Ma io, donna con disabilità, da chi mi sento rappresentata?

di Valeria Alpi
«Ma io, donna con disabilità, da chi mi sento rappresentata?»: «È una domanda da un milione di dollari - scrive Valeria Alpi - che non è di facile risposta. Sicuramente, però, posso dire da chi non mi sento rappresentata. E poi mi chiedo anche: nei territori dove non ci sono donne con disabilità promotrici dei diritti, che intrecciano reti o cercano di intrecciarle con le risorse dei propri territori, che cosa succede?»

Disegno di donne con diverse disabilitàInformare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), di cui è responsabile Simona Lancioni, “firma” ben nota anche a Lettori e Lettrici di Superando, da molto tempo promuove tra l’altro la divulgazione dei diversi Manifesti sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità elaborati dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, anche chiedendo ad attiviste con disabilità di esprimere le loro riflessioni su tali documenti (se ne legga a questo link).
In questo caso lo ha chiesto a Valeria Alpi, giornalista, formatrice, viaggiatrice con disabilità, impegnata da oltre vent’anni presso il Centro Documentazione Handicap-Cooperativa Accaparlante di Bologna, dove, tra le altre cose, si è occupata in numerose occasioni di questioni di genere legate alla disabilità. «Alpi – spiega Lancioni – ha risposto col suo stile “fresco”, facendo un collage di alcuni brani tratti dalla sua ultima pubblicazione, La voce a te dovuta. Donne con disabilità e violenza di genere, appena edita da la meridiana, dove tratta anche della rappresentanza delle donne con disabilità». Una pubblicazione, ricordiamo, che nei giorni scorsi abbiamo presentato anche sulle nostre pagine.
Ringraziamo dunque a nostra volta Simona Lancioni e ben volentieri riprendiamo quanto scritto da Valeria Alpi e pubblicato nel sito di Informare un’h, compresa la formattazione dei brani, i grassetti e i link di seguito riportati.

«Simona Lancioni sta anche cercando di convincermi a scrivere un articolo rispetto al Terzo Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea, pubblicato dal Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) il primo marzo 2024 [il testo, in lingua italiana, è disponibile a questo link, N.d.R.]. Esso è stato elaborato facendo riferimento ai dati raccolti con un sondaggio effettuato dallo stesso Forum, cui hanno partecipato quasi 500 donne residenti in 33 Paesi europei. Il 79% delle partecipanti erano donne con disabilità, il 26% madri di persone con disabilità.
Il Terzo Manifesto riguarda l’empowerment e la leadership. In particolare vi si legge che “l’empowerment e l’emancipazione delle donne e delle ragazze con disabilità, nonché lo sviluppo delle loro capacità di leadership e protagonismo sono fondamentali per proteggere i loro diritti umani”. Riguardo alla leadership è specificato che essa non consiste solo nell’assumere posizioni ufficiali di comando, ma anche nella possibilità di condurre la propria vita in modo libero e desiderato. Simona mi fa quindi la domanda da un milione di dollari: “Ma tu Valeria, in quanto donna con disabilità, da chi ti senti rappresentata?”. La domanda non è di facile risposta, ma sicuramente posso dire da chi non mi sento rappresentata: spesso i movimenti femministi sembrano “dimenticarsi” delle donne con disabilità.
Qualche anno fa si riunì a Bologna una delegazione di Non Una di Meno, il movimento femminista e transfemminista che si batte contro la violenza di genere, il patriarcato, il maschilismo, il machismo e il sessismo. L’idea era di riunirsi in vari gruppi di lavoro, per redigere un Manifesto che tenesse conto di tutte le donne, in vista dell’8 marzo. Le riunioni si sarebbero tenute in alcune aule universitarie che non conoscevo. Purtroppo l’Università di Bologna non è completamente accessibile, quindi ho cercato informazioni sull’accessibilità di quelle aule, ho cercato per giorni chiedendo anche a chi lavorava all’Università senza venirne a capo. Le riunioni, tra l’altro, si sarebbero svolte di sabato e domenica, con l’Università chiusa, per cui non solo non era chiaro se ci fosse un ascensore, ma se poi quell’ascensore sarebbe stato utilizzabile (serviva una chiave per farlo funzionare? Chi poteva avere la chiave senza il personale addetto?). Dato che vivo nella provincia di Bologna e non a Bologna città, date le difficoltà di spostamento e di parcheggio, eccetera, ovviamente ho rinunciato a partecipare senza avere la piena certezza di poterlo fare» (Valeria Alpi, La voce a te dovuta. Donne con disabilità e violenza di genere, edizioni la meridiana, 2024, pagine 65-66).

«Nel luglio 2024 ho partecipato al Bologna Pride, la manifestazione per i diritti LGBTQ+ [Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, N.d.R.]. Le informazioni per partecipare alla parata, anche con una disabilità, erano molto chiare: “Lungo il percorso è prevista un’area di decompressione e scarico sensoriale presso la sede della Mala Educacion, in via Ranzani 14; per chiunque non si trovasse completamente a suo agio immerso nella musica è previsto uno spezzone a bassa intensità di stimoli sonori nella terza e quarta posizione nel corteo. Il percorso è interamente accessibile alle persone con disabilità motorie, inoltre, da ogni carro, verranno forniti tappi per le orecchie e bottiglie d’acqua. Lungo il tragitto saranno presenti diversi operatori, riconoscibili da una fascia viola, per gestire situazioni di difficoltà, e degli operatori, riconoscibili da una fascia rossa, cui rivolgersi in caso di malessere. Infine, sarà presente un’interprete LIS [lingua dei segni italiana, N.d.R.] sul palco degli interventi finali”.
Qual è la differenza tra il Bologna Pride e Non Una di Meno? Proprio l’esserci, l’avere considerato che hanno diritto di esserci anche altri corpi, che possono avere disabilità motorie, sensoriali o neurodivergenti.

In occasione dell’8 marzo del 2022 mi ritrovai a scrivere un articolo per promuovere una nuova campagna di sensibilizzazione intitolata Fuori Binario e lanciata da ARCI Emilia Romagna per la parità di genere e il contrasto alle discriminazioni in tutti i circoli ARCI. La campagna era realizzata dall’Agenzia Comunicattive di Bologna, grazie al sostegno della Regione Emilia-Romagna. L’obiettivo era porre l’attenzione sul sessismo e sulle discriminazioni veicolate da battute, conversazioni quotidiane e stereotipi, e al contempo supportare un linguaggio più inclusivo.
Uno dei poster della campagna riportava la scritta: “Quando ti sposi? Quando fai figli?”, per indicare le pressioni sociali che tutte le donne subiscono sul tema della maternità, come se non essere madri significasse anche non essere vere donne. E poi, accanto, il claim della campagna: “Cambiamo la mentalità, usciamo fuori dai binari!”. Contattai quindi le organizzatrici e feci semplicemente notare che quelle domande sul matrimonio e sui figli non se le sentono dire tutte le donne: alle donne con disabilità, infatti, capita esattamente l’opposto. Non ci sono pressioni sul matrimonio e sui figli perché si ritiene che una donna con disabilità sia esclusa da queste tematiche. Furono subito organizzate, allora, delle riunioni di brainstorming con me, e altre donne con disabilità diverse, per cercare di costruire poster che prevedessero anche battute e stereotipi su donne con disabilità (non smetterò mai di ringraziare per questo). Con un lavoro di rete, Fuori Binario si trasformò anche in una campagna di sensibilizzazione contro l’abilismo, con poster con frasi come “Che bravo che le fa compagnia” o “La pillola non le serve”. Non fu solo un lavoro di rete, ma un confronto tra pari, tra donne con caratteristiche diverse ma tutte donne» (ibidem, pagine 67-68).

«[…] ma nei territori dove non ci sono donne con disabilità promotrici dei diritti, che intrecciano reti o cercano di intrecciarle con le risorse dei propri territori, che cosa succede?» (ibidem, pagina 69).

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