Credo di essere alquanto preoccupato nel vedere come il nostro welfare territoriale appaia sempre più debole e ristretto e senza spiragli di miglioramento. Mentre da una parte grosse difficoltà e complicazioni ricadono sulla vita delle persone (e in particolare delle persone che fanno fatica a tenere il passo), dall’altra vengono messi in crisi molti professionisti che si vedono svilire la loro opera, finora sostenuta da quella forza propulsiva propria della loro mission e che, fino a un recente passato, li ha portati a ricercare – e a volte inventare – buone soluzioni, servizi ed efficaci risposte ai cittadini in difficoltà.
Sul versante del Terzo Settore anche il lavoro nella cooperazione sembra essere in crisi. Si avverte una diffusa difficoltà nel poter tracciare una prospettiva di futuro in cui non sia prevalente la logica imprenditoriale, ma l’essere co/protagonisti per creare giustizia sociale e diffondere una cultura di solidarietà e di opportunità di buona vita.
Forse stiamo per assistere all’esaurimento di quella spinta ideale e culturale che a suo tempo ci ha dato il Servizio Sanitario Nazionale, i servizi sociali e sanitari incardinati nei luoghi normali della vita sociale e territoriale, l’inclusione scolastica e lavorativa delle persone con disabilità… Stiamo forse incappando in un ciclo regressivo, il cui segnale potrebbe essere anche quel brutto attacco della stampa all’inclusione scolastica delle persone con disabilità? Certo, se questa è la situazione, occorre da subito capire che cosa stia succedendo e individuare i livelli di responsabilità istituzionali e operativi.
Nel Lazio, ad esempio, non si comprende perché si sia tuttora in presenza di un welfare regionale fatto di servizi/strutture alquanto routinari e rigidi, lontani dalla ricerca di senso e sempre più incapaci di dare agli operatori quel piacere di lavorare in essi per attivare processi progettuali comuni con esiti positivi per i cittadini e non subire (gli operatori) l’attrattiva di un esclusivo sapere disciplinare sempre più specialistico, che sovente produce un pericoloso infilarsi in pratiche e visioni settoriali e unidimensionali dei problemi delle persone, ricercando quel rassicurante e semplificatorio rapporto duale esclusivo, che indebolisce – e a volte esclude – la visione multidimensionale del lavoro, ossia l’unica scelta operativa che possa favorire e soprattutto rinforzare la strutturazione di un welfare territoriale che esige di operare collegialmente a partire dai determinanti sociali di salute, vale a dire a promuovere a tutto tondo il bene/essere dei cittadini.
Tutto questo è, a mio parere, quello che attualmente sta succedendo nel Lazio: un welfare territoriale sempre più organizzato per rigide filiere tecnico/amministrative, incapace di produce progettazioni integrate e soprattutto sempre più lontano dal realizzare la possibilità (o meglio: l’obbligo!) di dare alla Regione – in attuazione della propria Legge Regionale 11/16 – un robusto welfare integrato a partire dal sanitario con il sociale, sostenuto da quel sistema operativo denominato budget di salute di cui all’articolo 53 della stessa Legge Regionale 11/16.
Se a una tale strutturazione si aggiunge la riduzione sistematica del numero degli operatori e la riduzione delle risorse finanziarie – soprattutto in fondamentali settori riguardanti l’esigibilità dei diritti sociali – è facile capire come i cittadini sentano sempre più forte la spinta verso l’arrangiarsi individualmente, spesso abbandonando le cure o (per chi ha soldi) ricorrendo ad assicurazioni sanitarie private.
Ed ecco allora perché a Roma succedano fatti impensabili che costringono le famiglie a ricorrere all’intermediazione di avvocati per ottenere dal Giudice Tutelare l’esigibilità dei diritti di loro congiunti.
È ad esempio la triste sorte toccata a Gl (persona adulta con autismo). Dal 2022 viveva in una Casa Famiglia gestita da una Cooperativa in convenzione con il Comune di Roma. Una brutta vicenda, dovuta anche a mancata vigilanza degli operatori, riduce fortemente l’autonomia di Gl. Deve intervenire la famiglia perché Gl sia ricoverato prima in ospedale e poi in una RSA (dove tuttora risiede) con il ricorso da ora in poi all’uso di una carrozzina, per potersi muovere.
Gl viene praticamente lasciato solo e – a tutt’oggi – solo la famiglia si è fatta carico di lui, subendo vicissitudini di mancata presa in carico, di rimpalli di responsabilità tra Comune, ASL e strutture convenzionate per progetti del “Dopo di Noi”. Questo grave stato di prolungato disagio esistenziale di Gl ha costretto la sua la famiglia a presentare istanza presso il Giudice Tutelare.
Nonostante i diversi incontri con le Istituzioni a tutt’oggi né il Municipio di riferimento e né il Distretto Sanitario della ASL hanno dato riscontro alla proposta di ripresa del progetto “Dopo di Noi”, come da programma personalizzato inoltrato dalla Signora B (Madre di Gl) il 28 dicembre 2023. Queste Istituzioni, quindi, si sono sottratte al dovere di concorrere insieme alla presa in carico di Gl e di garantirne il diritto ad un progetto personalizzato del “Durante/Dopo di Noi”.
A tutt’oggi è ancora la famiglia a garantire a Gl l’assistenza quotidiana individuale e senza alcun rimborso da parte dei servizi pubblici e, ovviamente, senza ancora una sua concreta presa in carico da parte dei Servizi.
E allora: come si possono accettare comportamenti tali da parte di servizi pubblici in assoluta violazione dei diritti sociali di Gl garantiti dalla nostra Costituzione? Sono diritti che esigono una precisa presa in carico, un’adeguata assistenza sociosanitaria e, soprattutto, un doveroso progetto di vita personalizzato per il “Durante/Dopo di Noi” secondo il disposto della Legge 112/16.
Dovrà essere dunque alla fine il Giudice Tutelare a dare ordine al Comune di Roma (Dipartimento Politiche Sociali, Amministrazioni Territoriali e Servizi), nonché alla ASL di riferimento, ciascuno per quanto di competenza, di riprendere in carico Gl, attuare il progetto di vita personalizzato, con relativo budget? Sarà finalmente possibile per Gl essere dimesso dalla RSA e riprendere il percorso di indipendenza abitativa?
È questa una triste vicenda emblematica e seriamente preoccupante, ma che purtroppo non si presenta come unica vicenda che disonora il mandato istituzionale del Comune di Roma con il suo Municipio di riferimento, nonché della ASL territoriale!
Abbiamo disponibili norme e pratiche consolidate che altrove hanno permesso di superare queste pratiche fatte di risposte standardizzate e astratte. Una di queste è certamente il sistema operativo budget di salute. Ce lo ricorda magistralmente Fabrizio Starace, curatore del libro Il budget di salute nel sistema di welfare italiano, edito nel febbraio scorso da Il Pensiero Scientifico Editore. E credo, come ho già più volte ricordato, che occorra tornare a riproporre l’adesione generalizzata a tale sistema operativo, perché risulta essere una delle migliori soluzioni a tutti i problemi che affliggono i servizi territoriali di questa Regione, poiché può veramente aiutare a realizzare, finalmente, fondamentali scelte strategiche.
Provo di seguito a riproporre alcune linee di approfondimento.
1. Il sistema operativo budget di salute è attualmente ritenuto lo strumento più idoneo per garantire progettualità e sostegno dei diritti sociali attraverso la realizzazione di progetti di vita personalizzati, permettendo di ricentrare l’intera rete dei servizi sociosanitari sul benessere sociale delle persone (diritti sociali – determinanti sociali di salute), piuttosto che sulla loro malattia. È un modello che implementa azioni e strumenti non inerenti alle tecniche di cure specifiche, ma esige interventi promozionali della persona e di valorizzazione dei contesti ambientali sociali e relazionali.
2. Il cambiamento operativo di tale paradigma è da ritenere la vera sfida che mette al centro non le prestazioni, ma la persona, restituendole la capacità contrattuale di cittadino per l’esigibilità di quei diritti che garantiscano il bene-essere personale e sociale, l’avere un’istruzione, l’avere un lavoro e una vita attiva, l’avere legami affettivi e sociali significativi.
3. Il sistema operativo budget di salute richiede alcune fondamentali scelte strategiche:
° La prima: la Regione Lazio deve attuare finalmente il dispositivo dell’articolo 51 della Legge Regionale 11/16 (L’integrazione socio-sanitaria), nonché la Deliberazione della Giunta Regionale 149/18 (Legge regionale 10 agosto 2016 n. 11, capo VII Disposizioni per l’integrazione sociosanitaria della sua legge n. 11/16, Attuazione dell’articolo 51, commi 1 – 7, art. 52, comma 2, lettera c) e art. 53, commi 1 e 2, con Linee guida finalizzate alla definizione del percorso di integrazione sociosanitaria nella Regione Lazio), con l’esplicitazione del contesto normativo, del modello di governance, del Punto Unico di Accesso alle prestazioni sociosanitarie, della valutazione multidimensionale e relativi strumenti, del piano di assistenza personalizzato. Questo dispositivo è tutt’ora disatteso! L’integrazione sociosanitaria è quindi un’azione di sistema necessaria, senza la quale non è possibile attivare questo sistema operativo. Se si vuole operare dando le dovute risposte unitarie a complesse situazioni dei cittadini, occorre essere convinti che sia il «sociale che il sanitario sono le due metà di uno stesso intero: la salute della persona non si risolve nella sanità, ma richiede l’apporto anche del sociale», riscontrabile nel contesto vitale, economico, lavorativo, relazionale e valoriale delle singole persone.
° La seconda: attuare un riordino quantitativo e qualitativo delle professioni nei servizi territoriali per superare carenze e squilibri tecnico/operativi nei diversi distretti e avere un sistema territoriale articolato e differenziato di servizi sociosanitari.
° La terza: presa in carico integrata delle persone in situazioni esistenziali complesse da parte dei servizi sanitari e sociali integrati, competenti con riguardo alle diverse fasi del processo stesso di presa in carico, considerando i diversi ruoli istituzionali e del Terzo Settore coinvolti e gli strumenti professionali e gestionali da utilizzare.
° La quarta: La valutazione multidimensionale delle persone effettuata da tutte le componenti dell’offerta assistenziale sanitaria, sociosanitaria e sociale e con il coinvolgimento della persona, della sua famiglia e di coloro che si prendono cura. Una valutazione che superi la classica illustrazione e descrizione della persona e faccia molta attenzione anche alla storia della sua presa in carico, valutando quanto le soluzioni fino ad allora adottate abbiano contribuito a determinare quella attuale situazione e come poterne modificare l’assetto per giungere ad una situazione di cambiamento. Inoltre occorre ricordare che c’è sempre una commistione tra valutazione e progetto e che pertanto non esista un progetto, ma normalmente un ciclo di progetti (progetto – risultati – ri/progetto), qualora si riscontrasse la persistenza di elementi/barriera nei confronti del bene-essere della persona, sia in senso generale che per particolari aspetti esistenziali della persona stessa.
° La quinta (scelta che riassume e motiva le precedenti scelte): attuare gli interventi per progetti di vita personalizzati sostenuti dal sistema operativo budget di salute, che è costituito dall’insieme delle risorse economiche, professionali e umane, dagli asset strutturali, dal capitale sociale e relazionale della comunità locale, necessari a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale della persona. I progetti di vita personalizzati esigono: il rispetto del valore fondamentale della centralità della persona; il diritto di scelta della persona; il coinvolgimento dei cittadini/utenti nella definizione dei progetti di vita personalizzati; una presa in carico per tutto l’arco dell’esistenza delle persone; l’assegnazione del case manager, responsabile dell’attuazione del progetto personalizzato e della costante verifica dell’adeguatezza degli interventi; la co-progettazione e co-produzione di programmi e progetti con tutto il contesto di vita sociale: Terzo Settore, Associazioni, Comunità locali, For/profit. Tutti soggetti non più destinatari di esecutività di attività esternalizzate, ma partner che collaborano alla costruzione e allo sviluppo di sistemi attivi di protezione sociale, a partire da progetti personalizzati; i professionisti del welfare.
Tutto infine sarà possibile, a patto che i professionisti (soprattutto del sociale) tornino ad essere inventori e non solo pedissequi esecutori di norme e disposizioni. Servono professionisti che ogni mattina rileggano la propria mission, cioè il perché e per chi sono in un servizio pubblico e sentirsi responsabili verso persone per le quali devono sempre co/progettare azioni che facciano positivamente crescere il loro star bene. Sono impegni professionali che devono accompagnare l’esistenza delle persone con creatività e inventiva e per ogni singola persona con le sue potenzialità, i suoi limiti, la sua storia socio/affettiva vissuta sia in famiglia che nel contesto scuola o nel più ampio contesto sociale con giochi di ruolo e partecipazione inclusiva.
E ancora, serve, a sostegno dei professionisti, una buona rete di welfare territoriale e comunitario per produrre esiti positivi lavorando sui determinanti sociali di salute.
Nel Lazio, quindi, serve un coraggioso passaggio dal livello normativo ad un preciso sistema operativo, che richiede capacità di una manutenzione, per generare una buona revisione di ruoli e di compiti di tutti gli attori professionali coinvolti. Diversamente diventa del tutto retorico continuare ad affermare la centralità della persona, a parlare di determinanti sociali della salute, di integrazione e di co-progettazione… se poi non si promuove una riorganizzazione dei servizi che possa veramente garantire il rispetto del diritto di fruizione dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali in un sistema integrato e condiviso.
Queste priorità – è giusto ribadirlo – se non adeguatamente affrontate, rendono alquanto difficoltosa la possibilità di operare secondo quella logica dei diritti sociali che difende la centralità della persona, la sua possibilità di capacitazione, il suo diritto di scelta, la prospettiva della sua inclusività in ogni azione.
Già direttore del Servizio Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale.
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