Tutte le scelte dietro alla vicenda di mio figlio

di Gianfranco Vitale
Nel giugno scorso avevamo dato spazio a Gianfranco Vitale e al suo racconto della vicenda sanitaria che ha coinvolto il figlio, persona con autismo di 43 anni. Oggi diamo ben volentieri spazio al seguito di quella stessa vicenda. «Solo grazie ad un’appassionata campagna di informazione e sensibilizzazione, promossa spontaneamente, è diventato possibile - racconta Vitale - stanare i Servizi e le Istituzioni dal torpore parassitario che li contraddistingue. Solo così, infatti, si è potuto trasferire mio figlio nel Centro di Riabilitazione di Veruno, in provincia di Novara»
Ombra dietro a un vetro
Autore: beest | Ringraziamenti: Getty Images/iStockphoto

Nel giugno scorso avevamo dato spazio a Gianfranco Vitale e al suo racconto (Storia di un padre e di un portamonete) della vicenda sanitaria che ha coinvolto il figlio, persona con autismo di 43 anni. Oggi diamo ben volentieri spazio al seguito di quella stessa vicenda.
Il presente contributo è stato presentato sotto forma di contributo video quale intervento nel corso della seconda edizione dell’evento Aut Art Festival. Autismo e Arte. Quattro giorni per raccontare l’autismo, tenutosi a Roma dal 12 al 15 settembre e organizzato dall’Associazione Siamo Delfini. Impariamo l’Autismo.

Ho 75 anni (tanti, forse troppi…), sono il padre di Gabriele che di anni ne ha 43. Mio figlio è una persona autistica che qualche studioso saccente, richiamandosi al DSM 5 [Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, N.d.R.], definirebbe “di livello 3”, ma che io – ritenendo più appropriato classificare per livelli gli elettrodomestici anziché gli esseri umani – chiamo, più semplicemente, Persona con disturbo autistico gravoso.
È dunque da circa quarantatré anni che mi occupo di autismo. Nei miei interventi non parlo mai di un autismo barocco o rococò, che esiste solo nella fervida immaginazione di qualcuno, ma mi soffermo sull’autismo vero, quello – per capirci – che cambia radicalmente la vita dei nostri figli e stravolge la nostra esistenza di genitori. Resto una persona orgogliosa di mio figlio (che non chiamo “speciale”), non sicuramente del suo autismo.

Mercoledì 31 luglio, Gabriele ha lasciato l’Ospedale di Torino in cui era ricoverato. Tutto era cominciato il 13 giugno, 48 giorni prima, ho detto “quarantotto”, al termine di un periodo convulso caratterizzato dal sensibile peggioramento delle sue condizioni psico fisiche. In effetti, poi, sono seguiti: un suo crollo cognitivo comportamentale e clinico, una fortissima crisi epilettica con perdita dei sensi e frattura della clavicola, una polmonite contratta presumibilmente in ospedale, un intervento chirurgico di fimosi, una serie impressionante di complicazioni che lo hanno sfiancato in modo indicibile, facendogli perdere – tra l’altro – molti chili.
Non esistendo in quella parte… del profondo Nord che comprende Torino, e più in generale della Regione Piemonte, il percorso DAMA [“Disabled Advanced Medical Assistance”, ovvero “Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”, N.d.R.], Gabriele è rimasto ricoverato per tutto questo tempo nel reparto di psichiatria di due ospedali torinesi diversi, le Molinette e l’Amedeo di Savoia.
Già su questo ci sarebbe, anzi c’è, molto da riflettere, eppure io penso che l’attenzione debba principalmente focalizzarsi su un altro aspetto, e cioè su come e perché è stato possibile arrivare in condizioni di emergenza tali da rendere pressoché inevitabile il ricovero in psichiatria. Credo, infatti, che se si è arrivati a un esito così drammatico, ciò non sia avvenuto per caso e diventa troppo comodo cavarsela dicendo che la colpa è dell’autismo in quanto tale, come se dietro all’autismo non ci fossero le scelte irresponsabili compiute da persone in carne e ossa.
E allora si apre un autentico abisso: come facciamo a dimenticare che dopo i diciotto anni gli autistici sono abbandonati a se stessi? Che entrano a far parte di una sorta di “terra di nessuno”, passando sotto la categoria generica di “handicap mentale grave”, con ciò che ne consegue? Che per tanta psichiatria diventano sempre meno autistici e sempre più – giorno dopo giorno – psicotici, schizofrenici, altro ancora? Praticamente, in una parola, “invisibili”? Come possiamo cancellare con un colpo di spugna tutto questo?
Vogliamo dirlo che con la maggiore età si affermano soluzioni di marcata impronta assistenziale che nulla hanno a che vedere con il soddisfacimento dei bisogni specifici propri dell’autismo? Vogliamo dirlo che, salvo rarissime buone prassi, non esiste una presa in carico globale e interdisciplinare, non esistono strutture socio–sanitarie convenzionate per la terapia ABA [Analisi Applicata del Comportamento, N.d.R.]? Vogliamo dirlo che in circa il 90% dei Comuni capoluogo di Provincia, non ci sono percorsi ospedalieri di cura che si richiamino alla rete DAMA? Vogliamo dirlo che la formazione del personale medico e paramedico, così come quella di educatori, assistenti e tutor, è estremamente carente? E ancora, vogliamo dirlo che non esiste un progetto di vita individualizzato e che la Legge 328/00 che lo prevede è largamente disapplicata fin da quando venne approvata nel 2000, quasi un quarto di secolo fa, così come sono disattese la Legge 68/99 su disabilità e lavoro, la 134 del 2015 sull’autismo, la 112 del 2016 sul “Dopo di Noi”, e altre ancora?
Ebbene, io sono profondamente convinto che è proprio questo vergognoso retroterra, fatto di quotidiane inadempienze, che produce nel tempo frustrazione, abbandono, solitudine, perdita di autonomie e abilità faticosamente raggiunte, abusi farmacologici, in una parola “crisi” e “annientamento della persona”, come è avvenuto con Gabriele.
E allora: quanto bisognerà aspettare, ancora, prima di capire che le cause vere che hanno portato al ricovero di Gabriele in psichiatria per 48 giorni sono quelle che ho appena elencato? Come si pensa di scongiurare in futuro questi scenari drammatici, senza aggredirne le cause che ne sono alla base? Come si pensa di migliorare l’esistenza dei nostri cari, se con la politica si patteggiano persino i diritti primari, come quello alla salute?

In quel lungo periodo di degenza in ospedale, non una delle associazioni che sostengono, bontà loro, di rappresentare le persone autistiche, e che tanto si riempiono la bocca di parole come “inclusione”, “rispetto”, “mai in psichiatria”, eccetera, non una ha promosso un’iniziativa, scritto un documento, preso pubblicamente posizione per denunciare una vicenda come quella che ha visto involontario protagonista Gabriele.
E insieme alle associazioni che fine hanno fatto i cosiddetti personaggi pubblici, quei cantanti, quegli imprenditori, quei giornalisti onnipresenti in convegni e tavole rotonde, ma perennemente assenti ogni volta che si tratta di fare fronte comune contro un sistema che discrimina proprio gli Ultimi e i Fragili?
Per fortuna tante persone semplici non hanno esitato, invece, a metterci la faccia, a manifestare la loro indignazione, a esprimere la loro vicinanza a Gabriele. Lo hanno fatto in tanti modi, per esempio inviando lettere di protesta alla Ministra per le Disabilità, al Governatore della Regione Piemonte, a giornali, televisioni. Hanno firmato appelli e petizioni, comprendendo che in quel preciso momento Gabriele era il “figlio di tutti” e tutti dovevano battersi per Lui perché domani, Dio non lo voglia, ognuno si potrebbe ritrovare coinvolto nella stessa allucinante disperata situazione di un vortice impetuoso che all’improvviso, com’è accaduto a me e a mio figlio, travolge tutto e tutti!
C’è stata una appassionata campagna di informazione e sensibilizzazione, promossa spontaneamente, ed è unicamente grazie ad essa che è diventato possibile stanare i Servizi e le Istituzioni dal torpore parassitario che li contraddistingue.
Solo così, infatti, è diventato possibile trasferire Gabriele nel Centro di Riabilitazione di Veruno, in provincia di Novara. Qui, dal 31 luglio, si è potuta finalmente avviare l’indispensabile delicata fase di riabilitazione: durerà come minimo dai tre ai quattro mesi.

Share the Post: