Si lavora per tentare di riattivare il cervello nella sindrome di Rett

E una possibile arma per aprire in futuro a eventuali strategie terapeutiche è stata recentemente descritta da un gruppo di ricerca italiano, finanziato da Telethon, e coordinato da Maurizio Giustetto e Vania Broccoli. La sindrome di Rett è una rara e grave malattia neurologica di origine genetica ancora senza cura, che colpisce prevalentemente le femmine, per le quali rappresenta una delle più comuni cause di ritardo mentale grave. Essa è detta anche "malattia delle bimbe dagli occhi belli", prendendo spunto da un appellativo che lo scopritore di essa, Andreas Rett, ripeteva spesso

Bimba inglese affetta da sindrome di RettDalla ricerca finanziata da Telethon arriva una nuova possibile arma contro la sindrome di Rett, rara e grave malattia neurologica di origine genetica ancora senza cura, che colpisce prevalentemente le femmine, per le quali rappresenta una delle più comuni cause di ritardo mentale grave (è detta anche “malattia delle bimbe dagli occhi belli”, prendendo spunto da un appellativo che lo scopritore di essa, Andreas Rett, ripeteva spesso).
A descrivere la nuova scoperta sulle pagine della rivista «Human Molecular Genetics» è un gruppo multidisciplinare coordinato da Maurizio Giustetto dell’Università di Torino e dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze e Vania Broccoli dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano.

Rara e – come detto – diffusa prevalentemente fra le femmine, la sindrome di Rett è una malattia ancora piuttosto misteriosa per gli scienziati: pur sapendo, infatti, che nel 90% dei casi la causa risiede in un difetto nel gene MECP2, non è ancora chiaro come questa alterazione del DNA si traduca nei gravi sintomi tipici della patologia. Infatti, del tutto normali alla nascita, intorno a un anno di età le bimbe affette cominciano a perdere in modo irreversibile le capacità acquisite nel linguaggio, nel movimento e nella relazione con il mondo esterno.
«È come – spiega Giustetto – se il loro cervello rimanesse “congelato” in uno stadio immaturo e da un certo momento in poi non riuscisse più a rimanere al passo con lo sviluppo del resto dell’organismo. Non si tratta però di una malattia neurodegenerativa in cui le cellule nervose vengono progressivamente distrutte, come accade ad esempio nell’Alzheimer o nella corea di Huntington. Nella sindrome di Rett il problema sembra avere origine nell’incapacità delle sinapsi, i contatti fra un neurone e l’altro, di scambiarsi correttamente le informazioni nervose. Abbiamo quindi cercato di capire il perché di questo anomalo e, alla lunga, dannoso “dialogo” neuronale».

Grazie dunque a competenze multidisciplinari, i ricercatori Telethon hanno studiato una particolare via metabolica, già nota per essere coinvolta in altre forme di ritardo mentale: coordinato dalla proteina mTOR, questo gruppo di “attori molecolari” è essenziale per la sintesi delle proteine nelle cellule nervose e per la corretta formazione e funzionamento delle sinapsi.
Studiando il modello animale della sindrome di Rett, Giustetto e i suoi collaboratori hanno scoperto che il difetto nel gene MECP2 interferisce proprio con questa via metabolica, determinando in particolare l’alterazione di una proteina chiamata rpS6. «Chiarire i dettagli molecolari di una malattia genetica – sottolinea ancora Giustetto – non è un esercizio di stile, ma l’unica strada per scoprire possibili strategie terapeutiche. Sappiamo infatti che esistono dei farmaci, già utilizzati in trial clinici per altre malattie neurologiche, capaci di penetrare nel cervello e di modulare l’attività di alcune delle proteine della via metabolica da noi studiata, come ad esempio rpS6. Questo significa che in tempi ragionevoli potremmo pensare di testarli sulle nostre pazienti, nella speranza di controllare almeno in parte i sintomi».
Bisogna ricordare ancora, infatti, che al momento non esiste alcuna terapia per la sindrome di Rett. «Correggere il difetto genetico con la terapia genica – spiega Vania Broccoli -, come la ricerca Telethon ha già fatto o sta tentando di fare per altre malattie, è particolarmente difficile in questo caso». In tutte le persone di sesso femminile, infatti, che hanno due cromosomi sessuali di tipo X, ogni cellula ne “spegne” uno: le bambine con sindrome di Rett sono quindi un “mosaico”, perché presentano alcune cellule con il cromosoma contenente il difetto genetico “acceso”, in una percentuale variabile da caso a caso e proporzionale alla gravità dei sintomi.
«Se la terapia genica è un obiettivo più lontano – conclude Broccoli – nell’immediato futuro è invece possibile ipotizzare delle terapie farmacologiche, magari combinate, in grado di interferire con i meccanismi alterati messi in luce grazie alla ricerca di base e di scardinare così il circolo vizioso che si instaura nel cervello di queste bambine, convincendolo così riprendere contatto con il mondo circostante».

Allo studio, va segnalato in conclusione, hanno preso parte altri gruppi di ricerca italiani finanziati da Telethon, tra cui quello di Tommaso Pizzorusso dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e dell’Università di Firenze, Nicoletta Landsberger e Stefano Biffo dell’Istituto Scientifico Universitario del San Raffaele di Milano. (Ufficio Stampa Telethon)

Per ulteriori informazioni: tel. 06 44015402 (Anna Maria Zaccheddu), ufficiostampa@telethon.it.
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