Il neuroblastoma è una forma tumorale che colpisce le cellule nervose dei gangli simpatici. Nell’età pediatrica esso costituisce la terza neoplasia per frequenza dopo le leucemie e i tumori cerebrali.
Tale malattia può colpire soprattutto la ghiandola surrenale, presentandosi come una tumefazione addominale e i gangli simpatici paraspinali, potendo comparire in qualsiasi tratto della colonna vertebrale: addominale e toracica.
Sintomi e diagnosi
I sintomi più diffusi sono: febbri, anemia, inappetenza, ecchimosi intorno alle orbite. Le metastasi, frequenti e precoci, colpiscono le ossa, i linfonodi, il fegato e il midollo osseo.
La diagnosi di neuroblastoma va eseguita e confermata in un centro di ricerca specializzato, effettuando analisi mirate; questa è una fase importante per stabilire il grado di estensione della malattia (stadio) e decidere la cura appropriata.
Le indagini comprendono:
– la scintigrafia scheletrica, eseguita iniettando nel sangue un isotopo radioattivo che va a fissarsi nelle ossa ovunque esista una lesione;
– la scintigrafia con MIBG, eseguita iniettando una sostanza, la guanidina, legata a iodio radioattivo, che viene catturata solo dalle cellule di neuroblastoma, mettendo inequivocabilmente in evidenza il tumore e le sue metastasi.
Si tratta di un esame non dannoso, né doloroso, che richiede una preparazione specifica, cioè l’assunzione orale di iodio (in forma di gocce di Lugol), per evitare che lo iodio radioattivo contenuto nella MIBG vada a fissarsi sulla tiroide, recandovi danni anche irreparabili;
– la biopsia, ovvero il prelievo di alcuni frammenti di neoplasia dai quali acquisire informazioni importantissime sulle caratteristiche istologiche e biologiche delle cellule di neuroblastoma.
Trattamenti
Nella maggior parte dei casi la malattia richiede un trattamento con farmaci antitumorali. A tale scopo, per far sì che i piccoli pazienti non soffrano e soprattutto non si spaventino, ogniqualvolta sia necessario sottoporli ad un ciclo di cure o a un prelievo di sangue, si applica alla diagnosi un catetere venoso centrale, il Broviac, ossia un sottile e morbido tubicino di gomma che viene posizionato in un grosso vaso sanguigno sottocutaneo.
Con un’adeguata “manutenzione” a cura dei genitori, il Broviac può rimanere posizionato per lunghi periodi.
Stadi della malattia
Solo dopo aver effettuato tutte le analisi citate e dopo l’intervento chirurgico (sia esso di rimozione della massa tumorale che di prelievo di cellule per l’esame istologico) è possibile avere un quadro completo e impostare il trattamento più adeguato.
Il tipo di terapia va deciso sulla base di due fattori: l’età del bambino (i bambini di età inferiore ad un anno di vita hanno in genere un prognosi più favorevole) e l’estensione della malattia, ossia lo stadio del tumore.
Gli stadi sono quattro:
– Stadio 1: il tumore è per lo più piccolo e confinato ad un’unica sede: il chirurgo riesce a rimuoverlo facilmente e non vi sono metastasi in altri organi né tracce di cellule maligne. A questo stadio la malattia non richiede una terapia postoperatoria.
– Stadio 2: il tumore è più esteso rispetto alla situazione precedente, ma ancora circoscritto; l’asportazione chirurgica lascia residui minimi che a volte riescono a raggiungere la colonna vertebrale. Alcune cellule tumorali possono penetrare nei linfonodi: in tal caso è necessario un breve periodo di chemioterapia per ridurre il rischio di proliferazione di cellule tumorali.
– Stadio 3: il tumore è confinato nell’area di origine e non ci sono metastasi a distanza, ma è troppo grosso per essere asportato dal chirurgo e in modo completo al primo intervento, per cui è indispensabile ricorrere alla chemioterapia per ridurre la massa tumorale e per poterla asportare chirurgicamente in un secondo momento.
– Stadio 4: il tumore, indipendentemente dalla forma e dalle dimensioni, ha disseminato cellule malate in altri organi, come il midollo osseo, lo scheletro, il fegato, i linfonodi.
In questo caso la malattia ha una notevole aggressività biologica e sarà necessario un intenso trattamento chemioterapico.
Esiste poi anche lo stadio 4 S, forma speciale di neuroblastoma che insorge nei primi mesi di vita, con una particolare disseminazione che coinvolge soprattutto cute e fegato e non lo scheletro.
A questo stadio la malattia può regredire completamente in modo spontaneo e solo in alcuni casi può essere necessario un breve ciclo di chemioterapia.
Il tumore primitivo, spesso piccolo, può essere asportato subito oppure dopo che le lesioni metastatiche siano almeno parzialmente regredite.
Altri elementi importanti ai fini diagnostici – oltre all’età, allo stadio e alle caratteristiche genetiche (oncogene MYCN modificato o meno) – sono l’istologia e la risposta alla terapia.
Le cure
Al momento attuale sono tre i trattamenti consolidati e ben sperimentati che vengono utilizzati per curare il neuroblastoma; si tratta della chirurgia, della radioterapia e della chemioterapia.
Per quanto riguarda la chirurgia, stiamo parlando dell’intervento di asportazione totale o parziale del tumore. Quando quest’ultimo viene asportato completamente si parla di un intervento radicale, che diventa terapia unica e sufficiente nei casi in cui non siano presenti lesioni metastatiche (vedi la parte precedente dedicata alla stadiazione). Quando invece l’intervento si limita all’asportazione di parte della neoplasia o solo di un suo piccolo frammento si parla di biopsia.
A volte un intervento di biopsia viene deciso per motivi diagnostici o per valutazione pre o intraoperatoria dell’impossibilità di asportare la massa per intero. Altre volte ancora l’intervento chirurgico viene programmato in un momento successivo alla diagnosi e ad alcuni cicli di chemioterapia condotti allo scopo di ridurre la massa tumorale, quando questa non può essere asportata perché in rapporto troppo stretto con organi vitali (chirurgia differita).
La chirurgia tende a risparmiare menomazioni e pur tuttavia a volte si preferisce ad esempio sacrificare un rene per rendere l’intervento radicale poiché il vantaggio a livello prognostico e terapeutico supera lo svantaggio della menomazione stessa.
Vi è poi la radioterapia, metodica attraverso la quale si uccidono le cellule tumorali con radiazioni.
Nel neuroblastoma la radioterapia si può condurre con modalità diverse: dall’interno viene eseguita attraverso la somministrazione endovenosa di un isotopo radioattivo (I133) coniugato ad un veicolo “selettivo” (guanidina – MIBG). Si usa tale metodica perché il farmaco è in grado di catturare solo le cellule tumorali e quindi di ucciderle; la MIBG terapeutica richiede una particolare attenzione: viene infatti eseguita in speciali stanze del reparto di medicina nucleare perché per alcuni giorni dopo la somministrazione il paziente emette una quantità di radiazioni; inoltre occorre assumere per bocca lo iodio per proteggere la tiroide.
Ed infine la chemioterapia, basata sulla somministrazione, quasi sempre per via venosa, di farmaci cosiddetti antiblastici che con meccanismi diversi uccidono quei tipi di cellule che si moltiplicano rapidamente. Tra queste, oltre alle cellule tumorali, vengono colpite anche le cellule sane, come quelle del sangue e della mucosa gastrointestinale.
I farmaci antiblastici vengono somministrati per un breve periodo e in dosi non elevate quando si tratta di distruggere un piccolo residuo tumorale dopo che l’intervento è stato quasi completamente radicale. Quando ciò non è possibile, perché la neoplasia è troppo sviluppata o vi sono metastasi, l’atteggiamento terapeutico, utilizzato pressoché da tutti, è quello di somministrare farmaci antiblastici in dosi importanti per un breve periodo, allo scopo di distruggere il maggior numero possibile di cellule tumorali.
In molti casi si rende necessario un trapianto di midollo osseo autologo attraverso la reinfusione di cellule staminali emopoietiche periferiche. Ciò significa che, prima di esporre il bambino alla megaterapia, bisogna prelevare dal piccolo una quota di cellule staminali emopoietiche (quelle in grado di rigenerare le cellule del sangue). Questo può avvenire attraverso un abbondante prelievo di midollo osseo o dalle creste iliache, in anestesia generale, oppure attraverso ripetute raccolte di cellule dal sangue periferico (aferesi di cellule staminali periferiche).
presso Istituto Gaslini, Largo Gaslini, 5, 16148 Genova
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