Il recente decreto Storace [20 maggio 2005, N.d.R.] aveva invitato le farmacie a ridurre del 20% i prezzi dei farmaci senza obbligo di prescrizione e pagati dal cittadino, con risultati finora modesti.
Coop, la più grande organizzazione dei consumatori, ha promosso una raccolta di firme in tutta Italia per una legge d’iniziativa popolare che consenta di vendere questi farmaci anche al supermercato.
Motivi dichiarati: ridurre i prezzi del 25-50%, aumentare l’accessibilità, passando dalle attuali 16.500 farmacie (1 ogni 3.500 abitanti) a più di 50.000 punti vendita, rompere il monopolio delle farmacie, il tutto con garanzie per il consumatore come la presenza di un farmacista (dando lavoro a tanti di loro disoccupati), il divieto di promozioni e vendite sottocosto, l’impegno a informare ed educare ad un consumo consapevole (?). E poi (come ha ammesso anche Silvio Garattini) molte farmacie non somigliano già oggi a supermercati? Non ci sarebbero quindi rischi di abuso superiori a quelli già in atto…
Tra i farmaci interessati, Coop (dicembre 2005) esemplifica: aspirina in 7 versioni! (ma la cardioaspirina da 100 mg, alle dosi necessarie e sufficienti alla prevenzione cardiovascolare, è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale), Tachipirina o Efferalgan (l’antifebbre paracetamolo), Cebion (vitamina C), Fluibron o Mucosolvan (fluidificanti del muco, utili come l’acqua da bere o per umidificare gli ambienti) e via allettando…
Tutto bene, dunque? Niente affatto. Perché la domanda principale non è: «Come avere (più) farmaci di automedicazione a minor prezzo?», ma: «Servono tutti i farmaci di automedicazione che consumiamo oggi?».
La risposta è in gran parte negativa: già oggi, infatti, se ne fa un consumo eccessivo, con rischi per la salute che potrebbero complessivamente superare i modesti benefìci.
Cerchiamo di guardare da vicino come si compone questo mercato a volume.
Tosse e raffreddore
Circa un terzo sono farmaci per la tosse e il raffreddore. In una revisione Cochrane i due antitosse più utilizzati (destrometorfano e difenidramina) hanno un’efficacia che non si distingue dal placebo.
Tra i farmaci contro il raffreddore, gli antinfiammatori possono dare un certo sollievo sintomatico (permettendo di stare tra gli altri con più possibilità di contagiarli…), ma aumentano e prolungano la diffusione dei virus e, probabilmente, la malattia. Inoltre, comportano qualche rischio per fegato e rene, oltre che rischi gastrici e cardiovascolari (FANS) o polmonari (paracetamolo) che ne dovrebbero sconsigliare un uso abituale e “disinvolto”.
Per quanto poi riguarda gli antistaminici associati a decongestionanti, essi sono inefficaci nei bambini piccoli; nei più grandi e negli adulti mostrano sui sintomi nasali qualche beneficio, d’importanza clinica dubbia. Gli antistaminici più vecchi danno maggior sedazione, ma anche quelli di nuova generazione sono stati associati a casi di convulsioni. Una revisione sistematica degli studi disponibili ha dimostrato che da soli non alleviano scolo, congestione nasale o starnuti, né danno miglioramenti soggettivi del raffreddore.
Bisogna poi parlare dei decongestionanti nasali, che riducono appunto la congestione locale e aumentano il passaggio di aria nel naso, con un sollievo transitorio che però contrasta con lo scopo per cui le difese dell’organismo “chiudono il naso”, che è quello di aumentare la temperatura locale e far affluire in maggior quantità le difese del sangue, favorendo così l’uccisione dei virus.
Gli effetti collaterali dei decongestionanti non sono per altro trascurabili e il bilancio tra benefìci e rischi sembra sfavorevole.
E la vitamina C? Alte dosi a scopo preventivo (quando ci sono i sintomi è troppo tardi) riducono dell’8% (!) la durata del raffreddore negli adulti, ma le grandi dosi in compresse possono dare diarrea e calcoli renali.
Prodotti per lo stomaco e lassativi
Sempre guardando al gruppo complessivo di farmaci di cui si è detto inizialmente, quasi il 20% sono prodotti per lo stomaco, utili occasionalmente e lassativi, spesso inutili se si adottano alimentazione e stile di vita appropriati.
Analgesici-antifebbre
Questi ammontano esattamente al 16% dei farmaci presi in considerazione. Che a volte servano è indiscutibile, che se ne abusi seriamente anche (una parte rilevante delle insufficienze renali è imputabile ad abuso di analgesici).
A proposito di febbre, va ricordato che essa non è una malattia, ma uno dei più efficaci meccanismi di difesa dell’organismo contro le infezioni, una reazione comune a tutti gli uomini e agli animali, che la selezione naturale ha mantenuto nel corso di milioni di anni di evoluzione proprio per il suo valore! Infatti, un aumento di temperatura da 37° a 38°C può provocare una diminuzione della moltiplicazione dei virus di oltre il 90% e per la maggior parte di loro un ulteriore aumento arresta del tutto la moltiplicazione.
Anche i virus più virulenti sono bloccati da temperature di oltre 39°C che durino abbastanza a lungo. Nell’unico studio disponibile sull’influenza, sopprimere la febbre ne ha allungato di tre giorni il decorso rispetto al placebo.
Si può dire poi che la febbre faciliti la guarigione anche nella maggior parte delle infezioni da batteri. Il paziente informato, quindi, che riesce a sopportarla senza troppi problemi dovrebbe valorizzare il suo ruolo difensivo naturale.
Un altro generale meccanismo di difesa dalle infezioni è l’infiammazione, che provoca a livello locale condizioni fisiche (aumento di temperatura!), chimiche e biologiche (ad esempio grande afflusso di globuli bianchi, le “milizie” del sangue) che si potenziano a vicenda nel combattere un’infezione in atto.
Vitamine e minerali
Costituiscono l’8% del gruppo. Ci sono per altro forti prove che dosi farmacologiche di varie vitamine, non raggiungibili con una sana alimentazione, non proteggono e possono aumentare la mortalità. Ad esempio, l’abuso di vitamina E (≥400 UI/al dì) aumenta la mortalità totale ed è un problema non trascurabile di sanità pubblica.
Anche cocktail antiossidanti (vitamina E + C + beta-carotene) hanno dato più mortalità totale (vascolare o di cancro) e ricoveri per bronchite cronica o asma.
Una metanalisi sul beta-carotene nella protezione cardiovascolare ha mostrato un lieve ma significativo aumento di mortalità. Un’analisi combinata di quattordici studi clinici con queste vitamine unite alla A per la prevenzione di tumori gastrointestinali non ha mostrato poi alcuna protezione, anzi una mortalità maggiore del 6% nei sette studi di migliore qualità. L’uso frequente di vitamina A, infine, si associa anche a un maggior rischio di fratture d’anca.
Si può tranquillamente dire quindi che le quantità salutari di antiossidanti sono quelle ottenibili con una dieta ricca di frutta fresca e secca oleosa, verdura, cereali integrali e che si dovrebbe usare (e prescrivere!) quest’ultima anziché supplementi farmacologici.
E in ogni caso, al di fuori di carenze documentate, non ci sono validi motivi perché ampie fasce di popolazione assumano preparati vitaminici, con poche eccezioni tra cui l’acido folico per le donne che intendano avere una gravidanza, la vitamina B12 per gli anziani con gastrite atrofica e la vitamina D in certi gruppi. Ma neppure per queste un sovradosaggio è senza rischi.
E che dire poi dei minerali? Anziché mangiare verdura (e riusarne l’acqua di cottura) e bere l’acqua del rubinetto (relativamente ricca di sali minerali) o acque minerali povere di sodio ma ricche di calcio, la spinta commerciale induce senza fondamento a bere acque oligominerali sempre più leggere (cioè povere), salvo poi far assumere sali con gli integratori!
Conclusioni
In conclusione, che cosa è lecito aspettarsi dalle vendite nei supermercati? Una sicura riduzione di prezzi per confezione e un altrettanto certo aumento di spesa complessiva e di consumi. Ma di prodotti comunque in prevalenza non necessari, il cui abuso porta già a rischi concreti e aumenterebbe in futuro.
Certo, nemmeno l’attuale situazione soddisfa, soprattutto perché i farmacisti non hanno incentivi per la salute, ma solo a vendere più pezzi e i prodotti più costosi (con un guadagno fisso del 27% sui prodotti da automedicazione e del 22,6% su quelli con prescrizione), con convenienze molto divaricate da quelle del Servizio Sanitario Nazionale.
Un provvedimento di minima sarebbe quello di prevedere un compenso fisso (e non a percentuale) per ogni confezione standard venduta. Un’alleanza vera con il Servizio Sanitario Nazionale e la salute della comunità dei cittadini presupporrebbe però un vero e proprio salto di paradigma.
Ad esempio, un principio più innovativo su cui occorrerebbe lavorare potrebbe essere il seguente: per la popolazione di bacino di chi “sceglie” la propria farmacia di fiducia (come si fa con i medici di famiglia), la farmacia stessa è remunerata con quote capitarie pesate progressivamente per età (che darebbero un incentivo virtuoso a far invecchiare “tanto e bene” la propria coorte di assistiti), superando il pagamento a tariffa. Quest’ultimo, invece, rimarrebbe per le compensazioni ai margini, per chi cioè decidesse liberamente di servirsi da una farmacia diversa da quella di fiducia, ricevendo gratuitamente il prodotto – se a carico del Servizio Sanitario Nazionale – con rivalsa della tariffa da parte della farmacia che lo dispensa sul budget di quella presso cui il cittadino risulta iscritto (chiaramente una descrizione più articolata di tale proposta, anche con alcune ipotesi di semplificazione delle transazioni amministrative e finanziarie, richiederebbe uno spazio diverso da quello di queste brevi note).
In ogni caso, una volta che chi governa comprendesse la strategia migliore per servire salute ed equilibrio economico del sistema, quest’ultima sarebbe più facilmente applicabile alle farmacie, soggette ad un Accordo Collettivo Nazionale, che non a “farmacie + altre potenti forze di mercato” messe in moto e abituate al pagamento a tariffa.
*Responsabile Dipartimento Servizi Sanitari di Base ASL Città di Milano.
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