I Reali inglesi a Ravenna presenti! I diritti delle persone con disabilità assenti!

di Mirella Madeo*
La visita del Re e della Regina d’Inghilterra a Ravenna è stata l’ennesima occasione mancata per garantire l’accessibilità universale. «Ma è tempo – scrive Mirella Madeo – di smettere di considerare l’accessibilità come una voce da tagliare nei bilanci o da gestire con improvvisazione. Non possiamo più permettere che eventi pubblici, per quanto prestigiosi, si svolgano nel disinteresse per i diritti fondamentali di una parte della cittadinanza. Perché ogni volta che questo accade, perdiamo tutti!»
Re Carlo III e la regina Camilla in visita a Ravenna alla tomba di Dante, aprile 2025
Re Carlo III e la regina Camilla in visita a Ravenna alla tomba di Dante

Giovedì della scorsa settimana Ravenna ha accolto con entusiasmo Re Carlo III e la Regina Camilla, arrivati in città per concludere la loro visita ufficiale in Italia. Una giornata ricca di eventi simbolici e culturali: la sosta alla tomba di Dante, dove hanno ascoltato la preghiera di San Bernardo dal Canto XXXIII del Paradiso; la visita alla Basilica di San Vitale, al Mausoleo di Galla Placidia, con i magnifici mosaici paleocristiani, e al Museo Byron. Nel pomeriggio, il Consiglio Comunale straordinario con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, infine, una passeggiata tra gli stand gastronomici in Piazza del Popolo, guidati dallo chef Massimo Bottura.
Tutto perfetto, organizzato nei minimi dettagli. Tranne che per un “piccolo” particolare: rendere realmente accessibile l’evento alle persone con disabilità e alle persone anziane.

Partiamo dunque dall’accesso, lasciato completamente allo sbaraglio: nessuna area riservata, nessun percorso agevolato, nessun supporto visibile. Le persone in carrozzina presenti? Solo quattro. Un numero che parla chiaro: la mancanza di accessibilità scoraggia la partecipazione.
Ognuno, dunque, ha dovuto arrangiarsi come poteva. Io stessa, con la mia carrozzina, ho dovuto sgomitare tra la folla per conquistare un posto in prima fila e poter partecipare con dignità all’evento. Mentre mi facevo largo, molte persone mi hanno guardata con disapprovazione, come se stessi “rubando” un privilegio.
In una giornata che avrebbe dovuto essere di festa per tutti, chi vive una condizione di fragilità è stato ancora una volta dimenticato.

Mi sono poi rivolta a diversi agenti delle forze dell’ordine schierati dietro le transenne che delimitavano il percorso reale. Solo pochi, con “buon cuore”, mi hanno lasciata passare. Ma uno di loro ha tenuto a precisare che mi stavano facendo passare «per concessione straordinaria». Una frase, questa, che mi porto ancora addosso come un macigno. Come se chiedere accessibilità fosse una richiesta fuori luogo, un favore personale, quando invece dovrebbe essere un diritto garantito per tutti.
L’impressione è stata quella di essere “un’eccezione tollerata”, non una cittadina con diritti. Una sensazione, purtroppo, familiare a molte persone con disabilità.

Non è tollerabile né giusto che la gentilezza venga usata per coprire diritti negati. L’accessibilità non è una cortesia, non è un favore, è un diritto. Lo dice la Costituzione Italiana, all’articolo 3, quando stabilisce il principio di uguaglianza e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Lo ribadisce la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata in Italia con la Legge 18/09), che impone agli Stati di garantire l’accesso, su base di uguaglianza con gli altri, all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e ai servizi pubblici. E in àmbito nazionale, la Legge 104/92, così come il Decreto Ministeriale 236/89, impone criteri precisi per l’eliminazione delle barriere architettoniche in luoghi e manifestazioni pubbliche.
Non prevedere l’accessibilità in un evento pubblico non è solo una dimenticanza: è una violazione, oltre ad essere una ferita alla dignità di chi quotidianamente è costretto a rincorrere un diritto che dovrebbe essere garantito senza elemosine né eccezioni.

Ciò che è mancato a Ravenna, pertanto, non è solo una pedana o una corsia dedicata. È mancata una visione, un’idea di società inclusiva che metta davvero al centro tutte le persone, senza distinzioni.
Accessibilità significa pari opportunità di partecipare alla vita pubblica. È lo specchio del rispetto che una comunità ha per se stessa. E non riguarda solo chi ha una disabilità: riguarda tutti e tutte, perché una città accessibile è una città più giusta, più funzionale, più umana.
Serve un cambio di passo deciso. Serve che istituzioni, organizzatori e cittadini comprendano che l’inclusione non è un “extra” da garantire solo quando possibile. È una responsabilità collettiva. Ed è tempo di smettere di considerare l’accessibilità come una voce da tagliare nei bilanci o da gestire con improvvisazione. Non possiamo più permetterci che eventi pubblici, per quanto prestigiosi, si svolgano nel disinteresse per i diritti fondamentali di una parte della cittadinanza. Perché ogni volta che questo accade, perdiamo tutti!

*Giornalista pubblicista («AboutPeople Magazine»).

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