Inizia un nuovo anno scolastico: parliamone con un’esperta di inclusione

a cura di Stefania Delendati
Avvocata esperta di Diritto Penale per i Soggetti Fragili e Amministrazione di Sostegno, Cristina Lavizzari fa parte del team di “La scuola inclusiva”, servizio di esperti di inclusione sociale e scolastica che sostiene le famiglie per assicurare ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze con disabilità il pieno diritto allo studio. Insieme ai suoi collaboratori, ha raccolto esperienze e segnalazioni, analizzato e proposto soluzioni alle dirigenze scolastiche e alle famiglie, come ci spiega in questa intervista, dove porta anche la sua personale testimonianza di donna con disabilità

In primo piano mani alzate di alunni, sullo sfondo immagine sfuocata di un'insegnanteComincia un nuovo anno scolastico e si continua a parlare di inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità. Dovrebbe essere assodata e garantita in maniera uniforme sul territorio nazionale, lo dice la legge italiana, una delle più avanzate in quest’àmbito, che non ammette discriminazioni. È una conquista democratica sancita dalla Costituzione, come sottolineato dal presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) Vincenzo Falabella, in un recente editoriale su queste stesse pagine.
Come ogni anno, purtroppo, il suono della campanella coincide con il ripresentarsi di problemi per le famiglie che hanno figli e figlie con disabilità che frequentano la scuola, che sulla carta è sì aperta a tutti e a tutte, ma nella pratica si scontra con tagli alle risorse e quindi al sostegno, mancanza di assistenti alla comunicazione e all’autonomia, scarsa continuità didattica, inadeguata formazione degli insegnanti. Quest’anno, inoltre, una discussa Sentenza del Consiglio di Stato (7089/24) ha “legato” l’inclusione ai limiti di bilancio degli enti territoriali, in pratica quando i fondi non sono sufficienti si può tagliare sulla partecipazione alla vita scolastica degli studenti e delle studentesse con disabilità. Insomma, tra argomenti vecchi e nuovi, non mancano le difficoltà e i temi da dibattere.
Sentiamo a tal proposito il parere di Cristina Lavizzari, avvocata milanese esperta di Diritto Penale per i Soggetti Fragili e Amministrazione di Sostegno. Cristina fa parte del team di La scuola inclusiva, un servizio di esperti di inclusione sociale e scolastica che sostiene le famiglie per assicurare ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze con disabilità il pieno diritto allo studio. In questi anni, insieme ai suoi collaboratori, ha raccolto esperienze e segnalazioni, analizzato e proposto soluzioni alle dirigenze scolastiche e alle famiglie, creando un bagaglio di conoscenze che ci spiega in questa intervista dove porta anche la sua personale testimonianza di donna con disabilità.

Quali sono le principali problematiche per le quali si rivolgono a voi i genitori degli alunni e delle alunne con disabilità?
«I genitori di alunni con una disabilità, più o meno grave, sono ancora, purtroppo, poco consapevoli dei diritti che oggi i loro figli hanno a disposizione nell’àmbito della scuola e quindi si rivolgono a noi per chiedere se certi comportamenti tenuti dagli Istituti, nei confronti dei loro bambini, siano corretti o meno. Un esempio concreto è la ricorrente domanda che i genitori mi pongono: “Mi hanno chiesto di far uscire mio figlio prima da scuola, è giusto?”. Ebbene, la risposta è semplice: i bambini con disabilità non devono subire nessuna riduzione nell’orario di scuola, nemmeno a causa dell’assenza dell’insegnante di sostegno, ma da lì, poi, per il genitore si apre un mondo di dubbi sul fatto che, allora, anche altri fattori inerenti alla gestione dell’alunno con disabilità, non siano corretti, e spesso è così.
Molte volte, infatti, le ore di sostegno assegnate sono inferiori rispetto a quelle stabilite per legge e nel PEI (Piano Educativo Individualizzato), in base alla gravità dello studente. Com’è noto, infatti, il PEI è il documento nel quale viene descritto il progetto globale predisposto per l’alunno con disabilità, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione dello stesso. Esso rappresenta lo strumento per la realizzazione coordinata dei progetti riabilitativo, didattico e sociale individualizzati. È redatto dai docenti curricolari e dagli insegnanti di sostegno sulla base delle indicazioni fornite dalla certificazione della disabilità. Dev’essere definito entro il 30 novembre e deve contenere, oltre all’indicazione delle ore di sostegno necessarie, tutti gli interventi individualizzati previsti in favore dell’alunno. I genitori, molte volte, sono inconsapevoli dell’importanza del PEI».

C’è una sorta di reticenza, da parte delle famiglie, nel richiedere un aiuto per l’inclusione scolastica?
«Sì, sentire la parola avvocato spaventa, perché nell’immaginario collettivo un legale fa cause in Tribunale, laddove vi è una lite tra le parti. In realtà, nonostante io sia un avvocato penalista, quando mi occupo di Diritto all’Inclusione Scolastica, il mio ruolo professionale cambia. Il mio obiettivo diventa quello di fornire ai genitori degli alunni con disabilità un servizio di consulenza ed assistenza legale per assicurare il pieno diritto allo studio a bambini e ragazzi, accertandomi che Dirigenze, Enti Scolastici territoriali e Comuni applichino le corrette norme relative all’inclusione scolastica e forniscano le figure professionali più adatte alle esigenze degli alunni, come gli assistenti, gli educatori, gli insegnanti di sostegno ecc. Tutto in un’ottica di dialogo e mai di scontro, volta ad insegnare ai genitori come fare rete tra gli Enti suddetti, per poi imparare a muoversi senza di me.

Cristina Lavizzari
Cristina Lavizzari

Quali sono invece i motivi per cui venite contattati da insegnanti, dirigenti scolastici ed educatori?
«In realtà è molto raro essere contattata dagli insegnanti o dirigenti scolastici, sempre per il motivo secondo il quale si crede che un legale faccia solo cause in Tribunale e anzi, spesso, un mio intervento viene considerato come “una cosa mai vista” dalle Dirigenze. A volte mi viene “fatto muro”, proprio perché non sono abituati a relazionarsi con figure come la mia, altre volte, invece, riesco ad aprire un dialogo costruttivo con le Dirigenze Scolastiche e a collaborare per venire incontro sia alle necessità dell’alunno sia alle difficolta interne degli Istituti.
È un lavoro abbastanza lungo, lo dico sempre ai genitori che si rivolgono a me, perché il cercare un confronto che inizialmente è con la scuola, ma che poi si deve estendere anche agli Enti Comunali che forniscono ore di assistenza educativa e agli specialisti clinici che hanno in carico lo studente, richiede molta pazienza, costanza e soprattutto un’esperienza in questo àmbito del diritto».

Vi sono disabilità più “difficili” da includere nella scuola?
«L’inclusione scolastica è il superamento delle barriere alla partecipazione e all’apprendimento. È un processo, che si riferisce alla globalità della sfera educativa e guarda a tutti gli alunni indistintamente e “differentemente” per accrescere le loro potenzialità. Perciò, in un mondo ideale e secondo questo concetto, non ci dovrebbero essere disabilità più “difficili” da includere nella scuola. Nel mondo reale, invece, è ovvio che più la problematica è complessa, più troviamo ostacoli alla partecipazione totale di un alunno con disabilità alla vita scolastica. Ed è proprio in queste situazioni che un avvocato specializzato può fare la differenza e sollevare un genitore nel risolvere e gestire la situazione».

Asili nido, scuole materne, scuole primarie di primo e secondo grado, istituti superiori. Come cambiano le difficoltà in base alla scuola?
«La differenza sostanziale tra asili nido, scuole materne, scuole primarie di primo e secondo grado, istituti superiori è la differenza di numero di ore di sostegno e/o educativa. Più si cresce e meno ore si hanno a disposizione. Preciso che hanno diritto all’insegnante di sostegno gli alunni con disabilità riconosciute dalle Commissioni Mediche dell’ASL in “stato di handicap” o “stato di handicap in situazione di gravità” (ai sensi della Legge 104/92)».
L’insegnante di sostegno è un insegnante “specialista”, fornito di formazione specifica che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del PEI, definisce le modalità di inclusione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente. È un docente della classe e ne è contitolare.
L’educatore scolastico è un servizio ad personam che viene erogato dagli Enti Locali ed è disciplinato dall’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92. È rivolto a tutti gli studenti con disabilità (certificata da una struttura sanitaria pubblica competente).
L’educatore nelle scuole si occupa del supporto e dell’inclusione degli alunni con disabilità. Sebbene talvolta le sue mansioni vengano confuse con quelle del docente di sostegno, tecnicamente egli ha il compito di dedicarsi esclusivamente a soggetti con bisogni educativi speciali, attuando un piano di recupero e reintegrazione degli alunni con difficoltà».

La legislazione italiana in materia è considerata all’avanguardia nel mondo, prevede infatti l’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità in ogni ordine e grado scolastico. Malgrado questo impianto normativo, la qualità dell’inclusione è a volte un obiettivo difficile da raggiungere. La legge può essere migliorata?
«Devo dire che la legislazione che negli anni è stata “costruita” per rendere “semplice” l’inclusione scolastica ad uno studente anche con una disabilità grave, è abbastanza ben strutturata. Il grosso problema che evidenzio nel mio lavoro è la poca conoscenza di tutto ciò che uno scolaro con delle disabilità ha a disposizione e la messa in pratica di tali possibilità. Non è colpa di nessuno, credo, ma è il frutto di una mentalità che fatica ad aprirsi e secondo la quale la diversità è, a prescindere, un problema».

La dispersione scolastica riguarda anche gli studenti e le studentesse con disabilità, molti ancora non riescono a frequentare le scuole superiori e vanno incontro ad un progressivo isolamento sociale, lontani dai loro coetanei. Ha conosciuto casi di questo genere?
«Sì, tempo fa mi contattò un’insegnante di sostegno, una persona meravigliosa, preoccupata per un suo studente che, essendo alle superiori, senza le giuste diagnosi, non riusciva a stare al passo con la classe e non frequentava più le lezioni. Da qui l’importanza delle giuste diagnosi e della collaborazione con i clinici di riferimento, perché nulla dev’essere lasciato al caso.
Un altro problema che affronto spesso è la volontà dei genitori di ragazzi con delle disabilità psichiche di far continuare gli studi superiori ai loro figli e la poca collaborazione dei clinici che, invece, preferiscono (magari per ragioni di protocolli medici, ma questo non spetta a me dirlo) far frequentare ai ragazzi centri specializzati. Anche in questi casi occorre fare rete tra scuola, genitori e clinici di riferimento, per valutare sotto tutti i profili il reale interesse dell’alunno.
Ovviamente, tutto questo è un percorso lungo, a volte snervante per un genitore, ma i risultati sono spesso superiori alle aspettative».

"La scuola inclusiva", logo
Il logo del team “La scuola inclusiva”

Per quanto riguarda gli alunni e le alunne che, a causa di specifiche patologie non possono frequentare la scuola, è prevista l’istruzione domiciliare. Ci può raccontare come viene attuata?
«La Circolare Ministeriale n. 60 del 16 luglio 2012 (protocollo n. 4439) fissa i princìpi di riferimento a livello nazionale per permettere e garantire agli alunni che si trovano nell’impossibilità di recarsi a scuola per gravi motivi di salute, il diritto all’istruzione e all’educazione. L’istruzione domiciliare è rivolta agli alunni iscritti a scuole di ogni ordine e grado (ad esclusione della scuola dell’infanzia), già ospedalizzati, a causa di gravi patologie, che siano sottoposti a terapie domiciliari e che impediscano loro la frequenza della scuola per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni. Ovviamente, la patologia e il periodo di impedimento alla frequentazione scolastica devono essere oggetto di idonea e dettagliata certificazione sanitaria rilasciata dalla struttura ospedaliera.
Le scuole possono anche richiedere l’attivazione dell’istruzione domiciliare per un periodo limitato di tempo, qualora l’alunno con disabilità, invece, incorra in una patologia aggiuntiva alla propria disabilità (compresi interventi di tipo chirurgico), che lo costringa ad ospedalizzazione e a relative terapie e che implichi, quindi, necessariamente l’assegnazione di ulteriori risorse a quelle già previste dalla Legge 104/92. Così facendo l’alunno può continuare a seguire le lezioni presso il proprio domicilio attraverso l’utilizzo delle tecnologie, ad esempio Skype, collegando la classe con la casa dell’alunno stesso durante le ore normali di lezione».

La Sentenza del Consiglio di Stato del 12 agosto scorso (7089/24) giustifica il taglio delle risorse destinate all’assistenza all’autonomia e alla comunicazione in base ai limiti di bilancio degli Enti Territoriali. Quanto influisce l’aspetto finanziario nell’inclusione scolastica?
«Va da sé che, in ogni settore, laddove vi sono dei tagli di risorse economiche, l’offerta qualitativa e di numero diminuisce. L’assistente per l’autonomia consiste in una figura specifica che ha il compito di aiutare studenti con difficoltà nell’uso delle mani o alunni con problemi di vista, nel prendere appunti, utilizzare il computer e altre attività di base della didattica. Si tratta di un operatore che media la comunicazione e l’autonomia dello studente con disabilità con le persone che interagiscono con lui nell’ambiente scolastico.
Si capisce, intuitivamente, che ridurre o limitare le ore di assistenza ad uno studente perché non ci sono fondi per assumere/pagare questi professionisti, equivale a limitare il diritto all’istruzione per alcuni studenti. E limitare il diritto all’istruzione è violare uno dei princìpi fondamentali della nostra Costituzione».

In base alla sua esperienza, anche di persona con disabilità, quali sono ancora i pregiudizi che impediscono un’inclusione adeguata?
«Basti pensare che al mio primo colloquio di lavoro, mi venne detto, senza nemmeno leggere il mio curriculum: “Tu, questo lavoro non lo puoi fare, semmai, potrai fare solo ricerca…” e tutto questo esclusivamente perché mi muovo con una carrozzina. Da lì in avanti, quasi nessuno mi ha dato una mano, anzi, se arrivavo tardi alle udienze, che durante il praticantato dovevo obbligatoriamente presenziare (mi pare 80 in due anni), perché gli ascensori erano pieni e nessuno mi faceva salire, il giudice mi annullava la presenza.
Ma è andata bene così, ce l’ho fatta da sola con tanta fatica mia e dei miei genitori, tanta gavetta e tante esperienze in ambito del diritto: dal lavorare in studi che si occupavano di 41bis, al fare volontariato al CAM (Centro Ausiliario per i Minori), per la difesa dei diritti dei minori, al lavorare con colleghi che si occupavano principalmente di violenza sulle donne.
I pregiudizi sono sempre laddove qualcuno destabilizza quello che è il pensiero standard. Certo è che, se chi ha una disabilità pensa che sia “colpa” del pregiudizio altrui il fatto di non poter fare nulla nella vita (e ci sono molti con questo pensiero, purtroppo), è esso stesso il primo a discriminarsi e ad avvalorare il pensiero comune. Il fatto che nel mio team di lavoro sull’ inclusione scolastica abbia il dottor Mauro Garofano, membro del Consiglio di Istituto e del Gruppo per l’Inclusione (GLI), in qualità di rappresentante dei genitori e papà di un bimbo autistico “grave”, nonché di Lidia Peregrini, in primis mia compagna di banco del liceo che, già all’epoca (Maturità classe 1999), svolgeva, inconsapevolmente, le funzioni di “sostegno” per me: mi prendeva appunti quando ero fisicamente stanca, mi tirava fuori i libri dallo zaino e mi metteva la giacca per uscire in cortile… e che oggi è OSS (Operatrice Socio-Sanitaria), oltre ad essere una donna autistica ad alto funzionamento cognitivo, con esperienze lavorative di insegnamento, non è un caso. I genitori che ci contattano devono avere la certezza di essere capiti e compresi, senza pregiudizi, e devono sapere che tutti noi, in un modo o nell’altro, sappiamo di cosa loro hanno bisogno».

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