Cosa rende le persone con disabilità, il 15% della popolazione mondiale, così esposte ai rischi legati al cambiamento climatico? «In questi millenni – dice Giampiero Griffo – non abbiamo avuto accesso agli stessi diritti, alle stesse opportunità e servizi. Appare quindi evidente che nel momento in cui dobbiamo rispondere a eventi estremi che richiedono evacuazioni rapide, infrastrutture e informazioni accessibili, la cosa diventa estremamente complicata»

«Arriva un’ondata e ti porta via tutto: tutto quello che avevi in casa, i tuoi ricordi, la tua intimità, la tua vita. Dentro la tua mente che cosa resta: come esprimeresti quel pensiero, quel sentimento? Se sei una persona con disabilità cognitiva fai davvero fatica a raccontarlo o, nel caso in cui il tuo linguaggio è compromesso, non sei in grado neppure di parlare, mentre dentro di te hai un mondo di angoscia, di paura, di rabbia»: Nives Baldoni, presidente dell’ANFFAS di Faenza (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e Disturbi del Neurosviluppo), ci racconta l’impatto delle ultime alluvioni che hanno colpito la città romagnola sulle famiglie con persone con disabilità.
Negli ultimi tre anni, Faenza, in provincia di Ravenna, è stata colpita da tre alluvioni. La prima si è verificata il 2 e 3 maggio 2023, seguita da un evento ancora più devastante il 16 e 17 maggio dello stesso anno. L’ultima è avvenuta tra il 18 e il 19 settembre 2024: secondo uno studio condotto dalla Commissione Tecnico-Scientifica istituita dalla Regione Emilia Romagna dopo le inondazioni del maggio 2023 c’era l’1 per cento di probabilità che un nuovo episodio delle medesime proporzioni potesse verificarsi nell’arco di un anno. È accaduto dopo 16 mesi, con un’intensità ancora maggiore. È la crisi climatica, che spiazza ogni previsione, che mette a dura prova le infrastrutture esistenti (non basta certo aggiungere blocchi di cemento lungo gli argini più fragili, come a Faenza, per impedire un’inondazione) e la capacità di adattamento delle comunità locali.
Durante la seconda alluvione del 2023, andò completamente distrutta la sede dell’ANFFAS Faenza, dove si svolgevano tutti i giorni i laboratori per le persone con disabilità e ancora adesso queste attività – sollievo per le persone con disabilità e per le loro famiglie – vengono portate avanti in un locale provvisorio; ma più che l’elenco dei danni è una storia, raccontata da Nives Baldoni, a rendere visibile ai nostri occhi l’impatto di questi eventi estremi sulle persone con disabilità e a farci percepire perché se sei una persona con disabilità si “riacutizza ogni cosa”, come dice la presidente dell’Associazione.
Luca (nome di fantasia), 34 anni, con un disturbo dello spettro autistico, insieme alla madre ha dovuto abbandonare il proprio appartamento, dichiarato inagibile, subito dopo le alluvioni del 2023. «Questo ragazzo, dopo 20 giorni trascorsi presso amici a cui la mamma aveva chiesto ospitalità, è fuggito», racconta Baldoni, «continuava a dire: non è casa mia». Stando alla Presidente dell’Associazione, la madre di Luca è riuscita a rientrare nel vecchio appartamento dopo una trattativa con il Comune, ma hanno vissuto per mesi senza corrente, riscaldamento e acqua calda. «Oggi, tutte le volte che piove, questo ragazzo dice: mamma noi stiamo in questa casa, non andiamo via».
Se la storia di Luca ci permette di accendere una luce per vedere l’impatto della crisi climatica sulla vita quotidiana di chi è più vulnerabile, i dati confermano quanto siamo di fronte a una questione globale, che richiede risposte strutturali per non lasciare indietro nessuno.
I report dell’ONU, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studi scientifici, tutti sono concordi nell’affermare che le persone con disabilità sono sproporzionatamente colpite dal cambiamento climatico. «Il cambiamento climatico sta minacciando direttamente e in modo sproporzionato il diritto alla salute delle persone con disabilità a causa delle temperature sempre più elevate, degli elevati inquinanti atmosferici e della crescente esposizione a eventi meteorologici estremi, che includono ondate di calore, inondazioni, uragani e incendi»: è un passaggio chiave dell’articolo Climate change and the right to health of people with disabilities, pubblicato dalla rivista scientifica «Lancet» nel dicembre 2021: «Sorprendentemente, il tasso di mortalità globale delle persone con disabilità in caso di calamità naturali è fino a quattro volte superiore a quello delle persone senza disabilità, a causa della scarsità di pianificazione inclusiva, di informazioni accessibili, di sistemi di allerta precoce e di trasporti, oltreché per la perdurante presenza di atteggiamenti discriminatori all’interno delle istituzioni e tra gli individui».
Ma cosa rende queste persone così esposte ai rischi legati al cambiamento climatico? «Essendo le persone con disabilità quelle che sono state rese vulnerabili – nel senso che la nostra vulnerabilità è una costruzione sociale: noi non siamo vulnerabili, siamo resi vulnerabili, perché in questi millenni non abbiamo avuto accesso agli stessi diritti, alle stesse opportunità e servizi –, appare evidente che nel momento in cui dobbiamo rispondere a eventi estremi che richiedono evacuazioni rapide, infrastrutture e informazioni accessibili, la cosa diventa estremamente complicata», spiega Giampiero Griffo, componente del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International), organizzazione per i diritti umani impegnata nella tutela dei diritti delle persone con disabilità.
«Ci ritroviamo a essere meno protetti perché nell’emergenza di un evento estremo e in generale nelle situazioni di rischio si è lontani dall’avere compreso come trattare le persone con disabilità», aggiunge Griffo. In questo senso, l’esperto cita l’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, «anche se alla fine nessuno si attrezza».
L’accordo internazionale Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, adottato nel 2015 dai membri delle Nazioni Unite, sottolinea che le persone con disabilità dovrebbero essere in tutti i cluster dell’emergenza, «quindi il primo problema è coinvolgere le persone con disabilità e le loro organizzazioni all’interno delle pratiche di intervento immediato, ma non c’è ancora un’adeguata consapevolezza», conclude Griffo.

L’“adeguata consapevolezza” richiamata da Griffo risulta assente persino all’interno delle Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici: durante l’ultima COP29, a Baku, in Azerbaigian, infatti, otto organizzazioni internazionali di persone con disabilità hanno protestato con forza per l’esclusione del movimento delle persone con disabilità dai negoziati sul clima delle Nazioni Unite, mentre invece esistono “costituenti” per le politiche di genere, le comunità indigene e i giovani.
«La rivoluzione climatica deve essere inclusiva», rimarca Gordon Rattray, uno degli autori del rapporto Mappare l’inclusione della disabilità nell’azione climatica in Europa, pubblicato nello scorso mese di dicembre dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che analizza le politiche climatiche di 13 Paesi europei e dell’Asia centrale, evidenziando l’assenza di fondi specifici e la scarsa considerazione delle esigenze delle persone con disabilità nelle strategie climatiche. «Le persone con disabilità incontrano barriere praticamente in tutti gli aspetti della vita quotidiana. La crisi climatica sta aumentando queste barriere. Ad esempio, inondazioni e ondate di calore più frequenti in Europa mettono a dura prova l’assistenza sanitaria, il che significa che le persone che sono già emarginate sono più a rischio. Laddove le popolazioni devono migrare per trovare acqua, cibo e mezzi di sostentamento, le persone con disabilità sono tra quelle lasciate indietro».
Perché è così difficile tenere conto anche delle persone con disabilità nelle politiche di mitigazione e adattamento? «Perché siamo tutti nati e cresciuti in una società abilista che appunto è pensata da e per persone abili», è la risposta chiara di Erika Moranduzzo, esperta di diritti umani nel contesto del cambiamento climatico e attualmente ricercatrice presso l’Università di Leeds nel Regno Unito. «Le persone con disabilità – aggiunge l’esperta – sono circa il 15 per cento della popolazione mondiale, dunque la più ampia minoranza esistente. Ci ricordano quanto siamo vulnerabili. La disabilità non è, infatti, qualcosa di unico, ma è una parte intrinseca della vita umana. Ciò significa che siamo tutti esposti a disabilità e questo vale soprattutto nel contesto del cambiamento climatico. Inoltre, come per altri gruppi sociali, le persone con disabilità non sono solo vittime sproporzionalmente impattate dal cambiamento climatico, ma sono agenti di cambiamento». In poche parole, «accendono la luce su modi di immaginare il mondo che portano beneficio a tutti, non solo alle persone con disabilità», conclude Moranduzzo.
E “agente di cambiamento” è esattamente ciò che prova a essere ogni giorno Daniele Sicherhof, in carrozzina dall’età di 18 anni a causa di un incidente sul lavoro, che in Val di Non (Trento) alleva mucche della razza Grigio Alpina, completamente scomparse dopo gli Anni Sessanta e oggi Presidio Slow Food. Sogna anche di ripiantare, accanto all’attuale ettaro e mezzo di classiche mele Golden, la cosiddetta mela renetta del Canada, anch’essa a rischio di scomparire perché invisa alla grande distribuzione.
Insieme al fratello, Daniele conduce una piccola azienda biologica. «Lavorare in agricoltura vuol dire seguire la natura». Il cambiamento climatico qui si fa sentire, con inverni più miti rispetto al passato e danni alle colture causati dalle gelate primaverili. Quando parte la stagione, Sicherhof vive “con il cellulare in mano” per seguire le previsioni meteo e organizzare il lavoro di conseguenza, perché «è il tempo che comanda», dice.
Nel 2008, riprendendo l’attività del nonno, Daniele ha progettato un caseificio accessibile, una stalla senza barriere architettoniche e ha adattato anche il trattore, così da poterlo guidare. Convinto sostenitore del biologico, racconta di dare alle mucche solo erba, fieno, e un po’ di cereali a mezzogiorno, perché «crediamo in un’agricoltura che dia reddito, prodotti buoni e salutari con il minor impatto ambientale possibile». Daniele critica il modello dell’allenamento intensivo, dove «devi fare quintali di latte e poi come lo fai e la qualità del latte vengono dopo» e, attraverso visite guidate nella sua azienda, cerca di sensibilizzare le persone.
Perché essere un “agente del cambiamento” è una bella responsabilità e dare il buon esempio è un gran bel modo per iniziare a cambiare qualcosa.
*Il presente servizio è già apparso in “A Fuoco”, newsletter su clima e disinformazione e viene qui ripreso, con mi nimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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