L’autismo è una patologia così complessa che quando la si vive sulla propria pelle ci sono solo due opzioni: o si “molla tutto” oppure ci si rimbocca le maniche e si vede cosa effettivamente c’e da fare.
Il problema sussiste per questa seconda categoria di genitori, quelli cioè che non vogliono arrendersi alla patologia dei propri figli e cercano in tutti i modi di creare – esternamente e internamente – un ambiente al quale il bambino possa accedere in tranquillità e imparare il più possibile.
Molte – forse troppe volte – quei bimbi si ritrovano invece ad affrontare una realtà che ha dell’incredibile, con scuole non altamente preparate, insegnanti poco formati e un ambiente scolastico non sempre loro favorevole.
Certo, ci sono anche scuole che funzionano, ma a fare una stima, si tratta delle classiche “mosche bianche” che si trovano con colpi di fortuna e che possono contare su del personale che ha veramente voglia di lavorare.
Quanto ancora dovremo aspettare per avere un personale qualificato e far sì che i nostri figli possano ottenere il meglio?
Lungi dal voler avviare una polemica, questea riflessione non fa altro che riprendere la realtà dei fatti e cioè che ancora troppo poche sono le persone altamente preparate ad affrontare questi problemi.
Ci si chiede quindi perché, invece di operare tagli sulla scuola, non si fa una “cernita” delle persone che lavorano male, dando spazio a quelle che effettivamente hanno voglia di lavorare. Perché ogni tanto privatamente c’e un genitore che ci scrive affranto, raccontando che suo figlio per cinque ore rimane fuori dall’aula a passeggiare con un insegnante di sostegno per i corridoi della scuola? Perché lo Stato non ci tutela in questo? Siamo forse “figli di un dio minore” e quindi facilmente messi da parte? Fin quando un genitore dovrà subire tutto questo?
Non sappiamo rispondere, purtroppo, ma certo non possiamo subire sempre e passivamente in questo modo.
*Autismo Parliamone è un portale realizzato e gestito da genitori di bambini autistici, che non sono intenzionati ad arrendersi alla malattia dei loro figli.
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