Il dolore cronico neuropatico colpisce circa 12 milioni di italiani che in molti casi, per curarsi adeguatamente, spendono fino a 75 euro al mese, dal momento che i farmaci essenziali per il controllo di questa condizione non sono sempre rimborsabili. E questo in particolare da quando, nel gennaio di quest’anno, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha rivisto la quarta delle proprie Note*, «sulla base di linee guida mirate a favorirne un impiego coerente con i principi di appropriatezza».
Di fatto, dunque, se ne autorizza l’impiego solo in condizioni in cui il dolore cronico risulti legato a specifiche condizioni (neuropatia diabetica, lesioni midollari, neoplasie o forme erpetiche), «tutelando così i pazienti dal rischio di un impiego improprio e allargato in condizioni prive di diagnosi certa».
Tale impostazione non è però condivisa dalla LICD (Lega Italiana Contro il Dolore), che nel corso di una manifestazione a Roma, ha lanciato nei giorni scorsi una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni, la classe medica e gli stessi pazienti.
Il senso del messaggio promosso dalla LICD è che i pazienti devono rivolgersi sempre più tempestivamente ai loro medici e che questi ultimi devono essere più pronti a una corretta diagnosi e a un appropriato percorso terapeutico. Dal canto loro, le istituzioni sanitarie devono garantire un trattamento uguale a tutti i malati di dolore cronico.
«Questo perché la Nota 4 dell’AIFA – ha dichiarato il presidente della LICD, Diego Beltrutti – di fatto oggi rimborsa i farmaci solo per un ristretto numero di manifestazioni dolorose, creando una discriminazione tra pazienti che soffrono dello stesso male».
«Il passo fondamentale – ha aggiunto Giustino Varrassi, presidente dell’AISD (Associazione Italiana per lo Studio sul Dolore) – è riuscire a comprendere che, in certe condizioni, il dolore non rappresenta più un sintomo, ma è a sua volta una malattia e come tale va diagnosticato e curato, indipendentemente dalla patologia che lo ha generato. Per questo riteniamo fondamentale l’inserimento del trattamento del dolore nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e la realizzazione di strutture dedicate alla medicina del dolore».
Oggi in Italia i centri specializzati di questo tipo sono solamente nove e il primo, aperto circa vent’anni fa all’Ospedale San Raffaele di Milano, è stato addirittura chiuso.
Secondo i dati di una ricerca condotta da Eurisko per conto dell’AISD, gli italiani con più di 18 anni che hanno sofferto di dolore cronico negli ultimi sei mesi sono quasi 10 milioni, mentre il numero sale a 16 milioni se si considera l’ultimo anno. Il 44% ha avvertito malessere di forte intensità e il 21% molto forte; il 56% per tutta la giornata e il 28% per qualche ora ogni giorno.
Le parti del corpo più colpite sono rachide (42%), braccio-mano-spalla (39%), piede-gamba-anca-ginocchio (33%). Ma in media sono 2,4 le diverse manifestazioni contemporanee.
I pazienti che fanno attualmente uso di farmaci per trattare il dolore sono il 63%, il 41% dei quali con ricetta del medico.
Da segnalare che la LICD è anche tra i firmatari del Manifesto di Venezia per i Diritti del Paziente con Dolore Cronico, un appello sottoscritto nel maggio del 2006 dai maggiori rappresentanti del mondo medico-scientifico in materia, con quattro richieste precise alle istituzioni:
– riconoscere il dolore cronico come malattia sociale;
– rendere disponibili e rimborsabili tutte le categorie di farmaci per il trattamento del dolore;
– destinare fondi per la ricerca nel settore;
– promuovere appropriati programmi di formazione.
In questo senso la richiesta, rivolta ai Ministeri dell’Università e della Salute, è quella di creare scuole di specializzazione in medicina del dolore, una misura che potrebbe aumentare il numero di specialisti in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni di questi pazienti.
(S.B.)
*Le note dell’AIFA sono delle limitazioni poste alla prescrizione di alcuni farmaci a carico del Sistema Sanitario Nazionale.
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