Eluana, nonostante la sua scomparsa, è ancora presente tra noi e prima che la canzone di Povia al prossimo Festival di Sanremo riaccenda le discussioni [il cantante Povia presenterà infatti al prossimo Festival di Sanremo una canzone dedicata alla vicenda di Eluana Englaro, N.d.R.], ci si ritrova a riflettere sul Registro delle Dichiarazioni Anticipate da istituire presso il Comune di Bologna e sulla proposta di un Registro sugli Stati Vegetativi.
Durante la mia audizione nel mese di novembre scorso – davanti alla Commissione Comunale preposta – nel ribadire come sia legittimo istituire un Registro sul Testamento Biologico (per chi ne ha piena facoltà), ho lanciato anche la proposta di una maggiore attenzione alle persone in stato vegetativo che quando ritornano al domicilio o in strutture di lungodegenza, necessitano di assistenza, condivisione di bisogni, titolarità di un ruolo che compete loro in una società civile.
Istituire anche un Registro per gli Stati Vegetativi e di Minima Coscienza potrebbe voler dire non solo avere dati epidemiologici precisi – cosa che non c’è nemmeno a livello nazionale – ma anche capire l’entità di un problema intanto a Bologna (e, perché no, successivamente in Provincia e nella Regione Emilia Romagna).
Era più o meno quanto avevo detto alla Commissione Affari Generali della Camera, il 9 ottobre, dopo la Giornata Nazionale dei Risvegli per la Ricerca sul Coma-Vale la pena del 7 ottobre precedente, durante l’audizione relativa alla legge sulle DAT (Dichiarazione Anticipata di Trattamento). In quella sede – come rappresentante dell’associazione bolognese Gli Amici di Luca e nel corso di un lungo intervento assieme alle altre organizzazioni che come noi aderiscono ai coordinamenti nazionali, occupandosi di gravi cerebrolesioni, esiti di coma e stati vegetativi – esprimevamo i bisogni delle famiglie e la necessità di un’alleanza terapeutica tra operatori sanitari e non, associazionismo e volontariato.
Il Registro sul Testamento Biologico e quello sugli Stati Vegetativi non sono in contrapposizione. Possiamo però dire che siano complementari.
Ci si può impegnare a salvaguardare i diritti per una dignità di fine vita, ma senza che questa diventi una “scorciatoia per non pensare”, per non sapere, per non riaffermare che il diritto alla cura, alla condivisione tocca anche persone che non possono esprimersi, ma che non per questo sono invisibili.
Sono importanti i centri di eccellenza (penso alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris, struttura pubblica dell’Azienda USL di Bologna che si occupa della fase postacuta e nella quale operiamo), ma al momento degli esiti, al rientro a domicilio, si combatte la sfida più difficile, per l’assistenza e contro la solitudine, per cercare di riannodare quel filo spezzato con la vita.
Per questo sapere quante sono le persone che vivono una condizione di stato vegetativo e di minima coscienza e quale sia la ricaduta sulle loro famiglie, può essere importante per migliorare i servizi e il sistema della cura. Ma chi se ne deve occupare? Viviamo in una città virtuosa, in una Regione, l’Emilia Romagna, impegnata sui problemi della disabilità. Ci sono stati e ci sono sinergie e collaborazioni con il Governo centrale, nelle rispettive autonomie.
Oggi non possiamo dire di essere in una “terra di nessuno”, né tanto meno di non avere competenze nel settore. Abbiamo un patrimonio di manager, funzionari, professionalità sanitarie e non, di operatori nel mondo dell’associazionismo e del volontariato che non sono stati e non sono estranei a questi problemi. Si tratta soltanto di ottimizzare le risorse, creare un tavolo di lavoro che si confronti e poi operi. Che la politica faccia il suo compito e che si renda interprete delle istanze del territorio in cui opera. Bisogna certo lavorarci. E forse è più semplice non fare che fare. Molto facciamo. Ma dobbiamo fare, anche, qualcosa di più!
*Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma – Gli Amici di Luca, Bologna, fulvio.denigris@amicidiluca.it.
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