Si chiamano “Malattie Rare” ma colpiscono almeno un milione di italiani. Dopo i tumori, le malattie cardiologiche e quelle respiratorie, sono le più diffuse. I pazienti colpiti da ognuna di queste patologie sono pochi, ma sono tante le malattie e sono molti i “Malati Rari”.
La ricerca scientifica istituzionale si limita però a studiarne gli aspetti medici, clinici e socio-assistenziali, senza considerare i costi economici. Che sono stati analizzati per la prima volta dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, insieme all’Istituto per gli Affari Sociali (IAS, ora ISFOL, Istituto per la Formazione dello Sviluppo dei Lavoratori, organismo tecnico del ministero del Welfare), UNIAMO-FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare), Orphanet (associazioni e reti delle Malattie Rare) e Farmindustria.
Lo studio è iniziato nel 2008, ma è stato presentato solo il 12 aprile scorso. Seicento pazienti, di cui duecentocinquanta ricoverati al Besta, hanno risposto a questionari sulla loro condizione clinica e sulle difficoltà economiche affrontate per le cure. «Uno studio autofinanziato», sottolinea Graziano Arbosti, responsabile del Centro Studi del Besta. «Per approfondire la questione, avremmo bisogno di un finanziamento pubblico per estendere la ricerca e coinvolgere almeno tremila famiglie. Così potremmo capire se il nostro sistema di welfare è davvero in grado di aiutare chi ha bisogno».
La situazione è drammatica: una famiglia su tre scende sotto la soglia di povertà, stimata in 15.000 euro l’anno, a causa delle spese mediche e di assistenza. E i pazienti sono soprattutto bambini: un terzo in tutta Italia, oltre la metà all’Istituto Besta. Il 40% dei genitori con figli malati peggiora la propria situazione lavorativa e molti smettono di lavorare: alcuni vengono licenziati (10%), altri preferiscono lasciare il lavoro per stare con i figli.
Ad assistere i bambini sono soprattutto le madri, ma in quasi la metà dei casi l’assenza dal lavoro non è retribuita. Il tempo minimo per arrivare a una diagnosi è di un anno, mentre la degenza media in ospedale va da uno a tre mesi.
Occorrono inoltre viaggi e trasferte costose: una famiglia su quattro spende più di 500 euro al mese per l’assistenza e cifre ancora più alte per gli spostamenti.
Come ricorda Sonia de Francesco dell’AIGR (Associazione Italiana Genitori di Bambini affetti da Retinoblastoma), «una famiglia con un bambino affetto da tumore alla retina può spendere fino a 5.000 euro per ogni ciclo di cura, a cadenze di 21 giorni». Più almeno due notti in albergo.
In Italia sono 106 le associazioni riunite in UNIAMO-FIMR e 11 di queste hanno preso parte allo studio del Besta sui costi sociali ed economici delle Malattie Rare.
Si tratta di patologie molto diverse tra loro, la cui origine è genetica nell’80% dei casi. «La partecipazione di Orphanet e Farmindustria – spiega Arbosti – è un buon segnale. Bisogna trovare nella ricerca farmaceutica un comune denominatore». Altrimenti i pochi farmaci per curare Malattie Rare continueranno a chiamarsi «Orfani», utili, ma senza un mercato che ripaghi le spese.
Non tutte le patologie, però, sono curabili con terapie farmacologiche. L’acondroplasia, per esempio, è una forma di nanismo di origine genetica, per la quale «le necessità sanitarie sono comuni», spiega Marco Sessa, presidente dell’AISAC (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia). E i costi sociali sono molto alti, come le barriere architettoniche: «Abbiamo difficoltà – sottolinea ancora Sessa – con tutto ciò che presenta ostacoli “in verticale”, autobus, ascensori. Poi ci sono problemi di inserimento, di relazioni e di cultura sociale».
In Italia si ricorre spesso a un intervento chirurgico per l’allungamento degli arti, che invece è raro in Francia o Stati Uniti. «Altrove la spesa è per l’adattamento delle strutture. Da noi invece si è attenti all’aspetto estetico, all’apparenza».
Le persone affette da acondroplasia sono circa seimila in Italia e l’intervento, che costerebbe circa 30.000 euro, è a carico totale del Servizio Sanitario Nazionale. «Il costo è psicologico, l’impatto della malattia non dipende da fattori esterni, ma dall’accettazione di se stessi», ammette Sessa.
Il ruolo delle associazioni è fondamentale. Nascono in un centro clinico di riferimento e fanno da mediatori tra i pazienti e le strutture mediche. A Siena, racconta Sonia de Francesco, un bambino albanese è stato operato e curato grazie a una raccolta fondi dell’AIGR. In Italia ha recuperato la vista, mentre in patria la famiglia avrebbe dovuto pagare per l’asportazione degli occhi.
«Le associazioni si sono professionalizzate, aggregate e fanno rete», dice Marco Rasconi, presidente della UILDM di Milano (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). «Noi ci occupiamo dell’oggi. Qui le persone trovano risposte sui problemi quotidiani. I costi sono alti per i trasporti e dipende da dove sei».
A Milano è garantito un servizio comunale per gli studenti delle scuole dell’obbligo. Ora anche per gli universitari della Bicocca. «Ma fino a poco tempo fa – sottolinea Rasconi – io pagavo 23 euro al giorno». Nei contributi comunali «non è contemplato il tempo libero».
I tagli nazionali e regionali al welfare non permettono di investire in progetti di Vita Indipendente, mentre Rasconi accusa: «Con tre mesi di stipendio di un parlamentare si pagherebbe un anno di vita a due persone con distrofia. Soltanto lo 0,5% del bilancio in Finanziaria è stato destinato alla disabilità». «Gli apparecchi tecnologici – spiega ancora – sono molto costosi: 15.000 euro per una carrozzina, 10.000 per un letto elettrico. E i genitori sono disposti a tutto pur di curare un figlio malato. Anche a indebitarsi».
*Testo già apparso in «MM – Master della Scuola di Giornalismo “Walter Tobagi”», quindicinale dell’Università degli Studi di Milano, n. 10, 25 maggio 2011 (titolo: Malattie rare, costi troppo alti per una famiglia su tre) e qui ripreso – con minimi riadattamenti – per gentile concessione.
Per l’Unione Europea, una malattia è rara quando il numero dei malati è inferiore a uno ogni duemila abitanti. In tutto il mondo si contano almeno seimila patologie. Oltre a quelle analizzate nello studio dell’Istituto Besta di Milano, alcune malattie sono più conosciute di altre, nonostante siano rare per numero di pazienti.
Sono rare, ad esempio, la talassemia, l’emofilia, il favismo, la fibrosi cistica, la corea di Huntington, alcune epilessie, l’albinismo, i diabeti neonatali e alcune malattie epatiche infantili. Esistono poi malattie che si sono verificate con casi sporadici in Italia, come la dengue e le encefalopatie spongiformi (la Creutzfeldt-Jakob, connessa al morbo della «mucca pazza»).
Le associazioni federate a UNIAMO-FIMR si finanziano con donazioni, raccolte fondi e soprattutto con il 5 per mille. Un caso anomalo è quello della SLA (sclerosi laterale amiotrofica) o morbo di Gehrig. Rara per numero di malati, ma ormai fuori dal gruppo delle Malattie Rare. La diffusione della SLA tra gli ex calciatori ha portato infatti attenzione mediatica e finanziamenti alla ricerca. (G.C.)
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