Quel paradigma culturale che deve cambiare per avere una giusta legge sui caregiver familiari

di Erika Coppelli, Sofia Donato e Cristina Finazzi*
Pensando anche all’opportunità di avviare un costruttivo e approfondito dibattito sul tema, diamo spazio al presente contributo di riflessione, firmato da tre donne caregiver familiari, componenti del “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”, istituito dai Ministeri del Lavoro e delle Politiche Sociali e per le Disabilità

Ombra bianca di caregiver e di perona in carrozzina su sfondo marroneSiamo esperte su nomina della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli nel Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari, istituito dai Ministeri del Lavoro e delle Politiche Sociali e per le Disabilità.
Costituito con Decreto nell’ottobre 2023 e insediatosi a gennaio 2024, il Tavolo avrebbe dovuto, in un lasso di tempo di sei mesi, lavorare per formulare proposte ai fini dell’elaborazione di un Disegno di Legge volto al riconoscimento del ruolo svolto dal caregiver familiare. Pochi incontri in plenaria e la divisione dei lavori in gruppi tematici che avevano il compito di analizzare aspetti precisi della redigenda norma: Finalità e definizione della figura; Procedura di riconoscimento; Tutele e sistemi di sostegno; quest’ultimo il gruppo che ha lavorato in maniera più serrata e approfondita. Siamo tuttora in attesa delle risultanze del lavoro svolto e della sintesi conclusiva degli Uffici Legislativi dei Ministeri coinvolti.

L’entusiasmo di poter finalmente lavorare in maniera fattiva e specifica su questa materia, che dava risposta all’attesa annosa di noi caregiver familiari impegnati in un percorso di consapevolezza ed emancipazione dal ruolo che la vita ci ha assegnato e nel quale la società ci ha rinchiuso, ha lasciato ben presto in noi posto alla frustrazione. La volontà politica di coinvolgere nel Tavolo la più ampia gamma di attori non ha seguito un principio elementare di distinzione, né di equilibrio numerico, delle rappresentanze dei caregiver familiari, individui con diritti soggettivi propri, dalle rappresentanze delle persone con disabilità, professionisti e persone che della rappresentanza hanno fatto una professione; a questo si aggiunge il principio adottato di valutare la validità delle istanze secondo il volere della maggioranza dei partecipanti.
Da subito si è evidenziato un disallineamento fra chi, abituato a difendere i diritti delle persone con disabilità, spesso anche da professionista, non riesce a comprendere il dovere e l’urgenza di considerare il caregiver familiare nella sua individualità, dando importanza al ruolo sociale che, obtorto collo, si assume, e che al momento, nella nostra società, gli comporta di scomparire come cittadino al pari. Tra chi, considerando chiunque caregiver familiare, punta ad ottenere ulteriori servizi per la persona con disabilità e chi chiede un’analisi attenta sull’incidenza che il caregiving ha nella vita di un caregiver familiare, ben consapevole dell’impatto che ha la convivenza con il proprio congiunto con disabilità. Tra chi dà per scontato che il caregiver familiare possa essere scelto dimenticando la realtà delle persone con disabilità che non hanno capacità giuridica di effettuare scelte e chi si ribella alla possibilità di soggiogare alcuni cittadini al bisogno dei loro congiunti con disabilità, perché alla condizione di disabilità dal punto di vista assistenziale e sanitario deve corrispondere un sistema di servizi e non un caregiver familiare. E ancora, tra chi si rifiuta di accettare il distinguo fra persone con disabilità intellettivo relazionali, del neurosviluppo o con decadimento cognitivo, che per la natura stessa della loro condizione di disabilità abbisognano che un adulto del nucleo familiare convivente assuma la responsabilità di quella vita e quindi il ruolo di caregiver familiare, e persone che vivono in condizioni di disabilità che non intacca la loro capacità cognitiva ed autodeterminativa, e per ciò stesso hanno bisogno di un sistema di servizi e non di un caregiver familiare, perché i rapporti familiari seguono un principio di reciprocità, e non si può ne dovrebbe consentire loro di assoggettare un proprio congiunto alle loro necessità.

Contemporaneamente, in Commissione Sanità alla Camera dei Deputati è stato avviato l’iter per arrivare ad una norma nazionale per il Riconoscimento del ruolo svolto dal caregiver familiare, all’interno del quale la Commissione stessa ha svolto, la scorsa estate, le audizioni cui abbiamo avuto la possibilità di partecipare, ognuna in rappresentanza del proprio organismo di riferimento.
Anche in Parlamento è stato riproposto lo stesso schema di auditi, mettendo cioè assieme, senza alcun rispetto di un equilibrio almeno numerico, le rappresentanze dei caregiver familiari alle rappresentanze delle persone con disabilità che da decenni parlano indistintamente a nome di ogni tipo di disabilità, quando non le rappresentanze di individui con specifiche patologie.
A febbraio la Commissione Parlamentare Affari Sociali ha svolto l’audizione della ministra per le Disabilità Locatelli sul tema. In quell’occasione, mentre ascoltavamo i lavori della Commissione Parlamentare, con l’esperienza accumulata al Tavolo Nazionale, ci passavano davanti agli occhi le nostre vite e quelle innumerevoli di quelli come noi, caregiver familiari, cioè coloro che al sopraggiungere di una disabilità che compromette la capacità autodeterminativa di una persona del proprio nucleo familiare convivente, si sono dovuti assumere la responsabilità di quella vita.
La nascita dei nostri figli con una disabilità intellettivo relazionale e del neurosviluppo, la complessità e la numerosità delle cose da affrontare fin da subito e la necessità di una presenza continua per comprendere, valutare e operare scelte sulla loro vita, sulla loro crescita, la necessità di interfacciare con i professionisti e i servizi, di gestirli e metterli a sistema, di scegliere le équipe e le strategie utili, nell’incapacità e impossibilità dei nostri stessi figli di fornire il proprio apporto puntuale e consapevole, ci hanno costrette a ridurre drasticamente quando non ad abbandonare il lavoro e ad affrontare una condizione di dipendenza economica da altri che certo non era nella nostra indole e formazione culturale.
Non abbiamo avuto modo di scegliere, perché non ce n’è la possibilità; fin dal primo momento la vita della persona con disabilità deve essere costruita e sostenuta, in suo nome e conto bisognava costantemente decidere, su esigenze quotidiane di poco conto, come su esigenze sanitarie, come sulla costruzione del suo progetto di vita.

Noi caregiver familiari, noi che conviviamo con i nostri figli e congiunti che hanno una compromissione o alterazione della capacità cognitiva e percettiva della realtà, con i nostri cari che non distinguono le proprie emozioni e sensazioni, che non hanno un canale comunicativo utile a relazionarsi con il mondo che li circonda, che non sono in grado di interfacciare autonomamente con i servizi e di gestirli, che non sanno organizzare la giornata, ma necessitano di attività e stimoli continui a scandire il tempo di cui non hanno contezza, che abbisognano di anticipatori e continuità nei luoghi e nelle relazioni per non incorrere in comportamenti-problema, noi ben conosciamo la condizione unica e solitaria del caregiver familiare, ossia di chi assume, per responsabilità e senza alcuna possibilità di scelta o evasione, il compito di portare avanti la vita del proprio congiunto convivente, organizzandogli il quotidiano così come il futuro, e rappresentando la memoria storica del suo percorso di vita.
La complessità, la stanchezza, la solitudine quotidiana e nelle scelte, l’impossibilità di cedere, la paura per il futuro dopo di noi, questi sono i nostri compagni di vita, in una previsione di 20, 30, 40, 50 anni, quando non sine die, sempre in allerta e affrontando ogni accadimento imprevisto per rispondervi in maniera adeguata, sostenendo una vita sotto continuo ricatto affettivo, nella consapevolezza che dalla propria lucidità in ogni situazione dipende tutto il ménage quotidiano e in tutto questo costruire la vita del nostro congiunto con disabilità per quando non ci saremo più.

All’ascolto della Commissione, ogni intervento degli Onorevoli Deputati che continuavano a parlare di persone con disabilità e non di noi caregiver familiari, accresceva il nostro sbigottimento e la nostra delusione. Possibile mai che l’esistenza e il riconoscimento del caregiver familiare venga ancora confusa e legata alla condizione di disabilità in generale o, peggio, al bisogno assistenziale della persona con disabilità? L’assistenza fisica o infermieristica si esplica attraverso i servizi preposti a questo, e la redigenda norma non può dare spazio ad una quantificazione o addirittura a una monetizzazione della solidarietà umana e familiare, né può acquisire come certe le carenze dei servizi alla persona con disabilità, delegandole al caregiver familiare, in quel ricatto affettivo e ingiusto già attivo in svariate Regioni d’Italia, per cui il familiare firma il Progetto Assistenziale Individualizzato della persona con disabilità, assumendosi specifici compiti quotidiani affinché alla persona con disabilità venga riconosciuto quanto di suo diritto.
È apprezzabile che la Ministra abbia dimostrato di avere ascoltato le narrazioni nostre e di altri, è fondamentale, poi, che abbia riconosciuto come prioritario il principio di convivenza, così come la solitudine dei nuclei monogenitoriali e monoparentali. Manca sempre e comunque a tutti la capacità di superare quel tabù culturale che ci impedisce di vedere in maniera lucida la realtà che distingue le persone tra coloro che con la maggiore età acquisiscono la capacità di agire, ossia l’idoneità del soggetto a curare consapevolmente i propri interessi e a valutare la portata degli atti da attuare ed accettarne gli effetti, e coloro che la giurisprudenza considera sempre “minori”, indipendentemente dall’età anagrafica. Tutti hanno la capacità giuridica, ma non tutti acquisiscono la capacità di agire. Negare questo fondamentale distinguo tra persone significa non accettare la realtà della nostra società e continuare a non voler considerare appieno la responsabilità che un caregiver familiare è obbligato ad assumere nell’arco di una vita; significa non conoscere la complessità di un ruolo che porta a vivere una vita in due, dove la propria esistenza, quella del caregiver familiare, passa in secondo piano, perdendo ogni autonomia e libertà.

Da anni, a mani nude, attraverso movimenti spontanei, appoggiati dalla sola forza della nostra realtà, ci battiamo per imporre questo cambio di paradigma culturale che veda in noi una frangia di popolazione che non vuole rinunciare al proprio ruolo, ma vuole essere sostenuta e riconosciuta perché ricopre un ruolo sociale.
La massificazione degli interventi e delle misure è il primo nemico di ogni giusto intervento legislativo, e oggi rappresenta anche l’ostacolo alla capacità di individuare chi è il caregiver familiare per poi valutarlo come individuo a sé, titolare di diritti soggettivi propri. Una norma sul caregiver familiare deve rispondere esclusivamente alle esigenze di questi.

*Erika Coppelli è caregiver familiare, presidente del Tortellante (laboratorio terapeutico abilitativo e palestra di autonomia per giovani adulti nello spettro autistico); Sofia Donato è caregiver familiare, portavoce del gruppo nazionale Caregiver Familiari Comma 255, che porta avanti la battaglia per l’individuazione e il riconoscimento della figura del caregiver familiare, interloquendo con l’amministrazione e la politica ad ogni livello; Cristina Finazzi è caregiver familiare, presidente dell’Associazione Spazio Blu Autismo Varese, portavoce del Comitato Uniti per L’Autismo, Coordinamento regionale lombardo nato nel 2018, comprendente oltre 50 associazioni per l’autismo e migliaia di famiglie, impegnato per chiedere e operare con la propria Regione e gli Enti/Istituzioni preposti, per l’attuazione delle Leggi Regionali e Nazionali in materia di autismo.

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