La maschera è inflessibile. «No, guardi, i posti per le persone alte più di un metro e ottanta sono esauriti, deve scegliere un altro film». La coda all’ingresso del multisala si allunga, e comincia a serpeggiare il nervosismo. Un’altra maschera, con fare gentile: «No, signora, mi spiace molto, ma i posti per le donne sovrappeso sono solo due, doveva prenotare prima». Il marito si inalbera, prende sottobraccio la moglie un po’ in carne e si allontana brontolando: «Una cosa inaudita! Questa è una discriminazione!». Un terzo, con il biglietto in mano e il sacchetto di popcorn, comincia a sudare freddo: «Scusi, ma c’è ancora posto per gli spettatori calvi?». «No, signore, per disposizioni interne, non possiamo far entrare spettatori privi di capelli. Potrebbero turbare i più piccoli»…
No, tranquilli, non sono impazzito. Questa scena è di pura fantasia, almeno spero. Era solo un modo per rendere tutti partecipi di come si possa tranquillamente discriminare l’accesso del pubblico in una sala di spettacolo, se si applicano regole restrittive, magari senza alcuna ragionevolezza.
Certo, è subito evidente a tutti quanto assurdo sarebbe lasciar fuori dal cinema le persone troppo alte, o grasse, o calve. Ma se la questione riguarda le persone disabili? Come mai non scatta la medesima sorpresa? Come mai si ritiene del tutto normale adottare un criterio selettivo, fortemente discriminatorio, nei confronti di spettatori che hanno il solo torto di essere in sedia a rotelle?
Quando ero ragazzo, tanti anni fa, andavo al cinema quando mi pareva e dove mi pareva. Certo, sceglievo di stare lungo i corridoi laterali, e mi riempivo di fumo (come tutti, del resto). A volte dovevo perfino superare dei gradini per accedere alla sala, ma trovavo sempre un aiuto. Un amico, mio fratello, i compagni di scuola. Insomma, non ho mai avuto problemi, quando le leggi “a mia tutela” non esistevano.
Poi è successo il peggio. Nuove e precise norme sull’accessibilità dei luoghi pubblici hanno regolamentato il numero dei posti, le caratteristiche, la collocazione, la distanza dalle uscite di sicurezza, la presenza di servizi igienici idonei, il superamento di barriere e di scale. Che meraviglia, direte voi. In teoria sì, in pratica la situazione è andata precipitando, da quando, nel 2001, le norme sull’accessibilità si sono sommate a quelle sulla sicurezza, scritte pensando al terribile incendio avvenuto al Cinema Statuto di Torino, nei primi anni Ottanta.
Il “combinato disposto” delle due normative ha partorito “il mostro”, e adesso siamo qui a raccontare una nuova storia di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità.
Sì, perché proprio in questi giorni, nei quali molte persone con disabilità sono attirate dal passaparola che invita a non perdersi il film Quasi amici [se ne legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], si verificano proprio le situazioni assurde che descrivevo all’inizio: i posti per le sedie a rotelle al massimo sono due, o quattro. Anche in sale da 400 o 600 posti. Se nello stesso orario si presentano, per ipotesi, dieci spettatori in carrozzina, non possono accedere alla proiezione.
Il bello è che le persone disabili non possono neppure prenotare on line i posti riservati, nella stragrande maggioranza dei casi, e nessuna informazione chiara su questo punto viene fornita da chi programma le proiezioni.
La ragionevolezza, ovvero la possibilità di trovare un accomodamento in sala, non è prevista, per paura dei controlli dei Vigili del Fuoco. Tutti si prendono cura della nostra sopravvivenza, quasi nessuno della nostra possibilità di vivere normalmente. Una discriminazione, inutile dirlo, davvero “Invisibile”. Parliamone, magari qualcosa cambierà.
*Direttore responsabile di Superando.it. Il presente articolo è apparso (con il titolo Entro anch’io? No, tu no) anche in InVisibili, blog del «Corriere della Sera» (di quest’ultimo si legga anche nel nostro sito cliccando qui). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione di tale testata.
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