L’attuale «onda» studentesca e il Sessantotto

di Salvatore Nocera*
Sia per il quadro socioeconomico di contorno che per le stesse caratteristiche della protesta, sono assai poche le affinità tra il movimento studentesco del Sessantotto e quello di queste settimane. Secondo la presente opinione, infatti, se quarant'anni fa si lottava per la "scuola dell'inclusione", oggi l'obiettivo è "la scuola del merito", sia per il Governo che per gli studenti. La divergenza è però radicale sui mezzi necessari per arrivarci

Roma, 24 febbraio 1968: prime manifestazioni studentesche di fronte alla Facoltà di LettereÈ già ampio il dibattito sulla questione se i recenti moti studenteschi contro i tagli alla scuola pubblica e nelle università siano una “riedizione” dei moti del Sessantotto. In tal senso alcuni sostengono che “l’Onda” altro non sia che “l’onda lunga” del Sessantotto che riemerge, riprendendo i temi di allora dell’insoddisfazione per quella scuola e per quell’università e anzi temono che si possa sfociare, come allora, in una contestazione violenta al sistema capitalistico, di cui si comincerebbero a vedere le prime avvisaglie.
Personalmente condivido l’opinione di quanti ritengono invece trattarsi di un movimento assai diverso e diversamente motivato, anche per le differenti condizioni socioeconomiche nelle quali oggi ci troviamo, come possono testimoniare quanti – data l’età – hanno vissuto anche quell’esperienza.
Nel Sessantotto, infatti, avevo 31 anni, ero assistente volontario alla Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza di Roma e al mio primo anno di insegnamento di ruolo negli Istituti Tecnici Commerciali Statali. Ho anche accennato alla contestazione del Sessantotto nel mio libro Il diritto all’integrazione nella scuola dell’autonomia.

Il movimento studentesco italiano del Sessantotto era stato preceduto dalle contestazioni delle università americane e francesi; esso traeva quindi origine da un’ondata ideologica che veniva da lontano e che abbracciava l’intero mondo occidentale. L’attuale movimento studentesco italiano mi pare invece abbia una connotazione tutta nostrana.
Inoltre, le ideologie ispiratrici di allora si erano incarnate in Italia nella contestazione ad un sistema politico che a vent’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, non aveva ancora realizzato l’uguaglianza di fatto che l’articolo 3 (comma 2)della Costituzione stessa enunciava non solo come norma programmatica, ma come norma imperativa e vincolante da subito, come poi ebbe ad esprimersi la Corte Costituzionale.
Non a caso il manifesto del movimento studentesco di allora – Lettera ad una professoressa di don Milani – era una dura requisitoria contro la classe dirigente di tutti i partiti e sindacati, per la mancata attuazione del principio costituzionale di eguaglianza. Anche da queste critiche, per altro, nacque il movimento per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e contro tutte le forme di emarginazione e istituzionalizzazione ghettizzante.
Per quanto poi riguarda la situazione economica di allora, il panorama era florido e si voleva che al benessere partecipassero strati sociali sino ad allora tenuti al margine. Si vedeva quindi anche nell’accesso alla “scuola per tutti” il mezzo di emancipazione degli strati economicamente subalterni.
E tuttavia la scuola di allora era vista come troppo selettiva e “di classe”, cioè come un ambiente che non favoriva la mobilità sociale, a causa dei suoi criteri selettivi basati su logiche di una meritocrazia vecchia, che continuava a far progredire i “pierini” – figli di papà – espellendo i “gianni” – vale a dire il ceto medio – che non appartenevano allo strato sociale da cui provenivano i docenti, anch’essi figli di papà.
Allora si parlò, non andando troppo lontano dal vero, di una lotta per l’emancipazione delle “classi proletarie” delle campagne, delle borgate, degli immigrati dal Sud al Nord. L’ideologia di fondo era quindi quella che oggi chiameremmo “dell’inclusione” e di una scuola “inclusiva”, che contestava una scuola “meritocratica” basata su regole selettive tramandate da una società elitaria.

Una delle numerose manifestazioni studentesche di queste settimaneMi pare che oggi la situazione sia assai diversa. Innanzitutto – come già accennato – la situazione economica è assai precaria, anzi in fase di recessione. Inoltre, i vari strati del ceto medio sono entrati nella scuola e nell’università, ma il livello qualitativo di queste ultime si è di molto abbassato, rispetto ad altri sistemi di istruzione occidentali, almeno per quelle fasce immediatamente prossime al mondo del lavoro.
La rivendicazione prevalente di questi studenti non è l’uguaglianza, ma la qualità dell’istruzione. Si chiedono cioè risorse per l’istruzione, affinché chi ha capacità possa emergere. Si denunciano poi i tagli indiscriminati alla spesa per l’istruzione che non consentono la qualificazione dei figli del ceto medio i quali non vogliono giustamente tornare indietro rispetto alle conquiste egualitarie raggiunte.

Per questo, dunque, mentre nel Sessantotto i genitori e i docenti non furono fortemente solidali con gli studenti che contestavano, oggi lo sono massicciamente.
Oggi le istanze di fondo puntano a consentire effettivamente la meritocrazia e l’affermarsi delle condizioni strutturali e organizzative che la possono realizzare.
Oggi, nessuno – ad eccezione di alcune associazioni di persone con disabilità e loro familiari – ha parlato, come invece avvenne allora, di garantire l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, che è invece a rischio di involuzione. Si sono avute, è vero, dure proteste contro le proposte governative di “classi-ponte” per gli studenti stranieri, ma in tali provvedimenti si è condannata – giustamente – una deriva “razzista”, più che un attacco alla scuola di qualità che studenti, docenti e genitori desiderano.

Si può dire che stranamente studenti e Governo vogliano tutti una scuola meritocratica, ma che la divergenza radicale si apra sui mezzi per realizzarla: il Governo ritiene di dover ridurre la spesa pubblica, di abolire il valore legale dei titoli di studio e di lasciare al mercato di far emergere i migliori; gli studenti, al contrario, vogliono un maggior impegno finanziario nella scuola e nell’università pubblica, in modo tale che possano emergere i capaci e i meritevoli appartenenti a tutti i ceti sociali.
Se passerà definitivamente l’orientamento governativo, la scuola pubblica – come già avviene per quella americana – si squalificherà e chi se lo potrà permettere economicamente, frequenterà scuole e università private di eccellenza anche all’estero.
Dal canto loro, gli studenti di oggi – figli di quelli del Sessantotto – e i loro genitori, dopo aver raggiunto l’inclusione paritaria nell’istruzione, puntano adesso a pretendere condizioni di uguaglianza nel riconoscimento del merito, uguaglianza, però, che l’attuale orientamento governativo non consente.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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