiva e fisica, che si effettua prima di consegnare un prodotto; viene in tal modo prodotto un report completo su cosa va bene e cosa va migliorato.
A tal proposito, dato che è necessario inventare nuovi lavori inclusivi, perché non pensare ad impiegare proprio in ambito di testing di accessibilità e usabilità le persone con disabilità?

Segretaria generale dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), organizzazione aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). Il presente contributo è già apparso in «Welforum.it» e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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