«“Grazie” al Presidente degli Stati Uniti – scrive Stefania Delendati – e a chi, con il suo “silenzio-assenso”, ne ha suffragato le parole discriminatorie e offensive nei confronti delle persone con disabilità, abbiamo fatto molti passi indietro che minacciano le conquiste degli ultimi decenni e i programmi di pari opportunità. Obiettivi degli Stati devono essere il rispetto reciproco e la rimozione di ogni forma di discriminazione, perché l’unica cosa che può davvero migliorare il mondo è l’inclusione»
![Jovita Grigaliunaite, "Desperation - Experiments with Fovism" (particolare), 2014 (©fineartamerica)](https://superando.it/wp-content/uploads/2025/02/desperation-grigaliunaite-particolare-300x210.png)
Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute è il titolo di un monologo di Marco Paolini, poi diventato un libro, che racconta la storia dello sterminio di massa conosciuto come Aktion T4, la pianificazione a tavolino del regime nazista che portò alla morte circa 300.000 persone con disabilità fisiche e intellettive, un primo Olocausto sepolto per anni dalla Storia.
Ho rivisto quel monologo pochi giorni prima del 27 gennaio, Giorno della Memoria, lo rivedo ogni tanto, è straziante quanto utile ripercorrere quel passato neanche tanto lontano. Lo ribadiamo su queste pagine ogni volta che trattiamo l’argomento, ricordare è necessario perché quei fatti non si ripetano, ma in fondo in fondo il nostro cuore ci dice che tanto orrore non è possibile che torni, non è immaginabile che nel XXI secolo qualcuno, memore di ciò che è stato, possa di nuovo concepire su base ideologica l’annientamento programmato di migliaia di persone ritenute inutili, improduttive, una zavorra per la società.
“Vite indegne” è un ossimoro, due parole accostate che esprimono concetti opposti. La vita è degna, sempre, non esistono esistenze indegne, inadeguate. Sono sincera, pur sapendo che l’inclusione sociale delle diversità (e nel termine le includo tutte, non soltanto la disabilità) è una mèta ancora lontana e irta di ostacoli, non ritenevo possibile che oggi un capo di Stato democraticamente eletto riuscisse a pronunciare un discorso discriminatorio, offensivo e soprattutto molto pericoloso.
Lo ha fatto il neoeletto Presidente degli Stati Uniti all’indomani del disastro aereo di Washington del 30 gennaio. Senza uno straccio di prova, senza dati, quando le indagini erano a malapena iniziate, prima di ripescare dal fiume Potomac le scatole nere dei velivoli coinvolti, il comandante in capo della nazione più potente del mondo, quello che per la carica che ricopre è considerato l’uomo più potente del mondo, si è scagliato in maniera violenta e sconsiderata su quelli che lui ritiene senza dubbio i colpevoli della tragedia: le persone con disabilità assunte con le politiche sull’inclusione avviate dai suoi predecessori. Politiche che l’attuale Presidente non ha mai nascosto di considerare dannose e che sono state tra i primi bersagli colpiti e affondati nella raffica di provvedimenti firmati subito dopo l’insediamento alla Casa Bianca, allo scopo di cancellare quanto compiuto dalle precedenti Amministrazioni.
Non si è limitato a questo, sull’onda emotiva del disastro aereo ha affermato l’indicibile, puntando il dito sulla presunta incompetenza delle persone con disabilità incluse nel mondo lavorativo, in questo caso assunte come controllori di volo. In un momento di smarrimento e dolore per la morte di 67 persone, ha trovato un capro espiatorio sul quale dirottare la rabbia dei cittadini elettori, una categoria di “diversi” presumiamo invisa a una consistente parte di americani, quella parte che l’ha votato almeno.
È vero che sono implicati con responsabilità controllori di volo con disabilità? Non lo sappiamo, ma che importa, ciò che conta è insinuarlo in maniera strumentale e con una tale sicumera da far credere che sia altamente probabile, con l’unico scopo di legittimare l’annullamento delle politiche inclusive che sarebbero, secondo questa logica illogica, un pericolo per la sicurezza del Paese.
A questo punto mi sono tornati in mente Ausmerzen e Aktion T4. Anche allora iniziò tutto con la propaganda, le persone con disabilità vennero rappresentate come un peso per la collettività e private della loro dignità; perfino i compiti di matematica proposti agli alunni nelle scuole contemplavano il costo del mantenimento delle “vite indegne di essere vissute” in rapporto allo stipendio medio di un tedesco. L’opinione pubblica, non tutta ma quasi, reagì passivamente, girandosi dall’altra parte, influenzata dalla narrazione distorta del regime. Per questo le dichiarazioni dell’inquilino della Casa Bianca riaprono scenari inquietanti, rafforzano il pregiudizio ancora diffuso secondo cui le persone con disabilità sono prive di capacità, ancora giudicate per i loro “limiti” e non come cittadini e cittadine.
Uno stigma di questo tipo uscito dalla bocca del Presidente degli Stati Uniti d’America è una bomba, mi aspettavo che deflagrasse sui mass-media con un rumore fragoroso. Invece no, “silenzio assordante”, o quasi, il secondo ossimoro che fa paura.
Nei giorni successivi all’incidente aereo, infatti, ho seguito con attenzione i telegiornali e i programmi di informazione. Non tutti, è impossibile, ma nessuno tra quelli che ho guardato ha segnalato anche con un breve commento quanto affermato sulla “disabilità colpevole del disastro”. Insomma, se avessi voluto sapere qualcosa delle ultime prodezze dei Ferragnez ogni due per tre avrei trovato un giornalista, magari con i suoi ospiti in studio, a interrogarsi sulle vicende della ex coppia vip, ma sulle frasi contro le persone con disabilità nulla. Nessuno ha speso due parole per stigmatizzare queste dichiarazioni, silenzio assordante anche dalla politica italiana, niente neppure dai Dicasteri che di disabilità si occupano in via prioritaria.
Ripeto, non ho potuto guardare tutto su tutte le reti, può essermi sfuggita la tanto agognata presa di distanza e di posizione, me lo auguro, pertanto se qualcuno ha sentito ciò che mi aspettavo ce lo segnali, saremo ben contenti di darne notizia.
Un po’ diversa la situazione online dove le edizioni dei maggiori organi di stampa hanno dato risalto al discorso del neoeletto Presidente, sottolineando in diversi casi la gravità delle sue esternazioni, e hanno continuato a farlo anche nei giorni successivi. Da rilevare, però, che ancora dopo quattro giorni dal disastro una testata è uscita con il titolo Washington. Solo una persona a vigilare a causa dei tagli e del gender, rincarando la dose poche righe più sotto dove si legge: «Dai dialoghi prima dell’incidente emergono tragiche carenze nello staff. Aggravate dalle scelte di Biden e dal programma di diversità».
C’è chi per avere un’idea di un fatto si ferma alla lettura del titolo e delle prime righe del pezzo, chi ha letto questo titolo e questa sintesi è portato a credere che i programmi a favore dell’inclusione delle diversità siano un errore.
Non è finita, purtroppo. Trascorrono ancora alcuni giorni e arriva un’altra notizia: tutti gli articoli scientifici in corso di pubblicazione da parte dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention), importanti organismi di controllo della sanità pubblica negli Stati Uniti, devono passare al vaglio di un commissario politico prima di essere autorizzati, perché non devono contenere termini sgraditi al governo statunitense.
La scienza e la medicina non sono apolitiche come si potrebbe pensare, come dovrebbero essere, tornano anche in questo caso Ausmerzen e Aktion T4. Lo sterminio delle persone con disabilità e dei “diversi” in generale si basava infatti su pseudo teorie scientifiche che sostenevano la necessità di migliorare la qualità genetica della razza umana. Soltanto i più “adatti” potevano sopravvivere, gli altri andavano eliminati. La scienza non era più uno strumento per il bene dell’umanità, ma un mezzo per raggiungere uno scopo politico, la potremmo chiamare “biopolitica”, che pian piano si insinuò nella società, alimentando i pregiudizi culturali e dando origine alla convinzione che soltanto un corpo e una mente “abili” avessero diritto di esistere in quanto “superiori”.
Il cammino per l’uguaglianza e la promozione dei diritti delle persone con disabilità è lungo e ancora in divenire, ma non mancano tappe che hanno segnato dei punti fermi. Penso alla Convenzione ONU del 2006 che promuove, protegge e garantisce il pieno godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, per arrivare alla Carta di Solfagnano, sottoscritta il 16 ottobre dello scorso anno in occasione del primo G7 al mondo su Disabilità e Inclusione.
La strada tracciata è chiara, dunque, e deve essere accompagnata da un profondo ripensamento culturale che deve passare anche dalla politica e dal modo in cui chi esercita il potere tratta e parla di disabilità.
“Grazie” al Presidente degli Stati Uniti e a coloro che con il loro “silenzio-assenso” hanno suffragato le sue parole, abbiamo fatto molti passi indietro che minacciano le conquiste degli ultimi decenni e i programmi di pari opportunità. Obiettivi degli Stati devono essere il rispetto reciproco e la rimozione di ogni forma di discriminazione, qui invece assistiamo ad un declino che porta inesorabilmente alla marginalizzazione.
L’inclusione è l’unica cosa che può davvero migliorare il mondo, l’inclusione è un diritto e non un favore, il problema sono coloro che negano questa verità, pericolosi quanto quelli che restano in silenzio. Silenzio assordante di fronte a chi continua a ritenere gli uomini e le donne con disabilità “vite indegne di essere vissute”.
*Direttrice responsabile di Superando.
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