Quel che serve per un’intelligenza artificiale accessibile, equa e inclusiva

di Anna Maria Gioria*
«Per progettare un’intelligenza artificiale accessibile, equa e inclusiva è necessario partire da tre pilastri: consapevolezza, responsabilità e buoni progetti»: a dirlo è Nicola Gencarelli, responsabile della ricerca tecnologica per la Fondazione ASPHI, nel quadro del dibattito sempre aperto su come l’intelligenza artificiale possa realmente aiutare a creare un mondo più inclusivo

Disegno dedicato all'intelligenza artificiale e disabilitàMa l’intelligenza artificiale (d’ora in poi semplicemente IA) può realmente aiutare a creare un mondo più inclusivo? La risposta è alquanto complessa.
Prima di tutto occorre fare un’importante premessa: gli habitat e gli spazi inclusivi, protagonisti della recente edizione di Handimatica, la mostra-convegno nazionale promossa a Bologna dalla Fondazione ASPHI e dedicata alle tecnologie digitali per una società inclusiva, non vengono mai costruiti dall’uomo in maniera neutrale poiché dietro la loro realizzazione ci sono sempre una decisione progettuale, una responsabilità e delle dinamiche di potere strutturali. Di conseguenza, l’IA, in modo autonomo, non può fare grandi cose; ogni singolo prodotto IA deve essere progettato e disegnato dall’uomo, in modo tale che sia egli stesso a decidere che possa essere utilizzabile da tutti e tutte.
D’altro canto, però, va ammesso che, in particolare, l’IA generativa ha aperto frontiere molto importanti, permettendo, infatti, di produrre descrizioni di immagini e oggetti più accurate per le persone cieche, trascrizioni più precise per quelle sorde e voci sintetiche maggiormente realistiche per chi ha delle disabilità comunicative. Inoltre, ha favorito l’interazione con il web e il digitale, sviluppando alcune interfacce che assistono, guidano e semplificano la ricerca delle informazioni per le persone anziane o con disabilità.

L’IA avrebbe la possibilità di rispondere ai bisogni di persone con particolari esigenze, ancora insoddisfatte, come il riconoscimento vocale per le persone con disartria [perdita della capacità di articolare le parole in maniera normale, N.d.R.] e parlato atipico, l’accessibilità a grafici, mappe e formule matematiche per i ciechi, assistenti virtuali per supportare l’autodeterminazione per chi ha una disabilità cognitiva. Stiamo parlando al condizionale perché, anche in questo caso, è fondamentale l’intervento dell’uomo.
In questo momento è facilmente constatabile che elementi come il riconoscimento vocale, invece di essere di aiuto, in molti casi possono generare ulteriori discriminazioni per differenze linguistiche, geografiche, economiche. Così come i dati che riguardano in modo specifico le persone con disabilità, in quanto non sono la realtà, ma un modo con cui noi la rappresentiamo, e conseguentemente la progettiamo, producendo, per lo più, ulteriori barriere, invece di abbatterle.

La citata Fondazione ASPHI, per favorire il più possibile l’intervento dell’uomo nell’utilizzo dell’IA, promuove progettualità concrete che si basano anche sull’esperienza personale di persone con disabilità. Il progetto CapisciAMe, ad esempio, condotto da Davide Mulfari, ingegnere con disabilità motoria e disatria, ha lo scopo appunto di sviluppare un sistema di riconoscimento vocale proprio per le persone con diverse forme di parlato atipico legate a condizioni di disabilità [se ne legga già anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
E ci sono altri esempi analoghi, la cui validità dipende dal fatto che l’ideatore, come è successo per Mulfari, non ha pensato solamente a chi ha quel determinato deficit, ma a soluzioni strutturate, che possano cioè rispondere alle esigenze di molti, grazie a soluzioni collettive, partecipate e documentate.
A monte di questo tipo di lavoro, occorre avere a disposizione dati aggregati, strutturati e significativi, rispetto ai bisogni, ai desideri e alle aspettative delle persone con disabilità.
«Per progettare un’intelligenza artificiale accessibile, equa e inclusiva è necessario partire da tre pilastri – dichiara Nicola Gencarelli, responsabile della ricerca tecnologica per la Fondazione ASPHI -: consapevolezza, responsabilità e buoni progetti. Dobbiamo riconoscere che ogni scelta progettuale ha conseguenze non neutre perché influenzata da dataset spesso sbilanciati verso standard dominanti di tipo linguistico, culturale, economico e di abilità. Essere responsabile significa comprendere che le nostre scelte incidono sul modo in cui le persone vivono e interagiscono con il mondo, e che siamo parte del futuro collettivo. Solo attraverso un design inclusivo e collaborativo, che valorizzi i bisogni è i desideri marginalizzati, possiamo costruire strumenti capaci di abbattere barriere e promuovere un reale equità. È da questo approccio artigianale che può nascere un’IA in grado di rispondere alle specificità locali e di connettere soluzioni globali con il sapere e le esigenze delle società civili. In questo contesto, ASPHI svolge un ruolo cruciale, favorendo il dialogo tra aziende, enti di ricerca, associazioni e società civile, per sviluppare tecnologie assistive che siano realmente utili e accessibili».

*Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “L’Intelligenza Artificiale e la disabilità: molti vantaggi ma il dibattito è aperto”, e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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