Cooperazione sociale? Cos’è veramente? Una forma economica nonprofit, una copertura per interessi speculativi, una maschera per il lavoro nero, un’impresa come le altre?
Per chiarirsi le idee è bene partire da alcuni numeri che ben delineano la realtà che ci accingiamo a scoprire. Sono i numeri della seconda rilevazione dedicata dall’ISTAT a questo settore, numeri che fotografano la situazione alla fine del 2003.
Le cooperative sociali italiane, a quella data, erano oltre 7.000, delle quali 6.159 in attività. Nel settore lavoravano nel complesso quasi 190.000 lavoratori retribuiti: 161.248 con contratti di lavoro dipendente e 27.389 con contratti di collaborazione ai quali andavano aggiunti anche 27.715 volontari e 3.357 obiettori di coscienza, 807 religiosi e 497 lavoratori interinali.
Nel complesso, dunque, un settore che mobilitava oltre 221.000 persone, per la stragrande maggioranza regolarmente retribuite e in grandissima parte – un cospicuo 73% – inserite in una condizione contrattuale fissa e a tempo indeterminato. I collaboratori, invece, rappresentavano – così come i volontari – un modesto 12,5% del totale, mentre i lavoratori interinali non superavano, sommati ai religiosi, uno sparuto 0,6%.
Altra nota di merito la presenza delle donne: su dieci persone impiegate nella cooperazione sociale alla fine del 2003, ben sette di esse erano donne. Dal 2001, anno della precedente rilevazione, il numero delle imprese sociali aveva registrato un incremento dell’11,7%, quello degli occupati una crescita del 9,7%.
Il valore della produzione, infine, registrato dalla cooperazione sociale, ammontava a 4,5 miliardi di euro, con una media di 720.000 euro per ogni cooperativa.
Giovane, ma non marginale
I consorzi censiti nella rilevazione dell’Istat sono 224, fra i quali – nel Lazio – il Consorzio Sociale Co.In. – Cooperative Integrate, che associa oltre venti cooperative sociali, attive in diversi settori produttivi, sia di carattere tradizionale che d’avanguardia.
Particolarmente significativi, poi, i dati riguardanti il periodo di costituzione delle cooperative sociali: quelle nate nel biennio 2002-2003 sono il 5,8% del totale, quelle costituite fra il 1997 e il 2001 il 35,9%, quelle sorte infine fra il 1992 e il 1996 il 32,1%.
Si tratta dunque di un settore produttivo “giovane”, ma giammai marginale, essendo in grado di dare un contributo di rilievo alla correzione di una delle carenze più vistose della situazione occupazionale italiana: la scarsa presenza di manodopera femminile.
Parlando poi di contributi importanti per la società tutta, la cooperazione sociale si dimostra capace anche di sostenere concretamente la capacità e la voglia di “fare impresa” delle giovani generazioni. Interessante notare in tal senso come, per circa tre quarti, la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori delle cooperative sociali sia inquadrata contrattualmente in posti di lavoro stabili: un dato che conforta quello nazionale dove, come sottolinea il recente rapporto economico della Banca d’Italia, un’assunzione di giovani su due dà luogo a un rapporto di lavoro precario.
I dati succitati trovano pieno riscontro, ad esempio, nell’esperienza della Cooperativa Sociale Integrata Capodarco di Roma, che ha recentemente festeggiato il suo trentesimo anniversario: un’impresa sociale che ad oggi dà lavoro a più di 1.500 persone. Le donne (70%) e le persone con disabilità (40%) costituiscono le caratteristiche fondamentali del socio modello di tale cooperativa, caratterizzata da una forte professionalizzazione dei suoi soci lavoratori e da un’ampia partecipazione democratica.
Inclusione e cittadinanza sociale
Tre sono le considerazioni che devono essere fatte a commento di questi dati. Primo: la cooperazione sociale è un veicolo d’inclusione sociale attraverso il quale parti potenzialmente vitali della popolazione – in precedenza relegate ai margini (i disabili, le donne e i giovani), possono trasformarsi in risorsa attiva e socialmente riconosciuta.
Secondo: la cooperazione sociale promuove, non a parole ma attraverso le sue realizzazioni, un profondo mutamento della mentalità diffusa, che prefigura una nuova e più comprensiva visione della cittadinanza sociale.
Terzo: dietro i dati dell’Istat, è evidente anche il contributo che la cooperazione sociale può offrire a quella seria riforma del rapporto dei servizi pubblici con i cittadini-utenti da un lato, e dall’altro con la dimensione del lavoro organizzato, della progettualità e dell’impresa, di cui ormai c’è urgente bisogno in Italia.
Un interlocutore credibile
Dati alla mano, dunque, la cooperazione sociale rappresenta oggi, anche per la Pubblica Amministrazione, un interlocutore imprenditoriale e progettuale credibile: capace di fornire non una manodopera subordinata, ma progetti tesi al rinnovamento dell’offerta dei servizi, alla loro modernizzazione, ad una migliore rispondenza alle esigenze del cittadino-utente, sempre meno disposto ad accontentarsi di un servizio standardizzato.
E poiché tale offerta progettuale è proposta da soggetti imprenditoriali attraverso cui si esprime un grande moto d’inclusione sociale e di riscatto morale, questo rapporto con l’Amministrazione Pubblica corrisponde anche a un interesse profondo delle lavoratrici e dei lavoratori, siano essi persone con disabilità o meno, che in quelle cooperative sono associati e lavorano.
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