Glicogenosi: un handicap invisibile

a cura dell'AIG - Associazione Italiana Glicogenosi
Quando nel fegato manca o non funziona uno degli enzimi che liberano il glucosio, veicolandolo nel sangue, si è in presenza di una forma di glicogenosi, una rara malattia genetica

Quando mangiamo, gli zuccheri (o carboidrati, come il fruttosio, il saccarosio, gli amidi ecc.) vengono trasformati in glucosio il quale raggiunge i vari organi attraverso il sangue e viene da essi impiegato per fornire l’energia indispensabile a cervello, muscoli e cuore.
Il glucosio non utilizzato viene immagazzinato nel fegato e in minima parte nel muscolo, sotto forma di uno zucchero complesso chiamato glicogeno, costituito da particelle di glucosio unite tra di loro. Si tratta dello “zucchero di riserva” cui attinge l’organismo in caso di bisogno e durante gli intervalli tra i vari pasti.
Tale “rifornimento” avviene tramite alcune sostanze (enzimi) che liberano il glucosio, veicolandolo nel sangue. In tal modo la glicemia (valore del glucosio nel sangue) rimane perfetta e gli organi possono ricevere il giusto apporto di energia. Se però nel fegato manca o non funziona uno di questi enzimi, il glicogeno si accumula sempre più, fino a determinare vere e proprie lesioni a carico del fegato e di altri organi, facendo ammalare l’organismo.

Intervento su un pazienteQueste malattie genetiche rare vengono denominate glicogenosi e la loro forma specifica è determinata dal tipo di enzima mancante. Si parla così di glicogenosi epatiche, caratterizzate da un accumulo prevalentemente nel fegato e muscolari, in cui l’accumulo è soprattutto muscolare.
Ad oggi ne sono state scoperte otto forme, tra le quali quella di tipo I (malattia di von Gierke, con difetto dell’enzima glucosio 6-fosfatasi). Nel gruppo epatico, vi sono poi la tipo III (difetto amilo-1,6 glucosidasi, enzima deramificante), IV (difetto 1,4-1,6 transglucosidasi, enzima ramificante), VI (difetto fosforilasi) e IX (difetto fosforilasi chinasi). Alle forme muscolari appartengono invece il tipo II (malattia di Pompe, con difetto di alfa-glucosidasi, maltasi acida), V (malattia di McArdle, con difetto di miofosforilasi) e VII (malattia di Tarui, con difetto di fosfofruttochinasi).
Tutte le glicogenosi vengono trasmesse con modalità autosomica recessiva, con entrambi i genitori portatori sani del gene difettoso che codifica l’enzima mancante. Fa eccezione il tipo IX, che si trasmette con modalità legata alla X.

La glicogenosi di tipo I, ovvero la più diffusa e studiata, può causare ingrossamento e malfunzionamento del fegato, ipoglicemia a distanza dei pasti (con sudorazione, debolezza muscolare, tremori e convulsioni, fino alla perdita di conoscenza e al coma), valori glicemici costantemente inferiori a quelli normali, alterazione di alcuni esami di laboratorio (con acetone nelle urine, aumento di acido urico, crescita di grassi e di acidità nel sangue), adenomi epatici, osteoporosi, bassa statura, deficit immunitario (sono frequenti le infezioni a carico dei vari apparati), insufficienza renale e calcolosi renale.
La diagnosi viene effettuata mediante diversi esami, con prelievi del sangue, dosaggio dell’enzima e, talora, biopsia epatica.
Per quanto riguarda poi l’approccio terapeutico, ad oggi, nonostante i vari studi di terapia genica, non è ancora possibile somministrare l’enzima mancante. L’unico modo perciò per evitare le conseguenze del difetto enzimatico è di tipo dietologico, sia rispetto al frazionamento che alla qualità del cibo ingerito. E tuttavia, nelle glicogenosi di tipo I e III, le misure dietetiche non bastano a mantenere un livello normale costante di glicemia. In questi casi, quindi, è necessario assumere amido di mais crudo (con una valida e recente alternativa, data dalla nutrizione notturna tramite sondino naso-gastrico).

In conclusione si può dire che i pazienti – e in particolare quelli affetti da glicogenosi di tipo I – siano affetti da una sorta di “handicap invisibile”, in quanto sono condannati a mangiare continuamente (sia di giorno, che di notte, con la febbre, il vomito ecc…). Ciò li rende estremamente fragili e vulnerabili e richiede una continua e attenta sorveglianza.

Che cosa fa l’AIG
L’AIG (Associazione Italiana Glicogenosi) è nata nel 1996 per volontà di alcuni genitori con figli affetti da queste malattie. Tra le attività dell’associazione, da segnalare soprattutto l’aiuto pratico, legale e psicologico che viene dato ai pazienti e alle famiglie, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni, oltre alla promozione e al sostegno della ricerca, nell’ambito della quale va segnalato un importante progetto avanzato, avviato dall’Ospedale Gaslini di Genova.

AIG (Associazione Italiana Glicogenosi), Via Matteotti, 14/e – 20090 Assago (Milano), tel. 02 45703334, fax 02 700405465 (E-mail: aig.assitagli@iol.it).

Testo tratto da DM 151 (marzo 2004), periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).

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