Il sostegno e le «manovre»… finanziarie

di Francesco Marcellino*
Com'è ben noto, ancor prima della cosiddetta "Finanziaria bis" - presentata alla metà del mese di agosto dal Governo - la Manovra Correttiva di luglio aveva portato con sé non poche novità per le persone con disabilità, alcune delle quali di dubbia costituzionalità. Nella seguente approfondita analisi, vengono esaminate quelle riguardanti l'inclusione scolastica

Bimbo in carrozzina a scuola, con insegnante di sostegnoGià lo scorso anno, da queste stesse pagine, con il contributo Il sostegno nella Manovra: tra luci e…  «tramonti» [lo si legga cliccando qui, N.d.R.], si era rilevato come vi fosse ormai la certezza che «ogni anno le persone con disabilità sono costrette a stare attente e a studiare le Leggi Finanziarie o le “Manovre” del Governo».
Un percorso sostanzialmente iniziato con le Leggi Finanziarie del 2007 e 2008, che continua a ripetersi anche nel 2011, con la Legge 111/11, conversione del Decreto Legge 98/11, Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.
Con riguardo ai temi di tutela delle persone fragili, la politica legislativa delle Istituzioni del nostro Paese è sostanzialmente mutata negli ultimi anni. Se infatti in passato si promulgavano interventi legislativi ad hoc e specifici come la Legge 104/92 e la Legge 328/00 (con tutti gli annessi e consequenziali provvedimenti nazionali e regionali in tema di integrazione socio-sanitaria), si registra invece, da almeno cinque anni, una proliferazione di interventi settoriali e normativi, che trovano luce in atti legislativi aventi ad oggetto  “manovre di bilancio”.
L’equilibrio e la stabilizzazione economico-finanziaria rappresentano di certo un diritto-dovere che da tutti deve essere rivendicato e tutelato, ma ciò si ritiene debba essere compiuto per un verso razionalizzando il sistema e, per altro verso, nel rispetto dei diritti fondamentali dei singoli.

La Legge 111/11, con riguardo alle persone con disabilità, porta con sé non poche novità e, lo si afferma subito, alcune di esse manifestano un fumus di incostituzionalità. Limitiamoci in questa analisi all’inclusione scolastica, ovvero a quel tema nel quale recentemente la Corte Costituzionale (Sentenza 80/10) ha avuto modo di emettere un provvedimento con cui è stata dichiarata la parziale illegittimità costituzionale di alcune norme, ma in cui vi sono presenti anche chiari princìpi che dovrebbe orientare il Legislatore e l’operatore del diritto.

L’articolo 19, comma 11 della Legge 111/11, prevede testualmente che «l’organico dei posti di sostegno è determinato secondo quanto previsto dai commi 413 e 414 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, fermo restando che è possibile istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica.
L’organico di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili; la scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe. A tale fine, nell’ambito delle risorse assegnate per la formazione del personale docente, viene data priorità agli interventi di formazione di tutto il personale docente sulle modalità di integrazione degli alunni disabili.
Le commissioni mediche di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all’assegnazione del docente di sostegno all’alunno disabile, sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell’INPS, che partecipa a titolo gratuito».
Analizziamolo analiticamente. Il primo comma sostanzialmente conferma quanto già disciplinato dal Legislatore con precedenti Leggi Finanziarie, ovvero quanto statuito sia con i «commi 413 e 414 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244», sia con la Legge 296/06 (articolo 1, comma 605, lettera b), quest’ultima non richiamata, ma certamente norma “ispiratrice” e propedeutica all’articolo 2 della citata Legge 244/07.
Il Legislatore si premura poi di affermare che il tetto massimo di posti di sostegno è ampliabile attraverso la possibilità di «istituire posti in deroga, allorché si renda necessario per assicurare la piena tutela dell’integrazione scolastica». Insomma, fin qui, un chiaro rispetto della normativa vigente e della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale. Ma razionalizzare il sistema – e tutelare l’equilibrio e la stabilizzazione economico-finanziaria – significa compiere una “corretta” applicazione delle norme, ad esempio ponendo in essere, prima di disporre l’assunzione di insegnanti di sostegno in deroga, la verifica che (come dice la Corte Costituzionale) siano stati «esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente» (per un approfondimento tecnico-scientifico sul tema, si permetta il rinvio a Francesco Marcellino, L’integrazione scolastica delle persone con disabilità, in Il trattato dei Nuovi Danni, diretto da Paolo Cendon, Edizioni CEDAM, 2011, volume sesto, pp. 277 e ss.).
Ragazzo con disabilità insieme a compagno di scuolaSempre il primo comma porta con sé un’altra conferma (mesi fa esposta nel trattato scientifico sopra richiamato): «Di certo, quindi, bisogna ritenere defunto (come vincolo normativo) il principio di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. E, ovviamente, a maggior ragione facilitazioni mentali (e previgenti norme giuridiche) che prevedevano rapporti quali 1 su 138 alunni oppure 1 su 4 alunni con disabilità. Oggi, quindi, il principio guida è esclusivamente quello delle “effettive esigenze rilevate”. Ma ciò deve correttamente condurre ad una personalizzazione delle esigenze dell’alunno e conseguente diritto all’assegnazione e non già ad una smisurata fornitura di organici” (così, op. cit., p. 287).

Le sorprese, invece, sono manifestate nelle parti successive alla norma in commento, ove si afferma che «l’organico di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o a reti di scuole allo scopo costituite, tenendo conto della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili». Ebbene, su questa disposizione normativa vi sono diverse perplessità.
Innanzitutto, occorre premettere che l’assegnazione di un insegnante specializzato per il sostegno è frutto di un “procedimento amministrativo” disciplinato dalla legge e determinato da una sequela di atti amministrativi posti in essere da una serie di organismi (Certificazione di Individuazione dell’Alunno in Stato di Handicap; Diagnosi Funzionale; Profilo Dinamico Funzionale; Piano Educativo Individualizzato). Alla luce poi del contenuto della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale e in ossequio al principio secondo cui il diritto all’istruzione è un diritto fondamentale riconosciuto all’alunno dall’ordinamento internazionale e nazionale (indipendentemente dalla connotazione di salute), il procedimento amministrativo determina il riconoscimento del “diritto soggettivo perfetto” dell’alunno con disabilità ad usufruire dell’insegnante specializzato per il sostegno.
Insomma, se il principio normativo è quello delle «effettive esigenze rilevate» dell’alunno con disabilità; e se le suddette «effettive esigenze» vengono rilevate attraverso la documentazione scolastica personale e personalizzata del singolo alunno (ovvero redatta e certificante le difficoltà come le potenzialità dell’alunno sottoposto al procedimento amministrativo da parte dell’Azienda Sanitaria e del Gruppo di Lavorto Handicap d’Istituto), non si comprende come «l’organico di sostegno» sia «assegnato complessivamente alla scuola», anziché al singolo alunno!
Perché è proprio da questa previsione normativa – prima di adesso non così chiara, ma di fatto presente nella prassi amministrativa – che insorgono molte delle criticità sofferte dagli alunni, dai genitori e dalle stesse dirigenze scolastiche, tutti accomunati da un’insufficienza di risorse e da difficoltà nel trovare le soluzioni (salvo l’adire l’autorità giudiziaria). Infatti, l’assegnazione da parte degli Uffici Scolastici alla “scuola” anziché al singolo alunno con disabilità non solo impedisce quel sistema di verifica di razionalizzazione del settore e delle risorse spese, ma pone le dirigenze scolastiche e i Gruppi di Lavoro Handicap d’Istituto in quella “imbarazzante” condizione di dover “ri-assegnare” le ore e le docenze di sostegno (loro attribuite dagli Uffici Scolastici) tra gli alunni con disabilità iscritti, determinando ciò, di fatto, una potenziale (se non reale) lesione del diritto soggettivo di tutti gli alunni con disabilità iscritti presso l’istituto scolastico.
Bimbo con disabilità a scuola insieme a insegnante di sostegnoSi badi bene: si condivide che il «docente specializzato per il sostegno» sia un docente della classe, contitolare e di «pari livello» ad ogni altro docente, ovvero nel senso che sia parte integrante del Consiglio di Classe, delle scelte e dei percorsi pedagogico-didattici della classe nel suo complesso ecc., ma un iter amministrativo il quale preveda che l’assegnazione dei docenti di sostegno venga compiuta «complessivamente alla scuola o reti di scuole», anziché al singolo alunno, appare lesiva di quei principi di diritto e di ragionevolezza dello stesso che sorreggono l’intera normativa in commento.
L’unica profonda verità – almeno si crede – è che, come si ha avuto modo di esprimere nel citato testo (pp. 295-296), in tema di inclusione scolastica di alunni con disabilità, «certe dinamiche sono anche determinate dalle regole dell’amministrazione scolastica e, in particolare, dell’organizzazione degli organici mediante graduatorie. Le graduatorie hanno regole rigide, non correlate con i bisogni e con i fatti che riguardano un singolo alunno con disabilità. La “convivenza”, quindi, dei diritti soggettivi all’istruzione del singolo alunno con disabilità con quelle “amministrative” e del diritto al lavoro dei docenti non è affatto agevole, trovandosi spesso, e quasi inevitabilmente, i primi a soccombere ai secondi» (op. cit., p. 296).
Se dunque non si trova l’abilità (e il coraggio) di cercare un più corretto equilibrio tra i diritti degli alunni, le esigenze e le procedure dell’amministrazione scolastica e il diritto al lavoro dei docenti specializzati, difficilmente si troverà soluzione alle criticità annualmente registrate, lascinado anzi trreno fertile a stravaganti proposte legislative (anch’esse permeate dal sospetto di costituzionalità), che tenderebbero a “privatizzare il sostegno”.

Ma l’ulteriore stranezza della norma in commento riguarda la sua seconda parte, ovvero laddove si afferma di voler tenere conto «della previsione del numero di tali alunni in ragione della media di un docente ogni due alunni disabili».
La previsione del rapporto 1:2 è una “media nazionale” a cui tendere e non già un limite normativo. Tant’è che il principio normativo è appunto quello delle «effettive esigenze rilevate» dell’alunno. A ciò si aggiunga che il suddetto rapporto 1:2 è da ritenersi abrogato (ammettendo che fosse un vincolo normativo) o quanto meno superato, ritenendolo una tendenza matematica, alla luce della decisione del Giudice della Costituzionalità delle Leggi, il quale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno».
Sia chiaro che non si condivide una disponibilità sproporzionata e non limitata di docenti specializzati per il sostegno – ribadendo, invece, la necessità di razionalizzare il sistema – ma, nel contempo, si ritiene che debba evitarsi, anche involontariamente, di inviare il messaggio agli operatori scolastici di continuare a “muoversi” all’interno del principio 1:2, sul quale (salvo le deroghe) è effettivamente ancora calibrato l’organico dei docenti – come analizzato nel nostro contributo intitolato Insegnanti di sostegno: previsioni per l’anno scolastico 2011/12 (visionabile cliccando qui) – dando invece spazio a tentativi di trovare percorsi virtuosi che sostengano le esigenze economico-finanziarie con le necessità e i diritti degli alunni.

Continuando l’analisi della norma, essa prevede poi che la scuola provveda «ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe. A tale fine, nell’ambito delle risorse assegnate per la formazione del personale docente, viene data priorità agli interventi di formazione di tutto il personale docente sulle modalità di integrazione degli alunni disabili».
Bimbo con disabilità insieme a un'anziana signoraDi questo disposto normativo sarà probabilmente soddisfatto l’avvocato Salvatore Nocera [vicepresidente nazionale della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, FISH, N.d.R.], il quale – anche da queste pagine – ha più volte manifestato la necessità di “integrazione” degli alunni e di presa in carico di essi “con ed attraverso” tutti i docenti di classe.

Ovviamente la sorpresa la riserva la norma in commento nel suo ultimo periodo, ovvero laddove si afferma che «le commissioni mediche di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all’assegnazione del docente di sostegno all’alunno disabile, sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell’INPS, che partecipa a titolo gratuito».
Ebbene, la lettura di questo capoverso fa letteralmente sgranare gli occhi all’operatore del diritto, il quale inizia a porsi diverse domande.
La prima: «Che c’azzecca la commissione medica di cui all’art. 4 della l. 5 Febbraio 1992, N° 104?».
La seconda: «Qual è il fine della presenza di un rappresentante INPS? Tutela di ragioni economico-finanziarie? E a cosa porterà ciò nel tempo?».
La terza: la norma espressamente afferma «…della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all’assegnazione del docente di sostegno all’alunno disabile». Allora è vero – lo dice lo stesso Legislatore! – che le «effettive esigenze rilevate» certificate attraverso il procedimento amministrativo dei documenti scolastici determina il diritto di quel singolo alunno al docente di sostegno (perché assegnarlo alla scuola?)!!
Ovviamente non può che condividersi quanto espresso su queste pagine [se ne legga cliccando qui, N.d.R.] dal già citato Salvatore Nocera e da Mario Berardi, subito dopo la promulgazione del Decreto Legge (e prima della conversione in Legge, e quindi con l’auspicio di una modifica in corso d’opera, purtroppo non compiuta), ovvero che: «tale norma è del tutto incomprensibile in quanto – senza tener conto delle commissioni di accertamento dell’handicap ai fini scolastici di cui al Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 185/06confonde le Commissioni di Accertamento dell’Handicap (di cui all’articolo 4 della Legge 104/92) con le Unità Multidisciplinari dell’ASL che redigono la Diagnosi Funzionale (di cui all’articolo 3, comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica – DPR – del 24 febbraio 1994) e con il Gruppo di Lavoro che valuta la Diagnosi Funzionale per la formulazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), di cui all’articolo 12, comma 5 della Legge 104/92. Inoltre risulta errata l’affermazione che sia la Diagnosi Funzionale – redatta dalla sola ASL – a precostituire il diritto alla nomina di insegnanti di sostegno, dal momento che invece tale diritto risulta dalla valutazione collegiale che confluisce nel PEI, come espressamente indicato dall’articolo 10, comma 5 della Legge 122/10. Si confida quindi che in sede di approvazione parlamentare del Decreto Legge questa confusione venga fugata».

Risulta naturale allora chiedersi se l’obiettivo della Manovra Finanziaria, ovvero l’introduzione di Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, con riguardo alla norma analizzata, sia o possa essere raggiunto.
Nel complesso l’unica novità (e sostanzialmente errata) risulta essere quella prevista dall’ultimo periodo dell’articolo 19, comma 11, profilandosi il resto delle disposizioni come una conferma di quanto tendenzialmente già in atto.
Anche l’assegnazione dell’organico di sostegno «complessivamente alla scuola», infatti, risulta essere prassi diffusa – oggi legislativamente prevista – ma che non sembra agevolare l’equilibrio economico-finanziario dell’ordinamento giuridico e che invece sembra capace di creare difficoltà e disfunzioni del sistema amministrativo.

Occorre qui dare atto che l’istituzione scolastica – insieme a poche altre agenzie sociali, come i centri diurni e i centri di riabilitazione – ha svolto negli anni un ruolo di inclusione sociale dell’alunno disabile e di “sollievo” per le famiglie delle persone con disabilità, anche del tutto sostitutivo a organismi deputati alla “presa in carico globale” della persona con disabilità stessa. Forse analizzando e approfondendo ciò, sarà possibile rendere più razionale il sistema, anche il sistema scolastico, ma senza privarlo di quella storica qualità e capacità inclusiva che l’ha caratterizzato. Anziché ridurre così i settori che hanno garantito qualità e obiettivi inclusivi, sarebbe il caso di ri-vedere le politiche sociali e inclusive delle persone con disabilità nel nostro Paese, così che anche le risorse scolastiche per loro investite (come quelle socio-riabilitative) potessero essere un vero e serio investimento e un beneficio per l’intera società, attraverso una partecipazione attiva e proficua della persona con disabilità e non già, invece, un “costo sociale” determinato dalla frequenza passiva di centri o servizi socio-sanitari.

*Avvocato (fmarcellino@videobank.it).

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