Noemi ha 14 anni, una patologia genetica neurologica progressiva come l’atassia di Friedreich e frequenta una scuola media romana, che per il prossimo mese di marzo ha organizzato una gita di quattro giorni a Berlino, al costo di 300 euro per studente. Ma alla famiglia di Noemi la scuola – a causa della «mancanza di fondi» – ha chiesto di provvedere con ulteriori 400 euro alle spese dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, figura di supporto prevista dall’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92 (se ne legga un testo in questo sito, che ne parla ampiamente, cliccando qui).
«La ragazza – ha commentato dalle pagine dell’Agenzia «Redattore Sociale» Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) – deve ovviamente pagare la sua quota, ma nulla può essere chiesto alla famiglia per la quota dell’assistente. In tal senso il riferimento normativo è la Legge 67/06 sulla non discriminazione delle persone con disabilità, che sancisce il principio di parità di trattamento e vieta le discriminazioni dirette (quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente “di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga”) e indirette (quando “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”)».
«Nei casi delle gite scolastiche – ha aggiunto Nocera – la regola è chiara: è la scuola a doversi far carico della quota e se, come sempre accade, la scuola non può per mancanza di fondi, si può ricorrere a donatori esterni o a uno sponsor, come una fondazione privata. Laddove questa strada non porti frutti, la soluzione è semplice: spalmare la quota dell’assistente di sostegno sulle quote di tutti gli alunni, compresa naturalmente quella dello studente con disabilità. Nel caso specifico, insomma, i 400 euro di viaggio dell’assistente andrebbero divisi per il numero dei partecipanti: se ad esempio fossero in venti, ognuno vedrebbe incrementare la sua quota di 20 euro e la quota singola di partecipazione al viaggio si attesterebbe per tutti a quota 320 euro. In ogni caso la scuola non può pretendere il pagamento dell’intera quota dalla famiglia dello studente con disabilità e se lo facesse commetterebbe abuso di potere e sarebbe comunque passibile secondo il dettato della Legge 67/06 di essere condannata dal giudice al risarcimento del danno, anche non patrimoniale». (S.B.)
Nel Paese del bel diritto, dunque, dopo oltre trent’anni di integrazione scolastica, si discute ancora dell’incredibile ovvero se a una studentessa con disabilità in gita scolastica debbano essere fatti pagare i costi extra che la sua disabilità comporta. Illuminante in tal senso è l’intervista al vicepresidente della FISH Salvatore Nocera, della quale qui sopra sono riportati i passaggi essenziali e ove vengono sviscerate le motivazioni giuridiche che rendono illecita una richiesta del genere.
Un caso relativamente simile anni fa in Liguria era stato risolto – dopo una lunga disputa tra genitori e scuola – con un accordo extragiudiziale ove la scuola riconosceva il buon diritto della studentessa con disabilità a partecipare alle gite scolastiche e a pagare come tutti gli altri, mentre la famiglia e l’Associazione che la supportava si sarebbero adoperate per aiutare la scuola stessa a reperire i fondi che eventualmente mancavano presso gli Enti competenti o presso sponsor privati. Una soluzione analoga ai suggerimenti proposti ora da Salvatore Nocera per questa nuova vicenda di Roma. (Giorgio Genta – ABC Liguria – Associazione Bambini Cerebrolesi)