Come utente finale, nonché come rappresentante regionale del Friuli Venezia Giulia per l’Associazione Disabili Visivi (ADV), vorrei denunciare un fatto a mio parere grave. Servono però un paio di premesse.
In tempi recenti alcuni Decreti Ministeriali hanno disciplinato l’annoso tema delle barriere architettoniche, riconoscendo come tali non solo le barriere architettoniche motorie, che colpiscono le persone con difficoltà nella deambulazione, ma anche le barriere sensoriali e percettive, che riguardano in particolare i ciechi e i sordi.
Tali Decreti, inoltre, impongono alle Amministrazioni Comunali, Regionali e agli Uffici Pubblici di eliminare tali ostacoli. Per quanto concerne le barriere architettoniche motorie, le leggi italiane e i manuali di progettazione delle opere edili hanno oramai codificato certi comportamenti da assumere, inserendo dove necessario gli opportuni accorgimenti per eliminarle, come le rampette, le porte più larghe, i servoscala o ascensori di dimensioni opportune e così via. Per quanto concerne invece l’abbattimento delle barriere sensoriali c’è, ahimè, poca informazione, non esiste una codifica univoca stabilita dal Governo Italiano e i tecnici della Pubblica Amministrazione – così come i geometri, gli architetti, i progettisti e gli addetti ai lavori in genere – brancolano nel buio e non sanno da quale parte incominciare.
Qualcuno adotta delle soluzioni di propria invenzione, che si rivelano, per lo più un disastro; qualcuno, invece, si rivolge alle associazioni di categoria. Tra queste l’Associazione Disabili Visivi – che opera da anni in questo campo – ha la dovuta esperienza e sa consigliare i materiali giusti e la corretta posa in opera degli stessi; altre invece, pur conoscendo bene le problematiche dei disabili visivi e pur vantando una presenza storica sul territorio, non sanno fornire soluzioni concrete o, come nel caso di cui parleremo qui di seguito, propongono soluzioni estremamente costose, che vanno contro il concetto di universalità, che richiedono una continua e costosa manutenzione e, che quindi, per tutti questi aspetti, rischiano di restare come “cattedrali nel deserto”, inutilizzate da parte dei diretti interessati, i ciechi, appunto, e che comportano l’esborso di molti euro da parte dell’Amministrazione Pubblica.
Altra premessa: alla base della mobilità autonoma del non vedente non si può prescindere da un corso di orientamento e mobilità, che fornisca al cieco le basi per potersi muovere in autonomia e sicurezza senza alcun ausilio tattiloplantare o elettronico.
Tali ausili costituiscono un supporto più o meno valido, a seconda delle situazioni, ma non prescindono, ad esempio, da un corretto utilizzo del bastone bianco, ausilio principale e indispensabile per muoversi autonomamente, e dai concetti basilari per sapersi districare nel tessuto urbano o all’interno di un edificio pubblico o privato che sia.
Una decina d’anni or sono un gruppo di ingegneri, architetti e persone che conoscono la problematica dei disabili visivi mise a punto un sistema tattiloplantare – che si avverte, cioè, utilizzando il tatto del piede sotto le scarpe – denominato LOGES, ovvero Linea di Orientamento, Guida e Sicurezza. Il suddetto sistema si basa sulla realizzazione e la posa di mattonelle di diverso materiale, a seconda delle situazioni in cui ci si trovi a doverle installare, recanti dei codici standard, che permettono al cieco, una volta avvertita la loro presenza, di deambulare in piena sicurezza.
Essi sono il codice di rettilineo – costituito da canalette di forma, altezza e larghezza appositamente studiate per non creare fastidio ai normali pedoni, agli anziani o ai disabili motori – per mezzo delle quali il non vedente, seguendone il percorso con la sensibilità plantare o per mezzo del bastone bianco, può attraversare luoghi ove manchino guide naturali, come piazze, marciapiedi molto larghi, corridoi di edifici molto larghi (stazioni, aeroporti o simili) in assoluta sicurezza.
Esiste poi il codice di arresto-pericolo, il quale indica che oltre non si può andare, perché pericoloso per l’incolumità del non vedente; e ancora, il codice di pericolo valicabile, che indica una zona ove il non vedente può recarsi tranquillamente, ma con circospezione, come ad esempio la sommità di una rampa di scale, il termine di un marciapiede con relativo incrocio e così via.
Vi sono ulteriori codici dei quali, per motivi di tempo e per non rendere la spiegazione ridondante, preferisco qui non trattare. Si tratta in ogni caso di soluzioni che – come si può facilmente evincere – una volta compresi i concetti da parte del professionista, sono di facile attuazione e relativamente economici. Ciò che è più importante, però, è che il Sistema LOGES è oramai il più utilizzato in diversi Paesi Europei, come Grecia, Portogallo, Belgio e addirittura in Lituania. In Italia, inoltre, esso è già stato adottato nella realizzazione di varie opere pubbliche, come la Fiera di Milano, più di quindici aeroporti e molte stazioni ferroviarie, dove è presente un disciplinare tecnico, che ne regolamenta l’uso e la posa in opera.
Non è difficile comprendere, dunque, che questo sistema è, oramai universalmente conosciuto non solo dai non vedenti italiani, ma anche dai ciechi esteri, che possono goderne in ogni situazione in cui se lo ritrovino sul proprio cammino.
In Friuli Venezia Giulia, invece, l’associazione storica dei non vedenti, ovvero l’UIC ONLUS (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), oltre ad appoggiare un nuovo sistema tattiloplantare tutto italiano, denominato Vettore, che di per sé va già contro il concetto di universalità e che ha avuto il parere negativo da parte di diversi non vedenti italiani, ha deciso di appoggiare un sistema informativo a raggi infrarossi, basato sull’apposizione in città – negli edifici di pubblica utilità, sugli autobus e così via – di emettitori di segnali a raggi infrarossi, appunto, che trasmettono informazioni sui luoghi circostanti; questi segnali vengono poi captati da un telecomando ricevente in dotazione al non vedente, che decodifica e traduce in voce il suddetto segnale, diffondendolo tramite un altoparlante esterno o degli auricolari.
Tale sistema è molto costoso, necessita di continue manutenzioni e va contro il concetto di universalità, perché solo i non vedenti che sono in possesso del suddetto telecomando lo possono utilizzare.
Il problema, poi, è un altro. Immaginate un non vedente che esce di casa e si porta appresso una borsa da lavoro, l’immancabile bastone, il cane guida al guinzaglio – qualora ne sia in possesso – magari l’ombrello perché piove e il telecomando a raggi infrarossi, che dev’essere fatto roteare di tanto in tanto per captare il segnale emesso dai vari trasmettitori dislocati qua e là. La cosa, poi, si complica, quando ci si accinge a prendere un autobus.
Gli inventori di questo sistema sostengono che il non vedente, puntando il telecomando in direzione dell’autobus, può essere informato sul numero della linea dell’autobus stesso, la sua direzione, dove è collocata la porta di salita eccetera. All’interno del veicolo, inoltre, anziché udire i messaggi diffusi dal sistema centrale audio dell’autobus – così come avviene in molte altre città italiane e straniere – il non vedente deve sempre puntare non si sa in quale punto preciso il telecomando, per avere sullo stesso apparecchio le informazioni riguardanti la fermata successiva, rendendo quindi davvero disagevole e insicura la permanenza in autobus del non vedente stesso, che continua a possedere il suo bastone, la sua borsa da lavoro, l’ombrello, il telecomando e che deve cercare anche un appiglio per non rischiare di finire a terra ad ogni fermata o partenza del mezzo pubblico.
Il sistema a raggi infrarossi, inoltre, ha dei limiti fisici, dati proprio dalla sua concezione. Funziona, tanto per capirsi, come alcuni telecomandi dei televisori che abbiamo a casa. Vi sono telecomandi ad ultrasuoni, che riescono a superare alcune barriere, come un foglio di carta, oppure il non perfetto allineamento con il televisore stesso; i telecomandi a raggi infrarossi, invece, vengono messi fuori uso anche da un foglio di carta che si frapponga tra il telecomando e il televisore, oppure da una persona che sia momentaneamente tra noi e il televisore stesso.
Risulta dunque facile capire che, in presenza di molta gente, di un velo di polvere sulla centralina emettitrice del segnale a infrarossi o sul lobo ricevente del telecomando, o se anche il non vedente non riesce ad allineare correttamente il telecomando con il sensore, il segnale subisce delle alterazioni che lo rendono poco comprensibile o, nel peggiore dei casi, assente, lasciando il cieco stesso privo delle informazioni necessarie.
Ritorniamo ora a parlare del concetto di universalità e del perché tale tecnologia esuli da esso. Semplicemente perché solo i non vedenti in possesso di un simile telecomando – acquistato o fornito in comodato d’uso che esso sia – possono “godere”, si fa per dire, del sistema. Un cieco, ad esempio, che si rechi a Trieste, Gorizia, Udine o altra città, provenendo da fuori del Friuli Venezia Giulia, sarebbe in difficoltà perché non troverebbe una codifica standardizzata, semplice da utilizzare con il suo cane guida e/o con il suo bastone bianco e basta. Non saprebbe neppure dell’esistenza di questo sistema informativo, perché, non vedendolo, non può immaginarsi che questa tecnologia sia presente sul territorio.
Inoltre, non avendo il famoso telecomando, si troverebbe nell’oggettiva impossibilità di usare il sistema, dovendo così dipendere sempre da un accompagnatore per raggiungere i posti più semplici o per attraversare una strada.
Ebbene, per dotare gli autobus urbani ed extraurbani del sistema a raggi infrarossi, la Regione Friuli-Venezia Giulia – ancora con la precedente Giunta Illy – ha stanziato tantissimi soldi e anche il Comune di Trieste ha destinato diverse migliaia di euro per allestire un percorso che porta il non vedente dalla stazione di Trieste Centrale a Piazza dell’Unità d’Italia, attrezzandone per altro solo un lato della strada, causa l’eccessivo costo del sistema.
Viene da chiedersi quindi perché una tecnologia già sperimentata in America negli anni Settanta e già bocciata ancor prima di nascere debba trovare applicazione nella nostra bella Italia, già in crisi con i Bilanci Regionali e Comunali, quando con quei soldi si potrebbe fare molto di più, non solo per i non vedenti, ma per tutte le categorie che ne hanno realmente bisogno.
Risulta oltretutto che si stia lavorando a un accordo tra l’UIC Nazionale e la ditta produttrice della suddetta tecnologia, per allargarne l’utilizzo a livello nazionale.
Per suffragare con prove e documenti certi quanto asserito, abbiamo anche, presso la nostra associazione, uno specifico dossier che analizza e approfondisce il problema sotto ulteriori aspetti e che è a disposizione di tutti.
*Rappresentante regionale per il Friuli Venezia Giulia dell’ADV (Associazione Disabili Visivi).
Della tecnologia a infrarossi di cui si parla, si legga anche – sempre nel nostro sito – il testo intitolato Telecomandi ai non vedenti per gli autobus di Udine, disponibile cliccando qui.
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