Una gastroscopia urgente per un giovane con autismo? Si “potrebbe provare”…

di Stefania Stellino*
«Come previsto dalla nostra rete, potrebbe provare a rivolgersi a un’altra sede del nostro progetto»: questa la risposta ricevuta da Stefania Stellino, per una gastroscopia urgente al figlio con autismo, da quello che dovrebbe essere un servizio specializzato nella cura personalizzata delle persone con disabilità. «Mi spiace davvero tanto - la risposta di Stellino al messaggio ricevuto - che ancora una volta la disabilità abbia perso, che ancora una volta una persona con una disabilità complessa non sia considerata un cittadino come gli altri. Che non abbia neppure il diritto di curarsi»

Donna di spalle con un barccio alzato (figura murale)L’editoriale di Stefania Delendati, direttrice responsabile di «Superando.it» (Autismo, la Cenerentola dell’inclusione), mi ha inevitabilmente “invitato” a buttar giù di getto quanto di seguito si potrà leggere. Avrei dovuto scrivere a caldo, forse, dei fatti che racconterò, ma ho preferito denunciare alla Regione e produrre effetti concreti (che racconterò in un altro articolo).

Il vero problema, dunque, è l’improvvisazione. Siamo ormai un Paese in cui tutti possono fare tutto. E qui penso soprattutto alle persone che si improvvisano insegnanti che, senza ovviamente fare di tutta l’erba un fascio, pur di arrotondare si mettono a disposizione per essere chiamati dalle scuole a svolgere un ruolo delicato come l’insegnamento, a far crescere le future generazioni o, ancor peggio, a supportare alunni e studenti con disabilità, magari togliendo loro quelle poche opportunità di poter fingere di vivere in un contesto inclusivo.
Sto usando forse toni molto forti, ma, mi si creda, mai come in questo periodo viviamo in un sistema distopico, termine che va tanto di moda oggi. Ma quanto mai pertinente qui.
Come afferma Stefania Delendati, l’indifferenza che ci circonda non può che scatenare rabbia. Abbiamo leggi scritte bene, almeno quelle per le quali le Associazioni, attraverso la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), vengono chiamate a integrare e spesso a correggere con emendamenti fondamentali, per rispondere realmente alle esigenze delle persone con disabilità. Ma quelle norme non vengono implementate. Leggi che risalgono a più di trent’anni fa, come la 104/92, a ventiquattro anni fa, come la 328/00 per il Progetto di Vita, per l’integrazione socio-sanitaria, norme che sono ancora lontane dall’avere ricadute effettive sulle persone con disabilità e le loro famiglie. Adesso il Decreto Legislativo 62/24, che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) garantire quei diritti che noi famiglie pensavamo fossero già esigibili da tempo. E ci ritroviamo ancora nella sperimentazione. Ancora.

Ancora oggi non abbiamo la certezza di lasciare in sicurezza i nostri figli a scuola (se ne legga a questo e a questo link). Sono trascorsi undici anni da quando ho scoperto che mio figlio Daniel, allora ancora alla scuola dell’infanzia, veniva maltrattato dalle maestre, e il tutto venne fuori nel modo peggiore: la polizia davanti alla scuola. Appena arrivata, circondata da giornalisti in cerca dell’esclusiva. Ecco cosa si cerca, la notizia, la si cavalca finché è alta, poi…
Ne abbiamo dato notizia noi, come ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori di perSone copn Autismo), negli anni, con articoli e messaggi agli associati, anche perché l’ANGSA Lazio si costituì parte civile nel processo. Ci sono voluti quasi dieci anni per vincere anche nel terzo grado di giudizio, ma se si cerca la notizia su Google, ci si ferma al 2013. E così per tutti i fatti di cronaca che riguardano l’autismo e, ahimè, ce ne sono tanti. Gli ultimi in ordine di tempo, Luca e Gabriele.
Di Luca (nome di fantasia, perché la famiglia mi ha chiesto di avere rispetto almeno del loro dolore) nessuno ha “voluto” scrivere, forse troppo scomodo. Avevo pure preso contatto con delle testate sempre pronte ad accogliere fatti che riguardano la disabilità, eppure, nulla. Forse troppo scomodo. E la scuola continua ad essere coinvolta. Quella scuola che molti Paesi ci invidiano per l’inclusività. Che non esiste a prescindere, ma è direttamente proporzionale alle persone che provano a metterla in atto. Perché non è neppure giusto dire che tutto funziona male. E meno male!
Con Gabriele invece si entra nell’altra zona d’ombra della nostra società inclusiva. Sanità vs disabilità. Il diritto alla cura per la persona con disabilità complessa è ampiamente disatteso. Si fa un bel dire dei percorsi in ospedale per le persone non collaboranti (!), dei Servizi TOBIA, ma di fatto si tende sempre a considerare l’autismo e non la persona. Così si finisce per curare una frattura o una polmonite in un reparto psichiatrico. E di Gabriele ce ne sono tantissimi in giro per l’Italia.

Ricordo un ragazzino, al tempo, adesso un giovane uomo di 25 anni, che per giorni e giorni fu ricoverato in Neuropsichiatria all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, perché aveva attivato dei comportamenti problematici di difficile gestione, e al quale vennero somministrati forti psicofarmaci per farlo calmare, trascurando del tutto la parte organica: delle perdite purulente dal naso. Dopo svariati giorni, per caso, ad un medico di turno venne spontanea la domanda: ma abbiamo mai chiesto una consulenza otorinolaringoiatrica? La risposta fu negativa. Ebbene, il ragazzo si era infilato una garza in una narice, la quale poi era scesa giù e si era “piantata” tra naso e gola, infettandosi. A nessuno era venuto in mente che prima dell’autismo ci sono i Gabriele, Daniel, Claudio, Marta, Nicole della situazione.

Riguardo i già citati Servizi TOBIA, proprio in questi mesi di creazioni di nuovi “centri” nel Lazio (per me sono e rimangono Servizi), dopo la Determinazione di Giunta Regionale n. G01769 del 13 febbraio 2023 (Linee di Indirizzo regionali per l’organizzazione dei percorsi rivolti alle persone con disabilità complessa e/o cognitivo-relazionale), ci sono famiglie che si ritrovano con figli con disabilità complessa a dover elemosinare, ahimè, perché di questo si tratta, il diritto alla cura proprio di ogni cittadino, quale è la persona con disabilità.
Una di queste è ancora una volta mio figlio. E non è che capiti tutto a lui, è semplicemente che le persone più complesse sono quelle per le quali c’è più probabilità che la nostra società inclusiva tenda ad escludere, per evitare complicazioni. E allora accade che dopo poche ore in Pronto Soccorso per vomito biliare (non il primo episodio, ma questo decisamente più importante), dopo un farmaco antiemetico e una flebo di glucosata e fisiologica per farlo resuscitare – povero, si era completamente disidratato -, non abbiamo potuto fare altri accertamenti, perché, tipo Hulk, si è strappato tutto e siamo dovuti andare via. Ne ero consapevole, mai sarei andata ad un Pronto Soccorso. se non fosse stato per la disidratazione. Anche se è proprio da lì, dai Pronto Soccorso che devono, e ripeto, devono, partire i Servizi TOBIA. Ho firmato e, speranzosa, mi sono detta, «ok, scrivo subito al Servizio presso il quale abbiamo già attivato altri slot di esami e richiedo la gastroscopia urgente». Quante speranze mal riposte! Passati venti giorni, infatti, da una risposta interlocutoria e alquanto vaga («Buongiorno, per la prestazione richiesta stiamo organizzando il percorso con gli specialisti di riferimento, ma al momento non possiamo pianificare un appuntamento. Vi contatteremo non appena ci sarà la disponibilità dello specialista»), chiedo spiegazioni per il tempo trascorso, ricordando che non si trattava di una visita di controllo, di prevenzione, e che soprattutto la disponibilità dello specialista doveva essere subordinata alle esigenze dell’urgenza. Ebbene, a quel punto riceviamo una risposta inaccettabile: «Buongiorno Sig.ra Stellino, comprendiamo perfettamente le difficoltà riscontrate. Il progetto TOBIA […] al momento è attivo soltanto per alcune specialistiche e si sta procedendo man mano ad attivare le diverse unità operative del policlinico, anche in relazione alla disponibilità di spazi e personale, motivo per il quale ad oggi il servizio è attivo soltanto di venerdì. Come previsto dalla rete TOBIA DAMA, potrebbe provare a rivolgersi al Progetto TOBIA San Camillo-San Giovanni-Sant’Andrea o Ostia. Non appena il servizio richiesto verrà attivato sarà nostra premura avvisarla tempestivamente. Saluti Team Progetto TOBIA DAMA».

Avete presente il noto film di animazione Inside Out?  Le emozioni nel mio cervello, nel momento in cui ho letto queste righe, sono impazzite. Inspirato ed espirato più volte per evitare un attacco di panico, ho messo in fila i destinatari della risposta ed eccola qui: «[…] Il “potrebbe provare” non è una risposta accettabile. […] non è accettabile che si usi un condizionale tra l’altro col verbo “provare” che apre alla possibilità di non riuscire. Credo vi rendiate conto che questo vuol dire decretare il fallimento di un servizio che per definizione deve essere appunto al servizio. Il TOBIA è un servizio, non un progetto. Ecco forse da dove nasce tutto. Confondere diritti con progetti. Ma vi rendete conto che i Servizi TOBIA nascono per le persone con disabilità complessa abbandonate dal sistema sanitario? Vi rendete conto che avete scelto voi di aprire il servizio? È assolutamente inaccettabile che si risponda con un “potrebbe provare” delegando ancora una volta alla famiglia già vessata a sufficienza dalla burocrazia e sfinita da una disabilità come l’autismo con una necessità di supporto molto intensivo. Ditelo a Daniel che continua a vomitare bile, se ne avete il coraggio. Reazione spropositata la mia? Reazione di un genitore che non ce la fa più a tutelare i diritti delle persone con disabilità da quasi 20 anni e ritrovarsi a dover leggere una tale risposta. Nel vostro precedente messaggio del 24 maggio, non dicevate questo. Perché? In 20 e più “gironi” avremmo potuto attivarci. Toh il correttore scrive gironi, leggendo nel pensiero… eh sì, perché sembra proprio di stare all’inferno.
Concludo dicendo che mio malgrado, perché siamo stati accolti sempre benissimo da voi, e Daniel ormai aveva imparato a fidarsi, dicevo, mio malgrado, se dovesse accadere qualcosa a Daniel inerente alla problematica gastroenterica ed agli episodi di vomito biliare, vi riterrò direttamente responsabili, per non aver soddisfatto la nostra richiesta. Semplice constatazione dei fatti.
Mi spiace davvero tanto che ancora una volta la disabilità abbia perso, che ancora una volta una persona con una disabilità complessa come quella di Daniel non sia considerata un cittadino come gli altri. Non abbia neppure il diritto di curarsi.
Grazie per quello che NON riuscite a fare!
Stefania Stellino».
Non credo sia necessario aggiungere altro.

Presidente dell’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo).

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