Includere tutti, non uno di meno

Intervista a Tullio De Mauro*
Cita un film cinese, il professor Tullio De Mauro, già ministro della Pubblica Istruzione una decina di anni fa, per fissare l'obiettivo fondamentale dell'inclusione scolastica, guardando non soltanto agli studenti con disabilità, ma anche a tutti quegli alunni provenienti da Paesi di lingua e cultura diversa. Di questo e del recente libro curato insieme a Dario Ianes, dedicato agli insegnanti che «ci credono ancora», si parla nella presente intervista con De Mauro, che nel novembre prossimo sarà a Rimini, tra i relatori dell'Ottavo Convegno Internazionale "La Qualità dell'integrazione scolastica e sociale"

Tullio De MauroAvremo certamente occasione di soffermarci ancora a lungo, nei prossimi mesi, sull’Ottavo Convegno Internazionale Biennale La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale, tradizionalmente organizzato al Palacongressi di Rimini, nel mese di novembre (esattamente dal 18 al 20 di quel mese), dal Centro Studi Erickson. Un appuntamento – lo ricordiamo – che nell’ultima edizione del 2009 vide la presenza di oltre 4.000 partecipanti, con più di 200 relatori italiani e stranieri.
Per il momento, però, diamo spazio all’intervista inviataci dallo stesso Centro Studi Erickson a un relatore di particolare prestigio – nel prossimo convegno di novembre – vale a dire Tullio De Mauro. professore emerito dell’Università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato per molti anni Filosofia del Linguaggio e Linguistica Generale, autore di numerosi saggi e volumi, già ministro della Pubblica Istruzione nel secondo Governo Amato (dal 25 aprile 2000 all’11 giugno 2011).
Recentemente, insieme a Dario Ianes – direttore scientifico, con Andrea Canevaro, del Convegno di Rimini – De Mauro ha curato per Erickson il libro
Giorni di scuola. Pagine di diario di chi ci crede ancora. Di quest’ultimo e in generale dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, si parla nella presente intervista.

Professor De Mauro, cosa ci può dire di Giorni di scuola. Pagine di diario di chi ci crede ancora, il libro da lei recentemente curato insieme a Dario Ianes e come ne esce da queste pagine la scuola italiana?
«Credo che sia sempre bene dare voce a chi pratica un mestiere, una professione, dare voce a chi è più direttamente impegnato nelle cose, un po’ meno dare voce a commentatori esterni a un campo perché il mondo della scuola è un mondo molto complicato.
La scuola ha affrontato in questi decenni problemi difficili di vario tipo, bisogna starci dentro per capire quello che si sta facendo e quello che si può fare. Riassetto dei contenuti degli insegnamenti, problemi di revisione profonda dei modi in cui si può alimentare nelle ragazze, nei ragazzi, nei bambini l’interesse per il sapere, per lo studio. Parlo di questi grandi problemi, ma chi vive la vita della scuola, e in questo includerei anche l’Università, conosce anche gli altri problemi, che vanno dai modi deficitari del reclutamento, della formazione, fino all’edilizia scolastica.
In sintesi, far parlare gli insegnanti che non gettano la spugna, che non si disperano, che lavorano con impegno, con serietà, sentire da loro che cosa fanno e come fanno per mandare avanti il lavoro della scuola, mi pare una cosa particolarmente positiva. Non sempre viene fatta, forse quasi mai viene fatta dalla grande informazione, quindi è importante che una casa editrice come Erickson si sia messa su questa strada, raccolga queste voci di chi vive le giornate della scuola, dentro la scuola, sviluppando proposte, modi di insegnamento interessanti e nuovi».

Lei sarà a Rimini, nel prossimo mese di novembre, tra i relatori dell’Ottavo Convegno Internazionale La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale. Cosa ne pensa dell’inclusione scolastica in Italia e quali sono secondo lei le prospettive per il domani?
«L’inclusione, la più larga possibile, totale, di ragazze e ragazzi nelle attività delle scuole è un obiettivo che anche per gli aspetti più complicati, per quanto riguarda la disabilità, abbiamo cercato dagli anni Settanta in Italia di tenere presente come obiettivo strategico e prioritario. In linea di principio la battaglia è stata vinta, è stata vinta con lo sforzo meritorio che lo Stato ha fatto, creando una rete di sostegno di insegnanti che si occupano in particolare dei disabili, ma l’inclusione è qualcosa di assai più vasto.
Questa è una frontiera particolarmente difficile da varcare, quella di far entrare nella scuola e dare la scuola a tutti, anche se ci sono disabilità. Questa battaglia è stata in larga misura vinta, ora certo ci sono dei problemi perché il numero degli insegnanti di sostegno è stato ridotto. Tuttavia, per quelle che sono state le esperienze di ormai più di trent’anni di lavoro, penso che non si debba rinunciare a quanto si è fin qui fatto e si è ottenuto.
Questo riguarda anzitutto il destino sociale di disabili che percorrono le vie della scuola, ma riguarda anche la stessa scuola. Ricordo sempre con affetto quanto diceva tanti anni fa Luigi Cancrini [noto psichiatra, accademico e politico, N.d.R.], che cioè chi trae vantaggio dall’inclusione non è l’incluso, ma è l’intera classe, è l’intera scuola per tutto ciò che è costretta a ripensare, dei suoi modi di porsi, se non c’è un problema così difficile come quello dell’integrazione di un disabile.
La scuola, gli insegnanti, i compagni di classe “si svegliano” ai problemi che altrimenti rischiano di ignorare, e svegliarsi a questi problemi significa poi saperli risolvere e saper risolvere tanti altri problemi e questioni dell’apprendimento e dell’insegnamento. Questo vale poi più in generale per tutto ciò che attiene all’inclusione di bambini e bambine che vengono da altri Paesi, portatori di altre culture, di altre lingue. La scuola agisce da sola, agisce in salita, agisce in una società in cui dominano spinte consumistiche che non aiutano a quella concentrazione e a quell’impegno di lunga lena che l’attività scolastica comporta, che l’attività di apprendimento a scuola comporta.
Dunque, le scuole hanno un compito molto difficile, bisognerebbe che tutti fuori della scuola ne fossimo consapevoli, come ne sono consapevoli gli insegnanti. Bisognerebbe lavorare anche proprio sul fronte della consapevolezza esterna, essenziale per ottenere che anche l’Italia si adeguasse, ad esempio, all’investimento pubblico che, per la scuola e per l’istruzione, fanno gli altri Paesi europei e che noi non riusciamo a fare. I problemi sono molti e centrale è il problema dell’inclusione di tutte e di tutti i ragazzi, non uno di meno, come diceva il titolo di un bel film cinese su questo tema [“Non uno di meno” di Zhang Yimou, 1999, N.d.R.]».

*Intervista curata da Centro Studi Erickson e qui ripresa, con minimi adattamenti, per gentile concessione.

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