L’accessibilità non si misura al metro quadro

di Giulio Nardone*
Quando si parla di accessibilità degli spazi e degli edifici per i non vedenti e gli ipovedenti, è troppo spesso diffuso l'ingannevole convincimento che, una volta apprestato l'ausilio - si tratti di uno strumento elettronico o della semplice pista tattile - le barriere percettive siano state automaticamente eliminate. Ma ciò non tiene conto da un lato dalle competenze di chi deve utilizzare quell'ausilio, dall'altro, dell'ambiente in cui il disabile si deve muovere. Ed è proprio ciò che sta per succedere nel centro storico di Bari...

Espressione perplessa di uomo fotografato solo per la metà inferiore del visoIl desiderio di indipendenza, ma anche molto spesso le necessità lavorative o di vita di relazione, che spingono in particolare i non vedenti giovani a muoversi da soli, hanno stimolato la ricerca di nuove competenze e nuovi ausili che possano compensare, almeno in parte, il deficit visivo. Si tratta però di capire in che misura e a quali condizioni tali ausili risultino concretamente efficaci.
Infatti, il progresso tecnologico tenderebbe sempre più a spostare l’ago della bilancia a favore dell’ausilio, relegando in secondo piano gli altri fattori che concorrono insieme ad esso alla migliore soluzione dei problemi.
Si tende quindi a delegare all’ausilio – sia esso uno strumento elettronico o informatico, oppure una persona, come il docente di sostegno – tutto il carico di responsabilità, trascurando gli altri componenti del quadro risolutivo.

Nello specifico, e cioè con riferimento al problema dell’accessibilità di spazi ed edifici da parte di non vedenti e ipovedenti, è diffuso l’ingannevole convincimento che, una volta apprestato l’ausilio – si tratti di uno strumento elettronico o della semplice pista tattile – le barriere percettive siano state automaticamente eliminate.
Si dimentica in tal modo che esistono altri elementi dell’equazione, trascurando i quali la soluzione non si trova. Infatti, un qualunque ausilio per la mobilità dei disabili visivi, con le sue caratteristiche e potenzialità, non può prescindere da un lato dalle competenze di chi lo deve utilizzare e, dall’altro, dall’ambiente in cui il disabile si deve muovere.
Questi tre elementi sono indissolubilmente legati fra di loro da un rapporto di corrispondenza biunivoca e multilaterale, tanto che il moderno concetto di “progettazione universale” (Universal Design) postula che il progettista prenda in considerazione tutte le normali variabili, ma inserisca anche fra di esse una previsione e una modulazione dell’ambiente che tenga conto delle modalità utilizzate da chi non vede o vede male per muoversi in sicurezza e della possibilità di potenziare tali capacità con idonei ausili.

Purtroppo ancora oggi si parla di ciò in ambienti ristretti e specialistici e siamo ben lontani da uno studio organico e dall’inserimento di esso in un normale piano di studi. Ecco quindi che, a parte quei pochi professionisti che hanno la possibilità e la voglia di seguire dei corsi di perfezionamento post lauream, la stragrande maggioranza dei progettisti privati e dei tecnici che lavorano presso gli Enti Pubblici possiede conoscenze scarse o nulle in questo settore.
Anche quando non si tratta di nuove opere, ma di rendere accessibili quelle esistenti, anche se non è possibile progettare appositamente l’ambiente, che è già costruito, è per altro necessario, nel momento in cui si progettano gli ausili per renderlo accessibile, tener conto di ciò che, pur in modo del tutto accidentale, l’ambiente offre, quali guide naturali, indizi secondari ecc.
E soprattutto non si può prescindere dalla conoscenza delle capacità di orientamento di un cieco. Queste possono ovviamente variare da soggetto a soggetto, ma è chiaro che nessun disabile visivo può pretendere di muoversi in totale autonomia se prima non ha acquisito le competenze di base e talora non intuitive che gli possono essere offerte da un corso di orientamento e mobilità tenuto da professionisti seri e preparati.
Guida tattile ad una fermata di autobusIn assenza di tutto ciò, si corre il rischio di installare gli ausili in misura non sufficiente o con modalità errate che li rendono inutilizzabili, oppure in misura eccessiva, tale da offendere i ciechi nel momento in cui le loro capacità di orientamento vengono disconosciute e si sottrae loro ogni possibilità di valutazione e di giudizio indipendente.

Questo, ad esempio, è il caso che si sta per verificare a Bari, dove i Lions Club della Puglia hanno deciso di solennizzare l’anniversario della loro meritoria associazione regalando ai non vedenti un percorso guidato, dal suggestivo nome di Percorso di luce, che segue il perimetro dello storico quartiere murattiano.
L’iniziativa è senz’altro apprezzabile, se non fosse per l’impiego eccessivo delle guide tattili che verrebbero poste a coprire l’intera lunghezza dei marciapiedi – per uno sviluppo di circa due chilometri – e non soltanto a indicare gli attraversamenti o le fermate degli autobus, come è necessario. Infatti, le pareti dei palazzi, insieme al rumore del traffico, costituiscono un’eccellente guida naturale e in presenza di questa, i disabili visivi non necessitano di altri ausili, oltre al loro bastone bianco e alla loro esperienza.
Nella stessa Guida alla progettazione del linguaggio tattile LOGES [LOGES sta per “Linea di Orientamento Guida e Sicurezza”, N.d.R.], vi è un intero paragrafo sulla necessità di utilizzare le guide naturali esistenti, integrandole con piste artificiali solo ed esclusivamente là dove le prime si interrompono.
A chi richiamasse il detto «A caval donato…», si potrebbe rispondere che – oltre agli aspetti negativi sotto il profilo psicologico di cui prima si è detto – è comunque un vero peccato che un così notevole sforzo finanziario non produca tutti i suoi frutti: infatti, se si fossero attrezzati soltanto gli attraversamenti, si sarebbe potuto rendere privo di barriere percettive uno sviluppo di marciapiedi dieci volte maggiore, sicuramente superiore ai venti chilometri, non limitando quindi l’accessibilità al solo circuito esterno, ma attrezzando l’intero quartiere e forse anche oltre.

C’è da augurarsi, in conclusione, che questo progetto venga riesaminato, per tenere conto delle obiezioni sopra riportate e delle legittime aspettative dei ciechi – come tali e come cittadini – ad avere gli ausili necessari, ma non sovrabbondanti, per la loro mobilità autonoma.

*Presidente nazionale dell’ADV (Associazione Disabili Visivi).

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