Le critiche della FISH a quel Piano sulla Riabilitazione

Alle parole del presidente della SIMFER (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione), che aveva risposto alle critiche espresse dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) al Piano di Indirizzo per la Riabilitazione, recentemente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, risponde con una lettera aperta il presidente della Federazione stessa, Pietro Barbieri, sottolineando da una parte lo scarso coinvolgimento delle associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari all'elaborazione di quel documento, dall'altra l'assenza pressoché generalizzata, nel nostro Paese, di reali politiche socio-assistenziali e socio-sanitarie, ciò che il Piano si limita a "fotografare", rendendo sostanzialmente «intoccabili certe rendite di posizione»

Ombra sfuocata di persona in carrozzinaCi eravamo recentemente soffermati – dopo l’approvazione, il 9 febbraio scorso, del Piano di Indirizzo per la Riabilitazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, documento che dovrà sostituire le precedenti Linee Guida del 1998 – sulle varie critiche provenienti dapprima dalla FAIP (Federazione Associazioni Italiane Para-Tetraplegici) e successivamente dall’AIFI (Associazione Italiana Fisioterapisti), dalla FLI (Federazione Logopedisti Italiani), da Cittadinanzattiva e dalle numerose Associazioni di persone con disabilità rappresentate dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) (se ne legga nel nostro sito cliccando qui).
Di fronte a tali prese di posizione, Davide Fletzer, presidente della
SIMFER (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione), ha voluto sottolineare invece che il risultato ottenuto con il nuovo Piano va ritenuto come «soddisfacente» e dichiarare che in fase di definizione del documento, si è cercato di avere la «condivisione massima possibile», coinvolgendo «tutte le associazioni rappresentanti delle Persone con disabilità». Rivolgendosi poi a Cittadinanzattiva e alla FISH, il presidente della SIMFER ha affermato che vuole essere «una tutela dell’utente non avere uno “spezzatino di riabilitazione” e definire l’esperienza del medico che lo prenderà in carico (definizione di medico specialista in riabilitazione)», oltre al fatto che «un Piano Ministeriale, dopo la riforma del titolo V [il riferimento è alla Legge 3/01 di modifiche al Titolo V della Costituzione, N.d.R.], non poteva che essere di indirizzo perché è a livello regionale che si deve scendere sui particolari. Però nell’indirizzo pur generale sono comparsi concetti importanti che adesso le Regioni concordemente potranno mettere in pratica».
«Capisco – ha concluso Fletzer – che l’obiettivo per alcuni era ed è di avere un singolo operatore della riabilitazione anche a livello dirigenziale e avere semmai, come riferimento medico, 13 specialisti che non si interessano a tempo pieno della riabilitazione», ma «la norma mondiale ad oggi, non è così e noi continuiamo a credere in un lavoro di team, come 12 anni fa (Linee Guida del 1998), e non pensiamo che la riabilitazione della Persona si avvantaggerebbe dall’operatore unico. Consapevoli di questo, dobbiamo essere convinti anche che l’Italia ha tantissimi Fisioterapisti e Logopedisti che, oltre ad essere validi professionalmente, pensano che si può lavorare meglio solo se collaboriamo tutti insieme e che il Medico che si interessa a tempo pieno della riabilitazione, ovvero il Fisiatra o chi ha fatto nella sua vita tale scelta chiara, può capire meglio di altri le difficoltà dell’operatore sanitario che si interessa di questo settore».
La lettera aperta con cui risponde il presidente della FISH Pietro Barbieri – testo che qui di seguito riprendiamo – consente anche di approfondire ulteriormente la posizione della Federazione sul documento approvato.

La protesta pubblica della FISH giunge dopo numerosi tentativi di dialogo, effettuati nonostante l’esclusione della rappresentanza associativa dal Gruppo di lavoro e quindi con senso di responsabilità. A tal proposito, prima di passare al merito, sono necessarie alcune precisazioni:
1. Il coinvolgimento
delle associazioni delle persone con disabilità e dei lori familiari è stato piuttosto debole: nessun rappresentante ufficiale è stato chiamato a far parte del Gruppo di Lavoro. Lo stesso Mario Melazzini è stato inserito come “esperto” e non come rappresentante dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) o tanto meno della FISH.
In fase di costruzione del Gruppo, poi, si era adombrata la possibilità che tale iniziativa fosse ascritta al Tavolo Salute e Disabilità, nelle cui finalità istitutive vi è anche il tema della riabilitazione. Del Tavolo, presieduto anch’esso dall’onorevole Martini [Francesca Martini, sottosegretario alla salute, N.d.R.], fanno parte ben quattro rappresentanti associativi, due di nomina FAND [la Federazione Nazionale tra le Associazioni delle Persone con Disabilità, N.d.R.] e due di nomina FISH, i quali quindi avrebbero dovuto partecipare al Gruppo. Così non è stato, ciò che è accaduto, tra l’altro, anche per la commissione che sta rivedendo le tabelle dell’invalidità civile.
2. Vi sono state due audizioni, una assai estesa e una a documento sostanzialmente chiuso. Nel primo caso l’operazione è stata di sicuro successo, ma non dal nostro punto di vista: gli interventi e i documenti depositati, infatti, erano così numerosi da essere tutti scartati per l’impossibilità di tenere conto di tale quantità. D’altro canto, questo tipo di forma consultiva è una nota “tattica insabbiatrice” del principio partecipativo della quale siamo vittime assai spesso. La sappiamo riconoscere, quindi. Nel secondo caso invece, l’audizione è stata concessa in virtù delle nostre vibrate proteste per i documenti in itinere che ricevevamo per vie traverse, a dimostrazione dell’assenza di ogni considerazione nei confronti della nostra capacità di rappresentare bisogni e diritti delle persone con disabilità. E poi l’incontro è terminato con un nulla di fatto: non una delle nostre considerazioni o richieste ha trovato collocazione nel Piano.
3. Vi sono stati anche contatti informali con membri del Gruppo, originati da un invito della FISH a chi presiedeva il Gruppo stesso e da esso accolto. Anche in questo caso abbiamo dovuto registrare un fallimento. Le nostre organizzazioni, infatti, hanno presentato istanze relative ad aree specifiche della disabilità che non hanno ricevuto alcuna risposta: basta vedere come trovano collocazione nel Piano l’età evolutiva, la disabilità intellettiva e relazionale, l’autismo, le disabilità sensoriali, la lesione midollare e la polio, in confronto a quanto chiesto.

Ma veniamo al merito. È pretestuoso e superficiale affermare che la FISH non capisca che lo “spezzatino della riabilitazione” è un danno per gli utenti. Ma, a nostro giudizio, il Piano risponde a questa esigenza in modo sbagliato, come vedremo successivamente.
Altrettanto pretestuoso e superficiale è sostenere poi che la FISH “si allei” con coloro che propugnano il professionista unico il quale, per fortuna, non esiste più da diversi anni. Tale considerazione, oltre a essere ingenerosa verso la battaglia della nostra Federazione per l’istituzione e la diffusione del terapista occupazionale, presupporrebbe per lo meno la richiesta di esclusione dall’elenco dei professionisti in riabilitazione di figure come il terapista occupazionale, appunto, e il laureato in scienze motorie. Ma anche del logopedista i cui rappresentanti invece condividono le valutazioni critiche complessive e di merito al Piano. E in ogni caso possiamo rassicurare tutti: la FISH pretende che vi siano tutti i necessari professionisti nell’équipe, ben oltre quelli citati nel Piano stesso. E non “si alleerebbe” con nessuno se non vi fossero i presupposti del dialogo sull’allargamento del team. Denunciamo da tempo le storture di un sistema il quale, per le più svariate ragioni, offre alle persone con disabilità insegnanti di sostegno al posto di insegnanti curricolari, educatori o assistenti alla persona, per fare un esempio estraneo alle attività di riabilitazione.
Così come derubricare il tema della dirigenza di un professionista in riabilitazione ad un’amenità è semplicemente anacronistico: una laurea non è un “diplometto regionale”, non lo è in Europa e non lo è nel mondo occidentale e liberaldemocratico. Prima o poi si dovrà fare i conti con questa realtà, o no?
Rimaniamo poi sempre stupiti a fronte dell’affermazione circa il “medico unico” della disabilità (qui sì che si può legittimamente utilizzare l’aggettivo unico, date le stesse argomentazioni usate dal Presidente della SIMFER), come qualche autorevole collega del dottor Fletzer si è affrettato a sostenere da diverso tempo. Potrei in tal senso richiamare la grandissima parte delle esperienze europee per confutare questa asserzione, ma voglio essere estremamente concreto: il fisiatra sarebbe il medico di una persona con sindrome di Down, con autismo, con sordità ecc. ecc. ecc.? Quando si parla di disabilità, specie in chiave di Convenzione ONU e di ICF [la Classificazione dell’OMS sul Funzionamento, la Disabilità e la Salute, N.d.R.], il campo è largo, troppo largo persino per il più “preparato e geniale fisiatra” sulla faccia della terra. “Marzullianamente”, prendo già per buona l’idea che l’affermazione del “medico unico” fosse riferita al mero campo della riabilitazione e non alla disabilità e quindi non posso che reiterare il nostro imbarazzo, in questo caso con una punta di fastidio: le attività di riabilitazione non dovrebbero quindi riguardare una persona con sindrome di down, con autismo, con sordità ecc. ecc. ecc.? Non è un diritto che riguarda anche queste persone?

Aggiungo un ulteriore elemento: anche in quelle aree della riabilitazione e/o della disabilità in cui il fisiatra potrebbe legittimamente esigere una prevalenza, l’idea in sé di circoscrivere il proprio “territorio” è l’antitesi dell’interdisciplinarietà. In altre parole ciò significherebbe che quando la persona con disabilità avesse necessità di fisioterapia, dovrebbe andare in un centro di riabilitazione, quando di una diagnosi e di una cura farmacologica da uno specialista, quando di una certificazione, dal medico di base e dalla medicina legale territoriale, quando di un intervento, in un ospedale e così via: eccolo il vero “spezzatino” dei servizi per le persone con disabilità! Quello “spezzatino” che il presidente della SIMFER identifica nel campo delle attività di riabilitazione è in realtà inappropriatezza, come lo stesso Piano afferma con estrema chiarezza nelle sue premesse. Un fenomeno che – stando ai grandi numeri – è causato dall’assenza pressoché generalizzata nel Paese di politiche socio-assistenziali e socio-sanitarie per le quali spendiamo meno della Polonia. E però, con altrettanta schiettezza, qualche impresa privata ne ha approfittato, estendendo sine die il numero dei posti letto in centri di riabilitazione i quali hanno tariffe ben diverse, ad esempio, di quelle delle RSA [le Residenze sanitarie Assistenziali, N.d.R.].
Insomma, l’offerta, molto più che la domanda, ha portato a concentrare tutto sul centro di riabilitazione: un po’ di territorio e un po’ di alte specialità sono state collocate dove non avrebbero dovuto. Ecco l’inappropriatezza. E cosa fa il Piano per migliorare questa situazione? Nulla, la fotografa, la staticizza e rende intoccabili certe rendite di posizione.
E così le persone con disabilità subiscono un’attività legislativa che non tiene conto della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, divenuta legge del Paese, né nei princìpi, né nel dettato normativo.

Pietro Barbieri – Presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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