La malattia di Dent di tipo 1 è una rara patologia renale (un individuo colpito ogni 50-100.000) dovuta alla mutazione del gene ClCN5, posizionato sul cromosoma X. Dal punto di vista clinico, essa è indistinguibile dalla malattia di tipo 2, dovuta però alla mutazione di un altro gene (OCRL-1).
La manifestazione può avvenire sia in età adulta che durante l’infanzia ed è sempre caratterizzata da perdita di proteine a basso peso molecolare nelle urine, spesso associata anche a perdita di aminoacidi, bicarbonato di calcio, fosforo e glucosio.
Circa il 75% dei pazienti sviluppa calcoli renali, mentre il 20% presenta alcune manifestazioni di rachitismo. Verso i 30-50 anni di età, il 30-80% dei pazienti va incontro a insufficienza renale.
Per quanto riguarda la trasmissione, essa avviene tramite il cromosoma X, per cui le donne sono in genere portatrici sane (o con segni molto lievi), mentre ad essere affetti sono soprattutto i maschi.
Il sospetto di malattia si basa innanzitutto sul riscontro nelle urine di proteine a basso peso molecolare (come la beta2-microglobulina) e si rafforza in caso di presenza eccessiva di calcio nelle urine, calcoli renali, rachitismo, insufficienza renale o presenza di altri casi di malattia di Dent in famiglia. Spesso la patologia è sottodiagnosticata.
Per quanto concerne infine eventuali cure disponibili, non esiste attualmente un trattamento univoco e specifico. Sono però possibili misure di supporto che comprendono diuretici tiazidici o citrato di potassio (quest’ultimo in via sperimentale) per ridurre l’eccesso di calcio nelle urine. ACE-inibitori o sartanici possono poi essere utilizzati come terapia per la protezione dei reni, mentre in pazienti con rachitismo sono stati impiegati con successo vitamina D o derivati.
*Il presente materiale è il frutto di un’intervista ad Antonella De Matteis, ricercatrice Telethon, con il contributo di Francesco Emma, primario della Divisione di Nefrologia dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma.
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