Dietro ogni barriera c’è un facilitatore: strumenti per il PEI

di Claudia Trombetta*
«Negli ultimi anni - scrive Claudia Trombetta - l’introduzione del nuovo modello ministeriale di PEI per gli studenti con disabilità (Piano Educativo Individualizzato) ha favorito la possibilità di farlo uscire dalla zona della “compilazione burocratica dei documenti obbligatori” per accedere allo status di strumento flessibile e dinamico, che crei reali opportunità di inclusione, partecipazione e apprendimento. Come muoversi dunque?»: è la stessa Claudia Trombetta, psicologa-psicoterapeuta, formatrice e supervisore, a fornire nel presente contributo alcune possibili indicazioni operative

Alunni a scuola (uno è in carrozzina)L’avvio di un nuovo anno scolastico presenta nuove possibilità e nuove sfide per tutti gli studenti, compresi quelli con disabilità che possono trovare in un PEI ben definito e articolato (Piano Educativo Individualizzato) lo strumento fondamentale per proseguire nel loro impegnativo percorso di crescita.
Negli ultimi anni l’introduzione del nuovo modello ministeriale ha alimentato occasioni di formazione, scambio e riflessioni, favorendo la possibilità di fare uscire il PEI dalla zona della “compilazione burocratica dei documenti obbligatori” per accedere allo status di strumento flessibile e dinamico, in continua evoluzione e cruciale per promuovere il coordinamento degli interventi e delle strategie, creando reali opportunità di inclusione, partecipazione e apprendimento. Diventa importante, quindi, pensare e scrivere ogni Sezione e ogni passaggio in modo che serva veramente, che sia davvero utile per orientare le azioni da mettere in campo.

A fronte di questo nuovo slancio progettuale, sappiamo di avere ancora molto da migliorare e, in particolare, vorrei soffermarmi sulla definizione delle Sezioni 6 (Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori) e 7 (Interventi sul contesto per realizzare un ambiente di apprendimento inclusivo) delle Linee Guida allegate al Decreto Interministeriale 182/20, che rappresentano uno degli aspetti più innovativi, se non forse proprio il più stimolante, del nuovo modello PEI.
Le Linee Guida stesse evidenziano chiaramente l’importanza di queste Sezioni, sottolineando che «l’individuazione di Barriere e Facilitatori deve essere orientata […] a considerare con particolare attenzione gli atteggiamenti». Esse offrono tuttavia poche indicazioni operative, lasciando troppo soli i professionisti nella definizione di quest’area che introduce aspetti nuovi e lontani dall’approccio più tradizionale e classico della progettazione didattico-educativa, prevalentemente centrata sull’osservazione e sull’intervento relativo allo studente.
Infatti, l’esperienza e la lettura di numerosi PEI ci mostra che spesso queste Sezioni sono piuttosto scarne, includono quasi esclusivamente questioni di barriere fisiche oppure inerenti alle caratteristiche dello studente, riproponendo, in termini leggermente diversi, quanto già inserito nelle Sezioni 4 e 5 (rispettivamente Osservazioni sul bambino/a, sull’alunno/a, sullo studente e sulla studentessa per progettare gli interventi di sostegno didattico e Interventi sull’alunno/a: obiettivi educativi e didattici).
Invece, il vero scopo di queste Sezioni sarebbe quello di aiutarci a tradurre operativamente un concetto fondamentale della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (oltre che di tutta la più recente normativa in tema di disabilità ed inclusione, tra cui i Decreti Legislativi 66/17 e 96/19, la Legge Delega in materia di disabilità 227/21 e il Decreto Legislativo 62/24) che riconosce la disabilità come espressione della relazione tra «durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali» e «le barriere di diversa natura» presenti nel contesto, andando così a superare l’idea più diffusa e radicata, cioè che la disabilità sia una caratteristica dentro lo studente con disabilità.
Negli ultimi anni abbiamo preso confidenza con questo concetto, sentiamo dire e diciamo spesso che «la disabilità è l’esito dell’interazione tra una menomazione e un contesto sfavorevole», ma sovente agiamo ancora come se fosse una condizione intrinseca all’individuo, una condizione oggettiva che prescinde dal contesto ed esisterebbe in ogni contesto, definendo per esempio “alunno DVA” o parlando della “sua” disabilità, del “suo” problema, della “sua” fragilità. Se invece provassimo sempre più ad agire considerando che la disabilità nasce, si riduce o si potenzia nell’interazione tra lo studente e l’ambiente fisico, organizzativo, relazionale e sociale intorno a lui, cambieremmo in modo significativo gli atteggiamenti e le pratiche, ponendole maggiormente sul contesto e meno sul singolo.

Dare più importanza e sostanza alle Sezioni 6 e 7 del PEI può aiutarci ad assumere questo nuovo sguardo sulla disabilità. Quindi, come si compilano queste Sezioni? Cos’è effettivamente il contesto? Cosa devo osservare esattamente? E come tradurre quanto osservato nel contesto in interventi possibili, concreti ed efficaci?
Alla prima semplice domanda che ci poniamo, «Cos’è e chi è il contesto?», abbiamo una prima semplice risposta: il contesto siamo noi. Per riuscire a definire le Sezioni 6 e 7, diventa quindi fondamentale partire da noi, soffermandoci su alcune domande centrali, da porre proprio a noi stessi in quanto parte integrante e sostanziale del contesto. Porle a ciascuno di noi, educatore, insegnante, assistente sociale, psicologo, pedagogista, dirigente, genitore, collaboratore scolastico, specialista… e a noi come gruppo di lavoro quale il PEI ci chiede di essere.
Sono consapevole che ciascuno di noi, sia io, sia ciascuno dei miei colleghi, possa essere barriera e/o facilitatore? So quando, in quali situazioni sono facilitatore e quando sono barriera con quello studente? So quanto io sono barriera e quanto facilitatore con questo studente in questa scuola? Quali mie idee possono agire da barriere e quali da facilitatore, potenziando quindi la disabilità di questo studente o riducendola? Quali miei atteggiamenti e comportamenti possono essere facilitatori e quali barriere? Mi infastidisce, mi preoccupa, mi fa paura pensare che ho un ruolo importante nel potenziare o ridurre la disabilità del mio studente?
Ci può sembrare difficile pensare in questi termini, non ci viene immediato rispondere a queste domande, non ne siamo abituati. Siamo più esperti nel porre al centro lo studente, osservando i suoi pensieri, i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti. Vecchie rappresentazioni e vecchi automatismi ci riportano continuamente a pensare la disabilità come caratteristica intrinseca, presente nello studente: «lui fa… lui dice… lui si comporta… lui è aggressivo… lui è oppositivo… lui è iperattivo … lui non ce la fa…». Ma ormai siamo consapevoli che questa è una lettura scorretta dal punto di vista scientifico, poco rispettosa dal punto di vista etico e inadeguata dal punto di vista pedagogico, perché aiuta poco nell’individuazione di strategie didattiche ed educative efficaci.
Quindi, in occasione del prossimo PEI, potremmo dedicare cinque minuti a ciascuna delle precedenti domande, in totale “perderemmo” (mi permetto questa terminologia tipica in àmbito scolastico) circa trenta minuti, non troppi in questa affannosa e cronica mancanza di tempo che caratterizza la nostra società.

Porre attenzione al noi-contesto, porci domande su nostre rappresentazioni e atteggiamenti, ha importanti conseguenze trasformative nelle pratiche. Per esempio, spesso sentiamo dire: «Lo studente mette in atto quel comportamento senza alcuna prevedibilità né motivazione, così, all’improvviso, senza alcun motivo». Ne consegue un’azione di tipo contenitivo a posteriori. Possiamo ora dirci che questa affermazione, questo pensiero frequentemente rappresenta una barriera.
Può capitare, anche se siamo dei bravi professionisti, di non riuscire a comprendere un comportamento messo in atto da un bambino o ragazzo con disabilità (o anche senza), ma il nostro pensiero diventa una barriera quando riteniamo che “non ci sia motivo” a quel comportamento e che sia solo qualcosa di “incomprensibilmente derivato dalla sua disabilità”. Se invece pensiamo che questo comportamento non sia connesso esclusivamente “alla sua diagnosi”, ma anche alla relazione “tra menomazione e contesto” (pensiero facilitatore da inserire nella Sezione 6), allora mettiamo in atto azioni concrete di ricerca, utilizzando, per esempio, delle schede per un’osservazione sistematica del comportamento che ci aiuti a comprendere meglio (possibile azione facilitatrice da inserire nella Sezione 7).

Sempre per esemplificare, porre attenzione al contesto e porci quelle domande, ci aiuta a comprendere che un bambino con autismo che urla o si picchia, non agisce così solo perché “è uno studente con autismo” (che sarebbe una motivazione tautologica poco utile ad individuare strategie didattico-educative), ma anche perché nel contesto ci sono delle barriere che gli creano disagio. Barriere nel contesto fisico, per esempio una classe troppo piccola o luminosa o rimbombante o senza “vie d’uscita”. Oppure barriere nel contesto didattico, cioè l’utilizzo di materiale improvvisato e non correttamente semplificato, che confonde lo studente o lo agita o lo manda in confusione o crea tempi morti inopportuni o lo fa sentire inadatto. Oppure ancora barriere nel contesto relazionale, per esempio un approccio educativo-relazionale non coerente e confusivo tra docenti di classe, educatore e docente di sostegno, che pongono in essere strategie differenti e caotiche perché non sufficientemente concordate.
Se provassimo a scrivere questo nella Sezione 6, potremmo introdurre nella Sezione 7 strategie, azioni, attività per eliminare o ridurre queste barriere e per potenziare i facilitatori anziché portarlo fuori dalla classe: per esempio dotarsi di pannelli fonoassorbenti per la classe, dedicare più tempo alla produzione di contenuti accessibili rispetto ad altre attività, definire e scrivere sinteticamente e chiaramente nel PEI alcune strategie educative che tutti i docenti sono tenuti ad applicare ecc.

Proseguendo con gli esempi, se diciamo di uno studente che «è oppositivo alle proposte nuove o non previste», definiamo come caratteristica esclusivamente interna la sua tendenza oppositiva, pensando che «lui è fatto così, dobbiamo porci l’obiettivo di insegnargli ad essere meno oppositivo». Spesso con scarsi risultati. Se invece collochiamo questa tendenza oppositiva nella relazione tra lui e il contesto, possiamo capire, ad esempio, che è oppositivo quando ciò che avviene intorno a lui è troppo veloce rispetto ai suoi tempi (quindi va in ansia e dice no) oppure è poco prevedibile rispetto ai suoi bisogni di sicurezza (ha bisogno di capire meglio prima di fare), oppure ancora ha bisogni di autodeterminazione maggiori che non abbiamo colto.
Se riusciamo a scrivere questo nella Sezione 6, possiamo facilmente individuare i facilitatori nella Sezione 7: prevedere tempi di preparazione più lunghi quando si propone una novità oppure costruire agende giornaliere o settimanali che lo aiutino a vivere con più prevedibilità e meno ansia l’ambiente, o anche offrire maggiori possibilità di scelta per soddisfare i bisogni di autodeterminazione (le ricerche ci dicono che c’è una correlazione positiva tra disturbi del comportamento e tendenza positiva all’autodeterminazione!).
In questo lavoro di costruzione coordinata e condivisa, nella Sezione 6 vengono quindi elencati e descritti le barriere e i facilitatori, mentre nella Sezione 7 vengono individuate le modalità per eliminare o ridurre quelle barriere e potenziare quei facilitatori.
Riteniamo, inoltre, che per un lavoro più fluido e coerente con quanto detto sinora, possa essere utile modificare leggermente la sequenzialità nella definizione delle Sezioni: prima compilare le Sezioni 4 e 6 (relative alle osservazioni) e poi le Sezioni 5 e 7 (relative agli interventi).

Per concludere questo breve contributo, siamo convinti che dietro ogni barriera ci sia un facilitatore, basta mettere al centro il contesto e le sue possibilità di trasformazione e generative di buone prassi. Questa attenzione ci viene richiesta dal nuovo modello PEI, da tutta la più recente normativa in tema di disabilità e inclusione, dai più recenti approcci psico-pedagogico e orientamenti socio-culturali: la via è ormai definita, dobbiamo solo percorrerla.

Psicologa-psicoterapeuta, formatrice e supervisore.

Il contenuto del presente contributo coincide con una parte delle riflessioni e delle proposte nate durante un percorso attivato dalla collaborazione tra il Comune di Giussano (Monza-Brianza), Spazio Giovani, Impresa Sociale di Lissone (Monza-Brianza) e i due Istituti Comprensivi del Comune di Giussano, attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro formato da cinque team di scuola primaria, due Consigli di Classe di secondaria di primo grado e gli educatori professionali che operano nelle stesse classi. Il gruppo si è incontrato per un’intera annualità scolastica per approfondire significati e rappresentazioni rispetto al tema delle barriere e dei facilitatori nel contesto, per tradurre in pratica i princìpi normativi, psicopedagogici e culturali, per sperimentare e monitorare l’elaborazione del PEI, ponendo particolare attenzione alle Sezioni 6 e 7 delle Linee Guida sui nuovi PEI. Per approfondimenti su tale percorso e sui materiali utilizzati, è possibile scrivere a ctrombetta1971@gmail.com.

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