Una visione burocratica della cultura dell’inclusione

È arrivata direttamente dal Ministero dell'Istruzione - su sollecitazione di alcuni parlamentari - la decisione di ripristinare tutte le ore di sostegno a una studentessa con disabilità. Ma c'è chi pensa che questa «non sia una vittoria della cultura dell'inclusione, bensì della visione burocratica e non flessibile di quella stessa cultura». A dichiararlo è Salvatore Nocera, vicepresidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap), che qui ne spiega le ragioni

Alunni di scuola intorno a un tavolo, insime a un'insegnanteÈ stata la stessa Isabel Gentile, giovane studentessa campana con disabilità, a comunicare con un sms al quotidiano «La Città» di Salerno, che la questione delle sue ore di sostegno era stata risolta (se ne legga in un articolo del 23 dicembre scorso, pubblicato da quella stessa testata, cliccando qui).
Non vedente, Isabel – iscritta al quinto anno dell’Istituto Tecnico per il Turismo di Montesano sulla Marcellana (Salerno) – si era vista in ottobre dimezzare le ore settimanali di sostegno da 18 a 9, ciò che aveva denunciato con una lettera alla «Città» e ad altri quotidiani. La vicenda era stata poi notata dal senatore Franco Cardiello (Pdl) e da altri colleghi parlamentari del Pd, che avevano presentato due interrogazioni a risposta scritta al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.
Ora dunque, dal Ministero, è arrivata la comunicazione ufficiale che dal 10 gennaio le ore di sostegno torneranno ad essere 18.
Una vittoria della cultura dell’inclusione? Non è così, secondo Salvatore Nocera, il vicepresidente della
FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), cui cediamo la parola qui di seguito. Per quest’ultimo, infatti, si tratta piuttosto di «una visione burocratica e non flessibile di tale cultura».

Quella che emerge da questa vicenda è a mio avviso una visione un po’ “talebana” del sostegno, favorita da una lettura fondamentalista della Sentenza  80/10 della Corte Costituzionale, secondo la quale agli alunni certificati con gravità dev’essere garantito il massimo delle ore di sostegno. E tuttavia quella Sentenza precisa anche che si deve tenere conto della «specificità  della minorazione», aspetto ulteriormente evidenziato dalla Sentenza 2231/10 del Consiglio di Stato.
Credo dunque che se l’alunna – come sembra – è molto autonoma e brava (nell’articolo della «Città» di Salerno se ne parla come «di una delle alunne migliori della scuola») e sa utilizzare il computer, non dovrebbe più aver bisogno del sostegno e, forse, neppure di ore di assistenza per l’autonomia.
Però, siccome esiste la Sentenza della Corte Costituzionale, si pretende che essa venga applicata ovunque e comunque e siccome i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) non scendono in dettagli didattici e applicano alla lettera quella stessa Sentenza, in questo caso il Ministero deve avere chiaramente capito che, in caso di ricorso al TAR, sarebbe stato destinato a perdere. Ha preferito quindi evitare la spesa della soccombenza e ha aumentato le ore di sostegno.
Ma, a mio parere – sempre, ripeto, se l’alunna è autonoma – questa non è una vittoria della cultura dell’inclusione, ma della visione burocratica e non flessibile di tale cultura.

Salvatore Nocera
Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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