A proposito di quel Decreto sulla continuità didattica

A proposito del Decreto n. 32, prodotto nei giorni scorsi dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, contenente “Misure finalizzate a garantire la continuità dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno per l’anno scolastico 2025/2026”, in attuazione dell’articolo 8 del Decreto Legge 71/24, diamo spazio a due diversi contributi di opinione, a firma il primo di Gianluca Rapisarda, dirigente scolastico con disabilità visiva, il secondo del Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati

Insegnante di sostegno e alunnaNei giorni scorsi è stato pubblicato il Decreto Ministeriale n. 32 contenente Misure finalizzate a garantire la continuità dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno per l’anno scolastico 2025/2026, attuativo dell’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2024, n. 106. Esso prevede, all’articolo 2, che «entro il 31 maggio 2025 il dirigente scolastico acquisisce l’eventuale richiesta di continuità del docente di sostegno da parte della famiglia; valuta la sussistenza delle condizioni per procedere alla conferma del docente nell’interesse del discente, anche sentendo il Gruppo di Lavoro Operativo con riferimento alla specifica situazione dell’alunno e della classe, e ne comunica l’esito all’Ufficio territorialmente competente, al docente interessato e alla famiglia entro il 15 giugno 2025».
Qualora ricorrano le summenzionate condizioni per la conferma, nell’àmbito della presentazione delle istanze finalizzate all’attribuzione degli incarichi a tempo determinato per l’anno scolastico 2025/2026, di cui all’articolo 4, commi 1 e 2, della Legge 124/99, il docente esprimerà la volontà di essere confermato e l’Ufficio Scolastico territorialmente competente provvederà alla conferma del docente stesso con precedenza assoluta. Le conferme sono disposte improrogabilmente entro il 31 agosto 2025.
Chi scrive ha sempre caldeggiato con forza e determinazione quanto recepito finalmente dal suddetto Decreto Ministeriale n. 32, ritenendo la continuità didattica una condizione necessaria e ineludibile per un’istruzione di qualità per tutti e per ogni studente, anche e soprattutto con disabilità. Al riguardo, pur nel rispetto dell’opinione di tutti, mi sento di dissentire con le organizzazioni sindacali secondo le quali, se le famiglie potessero, senza alcun criterio di trasparenza, scegliere o individuare gli insegnanti per i propri figli, sarebbe davvero preoccupante, perché questo meccanismo “clientelare” farebbe degenerare il nostro sistema scolastico verso una deriva inaccettabile di privatizzazione e precarizzazione. Lo scrivente, infatti, non condivide affatto tali prese di posizione, dal momento che quanto previsto e reiterato dal medesimo Decreto Ministeriale n. 32 non fa altro che ribadire la previsione normativa già sancita dalla Legge 107/15, cosiddetta “Legge sulla Buona Scuola”, e soprattutto dall’articolo 14 del Decreto Attuativo di essa n. 66/17, che così recita al comma 3: «Al fine di agevolare la continuità educativa e didattica di cui al comma 1 e valutati, da parte del dirigente scolastico, l’interesse della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente e l’eventuale richiesta della famiglia, per i posti di sostegno didattico possono essere proposti ai docenti con contratto a tempo determinato e con titolo di specializzazione per il sostegno didattico di cui all’articolo 12, ulteriori contratti a tempo determinato nell’anno scolastico successivo».
Vorrei dunque rassicurare le Organizzazioni Sindacali perché la conferma della supplenza del docente di sostegno non sarebbe assolutamente automatica, se richiesta dalla famiglia; infatti, come sancito dalla normativa vigente, da dirigente scolastico la subordinerei alla disponibilità del docente e, naturalmente, ad una mia attenta e ponderata valutazione di opportunità giuridica ed amministrativa.
Inoltre, fatto non meno rilevante, come giustamente e più volte scritto su queste stesse pagine da Salvatore Nocera, questo Decreto Ministeriale, come già previsto da ben due norme primarie, va una volta per tutte nella “sacrosanta” direzione di tenere conto della delicatezza della personalità degli alunni con disabilità, che molto a fatica entrano in sintonia con il docente di sostegno; figuriamoci se poi, come spesso desolatamente avviene, siano costretti a cambiarlo molto frequentemente di anno in anno.
Per tutte queste ragioni, dunque, ritengo certamente “strategico” il suddetto Decreto, anche alla luce dei numeri in nostro possesso davvero allarmanti, in base ai quali rileviamo come la quota di studenti con disabilità che cambiano ogni anno insegnante per il sostegno rispetto all’anno precedente è pari al 59,6%, salendo al 62,1% nelle scuole secondarie di primo grado e raggiungendo addirittura il 75% nelle scuole dell’infanzia. Questa grave situazione determina di fatto l’impossibilità di assicurare agli allievi con disabilità quella continuità didattica che risulta essere un fattore determinante per favorirne il successo formativo.
E tuttavia, sono altrettanto convinto che il Decreto Ministeriale n. 32, pur rappresentando una svolta decisiva per un più proficuo ed efficace processo d’inclusione degli alunni/studenti con disabilità, sia semplicemente un “trampolino” per la conquista storica dell’obbligo di permanenza dell’insegnante specializzato di ruolo e a tempo indeterminato per l’intero ciclo d’istruzione seguito dal suo alunno con disabilità (infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado), da sempre rivendicata senza se e senza ma dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), tramite le riflessioni del presidente di essa Vincenzo Falabella. Questa sì che sarebbe veramente e finalmente la “madre” di tutte le riforme del sostegno del nostro Paese!
Trovo inoltre ormai improrogabile e urgente anche la modifica dei criteri di costituzione degli organici dei docenti specializzati a livello nazionale. Al proposito, mi sento di proporre ancora una volta al mondo della politica l’approvazione di un provvedimento normativo per sancire definitivamente il passaggio nell’organico di diritto dei posti in deroga sul sostegno, al fine di garantire continuità didattica e stabilizzare da subito 100.000 insegnanti di sostegno.
Infine, per far fronte all’annoso problema dell’“imbuto formativo” provocato dal numero programmato delle Università, che anche per l’ultimo ciclo ha impedito a circa l’80% dei docenti di sostegno precari non specializzati l’iscrizione ai TFA (Tirocini di Formazione Attivo), sarebbe opportuno che, in previsione dell’incontro di informativa convocato nei prossimi giorni al Ministero con i Sindacati, il Ministero stesso facesse sin da subito un passo indietro, stoppando i percorsi formativi abbreviati e “mordi e fuggi” (soltanto 40 Crediti Formativi Universitari, per lo più in modalità online con un costo compreso tra 900 e 1.500 euro) di competenza dell’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), destinati ai docenti per il sostegno precari con tre anni di servizio e a quelli specializzati all’estero, ai sensi degli articoli 6 e 7 del Decreto Legge 71/24.
Approfitto quindi di queste prestigiose pagine per avanzare al Ministero di Viale Trastevere una soluzione alternativa che potrebbe e dovrebbe invece essere quella di recepire immediatamente quanto ripetutamente sollecitato dalla SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale) relativamente alla possibilità di istituire “scuole di specializzazione post lauream” pure presso le facoltà di Scienze della Formazione, al fine di aumentare gli insegnanti specializzati sul sostegno che vi possano accedere non “a numero chiuso”, ma sulla scorta di criteri rispondenti ai reali ed effettivi bisogni formativi delle nostre istituzioni scolastiche e di quelli didattici ed educativi speciali dei nostri ragazzi con disabilità.
A tal proposito, a mio modesto avviso, non vi è dubbio che uno dei motivi del boom di cattedre di sostegno affidate a precari non specializzati è quello del basso numero di posti per la frequenza dei corsi di specializzazione, soprattutto nelle Università del Nord, dove, paradossalmente, c’è maggiore richiesta di personale specializzato, anche a causa del vero e proprio “flop” dell’ultimo concorso per il sostegno. Molti aspiranti docenti specializzati, infatti, considerati i gravosi costi della vita al Nord rispetto alla retribuzione che si potrebbe percepire, hanno preferito non partecipare alla recente procedura concorsuale che è andata praticamente deserta, come nel caso emblematico della Lombardia, dove è rimasto libero il 96% delle cattedre messe a bando. Occorrerebbe dunque investire su un piano “a lungo termine ed appetibile” di assunzione, prevedendo ad esempio al Nord un pacchetto di incentivi e di agevolazioni anche sugli affitti delle case, per motivare e rendere più allettante ai docente precari di sostegno, prevalentemente provenienti dal Sud Italia , il trasferimento al Nord e l’immissione in ruolo in queste Regioni.
E ancora, ci sarebbe tanto altro da aggiungere in merito alla cronica carenza di docenti specializzati adeguatamente preparati e qualificati sulle singole disabilità. Effettivamente, dal 1986, da quando cioè si è passati dai corsi cosiddetti “monovalenti” a quelli “polivalenti”, la specializzazione sul sostegno è sempre più indistinta, “general-generica” e incurante delle specificità delle singole disabilità sensoriali, intellettive e del neurosviluppo.
Su tale rilevante questione, come da me già evidenziato di recente su queste stesse pagine, auspicherei che, anche restando fermo il principio dei corsi polivalenti, venissero arricchiti gli àmbiti della specializzazione, ovvero che si trattasse, ad esempio, dei processi dell’età evolutiva, della pedagogia speciale e della didattica speciale a seconda della tipologia di disabilità, e che per quella visiva fosse imprescindibile e obbligatorio l’apprendimento del metodo Braille. D’altronde, anche l’emanazione del DPCM applicativo della Legge 79/22 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza-PNRR), circa la formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria, prevede solo 10 Crediti Formativi su 60 sulla pedagogia e la didattica ed un numero insignificante di 3 su quelli riguardanti la pedagogia e la didattica speciale, con la necessità cogente e impellente che entrambi vengano implementati, per evitare il rischio, davvero concreto, che la “montagna abbia partorito il solito topolino” della delega del processo d’inclusione scolastica al solo docente per il sostegno, tra l’altro scarsamente preparato sulle singole disabilità.
Per tutte queste ragioni, a parere di chi scrive, occorre andare oltre il recente Decreto Ministeriale n. 32, riprendendo la lungimirante Proposta di Legge presentata dalla FISH, volta all’istituzione di apposite classi di concorso per il sostegno. Tale Proposta, va ricordato, risale già al 2021 e prevede per gli aspiranti docenti per il sostegno una laurea quinquennale in cui siano già presenti aspetti di pedagogia e didattica, completati da un sesto anno abilitante con approfondimenti specifici sulle didattiche speciali.
Per non parlare poi della colpevole mancata proroga della disposizione sulla formazione in servizio sull’inclusione, di cui all’articolo 1, comma 961 della Legge 178/20, che prevedeva 25 ore di formazione obbligatoria per i docenti delle classi frequentate dagli alunni/alunne con disabilità.
E da ultimo, ma non certo in ordine d’importanza, bisognerebbe altresì finanziare in modo finalmente strutturale la rete di supporto locale all’inclusione (GIT-Gruppi per l’Inclusione Territoriale, CTS-Centri Territoriali di Supporto, Sportelli Autismo…), per rendere veramente inclusivo il contesto a supporto dei nostri Istituti di ogni ordine e grado.
In questo clima culturale di incertezza e precarietà sull’inclusione scolastica, ai sensi dell’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92, l’attenzione alle specificità per ciechi, sordi, persone con disabilità intellettive o del neurosviluppo, è stata demandata all’assistenza alla comunicazione, senza però che siano stati definiti né il profilo professionale, né il percorso formativo degli stessi assistenti alla comunicazione, con l’inevitabile conseguenza che anche questi ruoli sono stati sovente affidati a educatori privi di competenze specifiche.
In tal senso, chi scrive saluta con entusiasmo la recente Memoria sul tema presentata dalla FISH [disponibile a questo link, N.d.R.], nella quale, tra le più rilevanti proposte, ritengo realmente “determinanti”, ai fini di un’efficace processo d’inclusione degli alunni-studenti con disabilità, oltreché l’indifferibile riconoscimento della figura professionale dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, con una definizione chiara del ruolo, delle competenze e della formazione necessaria, anche e soprattutto l’introduzione di specifiche aree di specializzazione per gli assistenti stessi, «includendo competenze per il supporto a studenti con disabilità visiva, sordi oralisti e con disabilità intellettive o del neurosviluppo». Se tali richieste della FISH fossero recepite dal Senato, infatti, si creerebbero finalmente quelle condizioni favorevoli ad assicurare concretamente il passaggio dall’attuale distorta logica della delega al solo docente per il sostegno della presa in carico degli allievi con disabilità a quella del sostegno diffuso e del contesto”, reale pilastro portante della nostra vigente normativa inclusiva. E a mio modesto avviso, questo sarà possibile soltanto valorizzando autenticamente l’autonomia scolastica, garantendo cioè contesti veramente “flessibili”, dotati di ambienti, strumenti e materiali resi accessibili anche grazie alla presenza costante di figure educative di riferimento che, non mi stancherò mai di sottolinearlo, per gli alunni con disabilità visiva non possono che essere i tiflologi, preparati con percorsi formativi fondati su appositi Master universitari.
A questo punto l’appello accorato che rinnovo al presidente della FISH Falabella è che – in sede di discussione al Senato del Testo Unificato rispetto al quale la Federazione ha presentato la citata Memoria -, si possano effettuare interventi correttivi al predetto provvedimento, affinché venga definito pure in modo formale il profilo del pedagogista esperto in Scienze Tiflologiche, operatore strategico ed essenziale per una proficua inclusione degli alunni e studenti con disabilità visiva.
Pertanto, non me ne voglia l’amico Salvatore Nocera, che non ritiene prioritaria la questione dell’inquadramento normativo del tiflologo, come scritto su queste pagine, per chi scrive, esperto di inclusione non vedente, sottolineare oggi l’esigenza di riconoscere il pedagogista in Scienze Tiflologiche è ormai improcrastinabile, viste le attuali criticità del nostro sistema nazionale d’istruzione, in quanto non significa certo voler eliminare i docenti per il sostegno o ridimensionare l’insostituibile ruolo inclusivo dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, quanto piuttosto riproporre e riaffermare definitivamente la necessità della specificità tiflologica nel processo di educazione e di istruzione delle persone con disabilità visiva.
E allora ben venga naturalmente il Decreto Ministeriale n. 32 sulla continuità, ma solo mostrando ancora più coraggio e assicurando concretamente le condizioni “strutturali” di cui sopra, si potrà garantire un’effettiva continuità didattica e realizzare a pieno l’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità italiani del Terzo Millennio.
Gianluca Rapisarda – dirigente scolastico con disabilità visiva (rapisardagianluca73@gmail.com).

 

Il nostro Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati riconosce e comprende le legittime preoccupazioni delle famiglie riguardo alla necessità di garantire una continuità didattica stabile per i propri figli con disabilità. Tuttavia, riteniamo che l’introduzione dell’articolo 8 del Decreto Legge 71/24, seppure animata da buone intenzioni, possa generare conseguenze che meritano un’attenta riflessione, affinché l’inclusione scolastica rimanga un diritto garantito per tutti e non si creino disparità o difficoltà organizzative.
1. La continuità didattica è un diritto fondamentale, ma va garantita in modo equo e strutturale: siamo perfettamente consapevoli dell’importanza del legame tra docente e studente con disabilità e comprendiamo il desiderio delle famiglie di mantenere un insegnante che abbia già instaurato una relazione educativa positiva con il proprio figlio. Tuttavia, riteniamo che la continuità non debba essere affidata solo alla possibilità di conferma del singolo docente, ma debba essere garantita strutturalmente attraverso politiche di stabilizzazione del personale, che riducano il turn-over e diano maggiori certezze a studenti, famiglie e insegnanti.
2. Il docente di sostegno è una risorsa per tutta la classe, non solo per il singolo studente: il principio di contitolarità stabilito dalla normativa vigente prevede che il docente di sostegno sia assegnato alla classe nel suo insieme, contribuendo all’inclusione di tutti gli studenti e non esclusivamente al supporto individuale dell’alunno con disabilità. Un’eccessiva personalizzazione della figura del docente rischia di isolare lo studente anziché favorirne l’integrazione con i compagni. L’inclusione è un processo che deve coinvolgere tutta la comunità scolastica e non può basarsi solo sulla relazione individuale tra docente e studente.
3. Equità e trasparenza nel sistema di assegnazione dei docenti: pur riconoscendo il valore della continuità, è fondamentale garantire che le assegnazioni dei docenti avvengano secondo criteri oggettivi e trasparenti, nel rispetto delle normative vigenti. L’articolo 8 del Decreto Legge 71/24 si sovrappone alle disposizioni già esistenti, come l’Ordinanza Ministeriale n. 88 del 16 maggio 2024, introducendo possibili criticità interpretative e operative. L’assegnazione dei docenti deve essere gestita in modo da tutelare tutti gli studenti con disabilità, evitando disparità di trattamento che potrebbero derivare da un sistema basato su scelte individuali.
4. Il ruolo centrale della famiglia nel processo educativo: le famiglie giocano un ruolo fondamentale nel percorso di crescita e apprendimento dei propri figli, e il loro coinvolgimento nelle decisioni educative è essenziale. Tuttavia, è importante che le scelte relative al sostegno scolastico siano frutto di un’azione condivisa tra scuola e famiglia, basata su criteri pedagogici consolidati e sul lavoro del Gruppo di Lavoro Operativo (GLO). La collaborazione tra scuola e famiglie deve rimanere il pilastro di un’inclusione autentica e non trasformarsi in un meccanismo che, pur rispondendo alle esigenze di alcuni, potrebbe creare difficoltà organizzative o disuguaglianze per altri.
5. Il rischio di delega impropria e frammentazione del percorso educativo: il sistema scolastico italiano si fonda su princìpi inclusivi sanciti dalla Costituzione e dalla Legge 104/92, che individuano il docente di sostegno come una figura assegnata alla classe e non al singolo alunno. Se da un lato il desiderio di continuità è comprensibile, dall’altro occorre evitare che questo si traduca in un modello che isoli lo studente con disabilità dal resto della classe. Un’inclusione efficace si realizza attraverso il lavoro sinergico di tutti i docenti e delle figure professionali coinvolte, non tramite una delega impropria che rischia di limitare le opportunità educative dello studente.
6. Una soluzione strutturale: stabilizzazione del personale e valorizzazione delle competenze. La vera continuità didattica non si ottiene con interventi normativi emergenziali, ma con una politica di stabilizzazione dei docenti di sostegno. Troppe famiglie, ogni anno, devono affrontare l’incertezza di un cambio di insegnante a causa della precarietà del sistema di assegnazione. Investire in un piano di assunzione stabile dei docenti specializzati è l’unica strada per garantire continuità, qualità e una relazione educativa solida tra insegnante e studente.
In conclusione, il nostro Collettivo ribadisce la necessità di un confronto costruttivo tra famiglie, scuole e istituzioni, affinché la continuità didattica venga garantita in un quadro di equità, trasparenza e rispetto delle normative vigenti. È fondamentale, infatti, che l’inclusione rimanga un processo educativo condiviso, senza creare differenze tra gli studenti o caricare sulle famiglie il peso di decisioni che dovrebbero essere garantite dal sistema scolastico in modo strutturale.
Chiediamo quindi al Ministero dell’Istruzione e del Merito di rivedere l’applicazione dell’articolo 8 del Decreto Legge 71/24, affinché si trovino soluzioni che garantiscano sia la continuità didattica, sia il rispetto dei princìpi inclusivi sanciti dalla nostra Costituzione.
Solo attraverso una scuola realmente inclusiva e organizzata in modo stabile sarà possibile assicurare il successo formativo di tutti gli studenti con disabilità, nel rispetto delle loro esigenze e delle aspettative delle loro famiglie.
Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati (collettivodocentispecializzati@gmail.com).

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